Southampton, contea dell'Hampshire nella parte Sud Est dell’Inghilterra.
Il suo porto è uno dei maggiori della costa meridionale. Da lì salpò il Titanic.
Il suo nome viene citato in una delle tracce del disco The Final Cut dei Pink Floyd che si intitola appunto, Southampton Dock.
Ma, per me, Southampton significa “Matthew Le Tissier”. Nato sull’isola sperduta di Guernsey a 50 km dalla costa Francese, questo ragazzotto ancora sconosciuto si trasferisce nell’Hampshire e nel 1985 entra nelle giovanili dei The Saints.
Da quel momento in poi cominciò un amore viscerale tra Matt e i colori biancorossi. Un amore lungo sedici anni che lo consacrò “One Man Club”.
Fu l’icona di Southampton, la bandiera, il grande condottiero che faceva eccitare i suoi tifosi con le sue giocate. A guardarlo bene, non gli davi nemmeno un briciolo di fiducia. Le Tissier era un omone di 185 centimetri con un fardello di 80 kg che portava a spasso per il campo. In apparenza poca agilità, poca velocità. Ma quando lo vedevi con la palla al piede cambiavi idea. Vederlo giocare con quella maglia larga, sporca di fango era semplicemente stupendo. Era un inglese con i piedi brasiliani, un centrocampista diverso da tutti gli altri, un giocatore che si affidava esclusivamente all’estro, alla giocata, al colpo sensazionale che quasi mai ti deludeva.
Al The Dell, le generazioni passate in quei sedici anni, ancora si stropicciano gli occhi al ricordo delle sue magie. Perché Le Tissier non viene ricordato per un gol o per una giocata, Letissier viene ricordato per tutto. Per tutti i suoi 196 palloni in fondo alla rete, mai banali, sempre eccezionali per classe e astuzia. Capolavori che avevano il sapore della divinità.
Non a caso veniva chiamato “LE GOD” un onorificenza ampiamente meritata da chi sapeva trasformare una semplice partita di calcio piovigginoso in un eccitante e caldo pomeriggio d’emozioni. Xavi, il campione catalano e capitano del Barcellona, per lui ha speso queste parole: “Uno dei giocatori più eccitanti che io abbia mai visto Il suo talento era fuori dalla norma. Poteva dribblare sette o otto giocatori, ma senza velocità, camminava davanti a loro e li irrideva. Per me era sensazionale. Era sicuramente un idolo.” Basterebbe ciò per collocare Matthew Le Tissier nell’olimpo dei più grandi. Le God è per pochi, per palati fini, per chi ama il football non per i risultati ma per le sensazioni e gli amplessi che produce una semplice giocata. La gente forse non lo ricorda perché è stato uno dei più grandi talenti ad non aver vinto nulla. Non ci interessa la scarsa considerazione che molti non gli riconoscono. A noi basta l’amore smisurato di chi lo ha vissuto che ne fa di Le Tissier una parabola dal percorso magnifico, come le sue traiettorie balistiche, geniali, immortali. Era quello il suo marchio di fabbrica, la traiettoria. La sua dote migliore: il tiro. Ce n’era per tutte le salse. Stop, controllo e tiro: Gol! Lancio lungo di qualche difensore, stop di Le Tissier, lenta ma inesorabile progressione, dribbling e che era di contro balzo, al volo o dopo un triangolo volante, il risultato era sempre lo stesso, siluro verso la porta e palla in fondo al sacco. Dal dischetto poi era un cecchino infallibile 48 rigori su 49, l’unico sbagliato fu parato dal portiere del Nottingham Mark Cossley, ma stiamo parlando di sciocchezze. Bastava guardarlo mentre prendeva palla e con il suo modo dinoccolato superava gli avversari come birilli, irridendoli. “Matt Le Tiss, Matt Le Tiss, Le Matt, Matt Le Tiss, he gets the ball and takes him for a ride, The Matt, Matt Le Tiss” era il coro che i tifosi dei The Saints gli dedicavano.
Matthew l’ho amato, l’ho venerato, le sue giocate me le sognavo la notte, le provavo sui campi di calcio quando ancora ne avevo la forza. Matthew era uno di noi, uno che la vita l’ha vissuta senza atteggiarsi ad eroe. Un uomo che quando ha smesso con il calcio è rimasto nel suo angolo, nella sua nicchia dove di tanto in tanto chi lo ama e chi non lo ha dimenticato, lo va a trovare sempre con la stessa passione. Il suo piede che disegna traiettorie divine non può essere dimenticato. E, i tifosi dei The Saint non lo hanno dimenticato, perché quella con la maglia biancorossa è stata davvero una storia pazzesca, di quel romanticismo di cui spesso ci commoviamo. La fedeltà a quei colori, l’amore per la sua gente, si differenziava con la vita privata che invece veniva spesso spesa non seguendo il protocollo dell’atleta perfetto. Ma questo si era già intuito dal suo fisico che con il passare delle stagioni diveniva sempre più macilento. Ma le giocate sul campo continuavano a mischiarsi perfettamente con i litri di birra che buttava giù. Qualche allenamento saltato ma, c’era un amore che non finiva mai fino al giorno in cui siglò l’ultima rete con la maglia biancorossa.
Anno 2001, stadio The Dell.
Dopo più di un secolo di vita lo stadio sta per essere abbattuto. Southampton-Arsenal, risultato sul 2 a 2. Il ragazzo di Guernsey decide di salutare la sua gente e lo stadio a modo suo. Come nei migliori finali, all’ultimo minuto sigla il gol della vittoria. Il punto più alto di una storia d’amore senza precedenti e poi cala il sipario sul più talentuoso giocatore d’oltremanica e, stranezza del destino, subito dopo il suo ritiro il Southampton retrocede. In un'epoca che designa le vittorie come unico metro di giudizio calcistico, la sua storia risplenderà sempre nell’animo di ogni romantico calciofilo. Le Tissier, , il Dio che giocava con i Saints.
Un numero uno, il lungagnone con il sette appicciato su quella maglia a strisce.
Un genio, semplicemente un genio! VIVA LE GOD!
di Alessandro Nobili
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