L’ingresso della sede di When Saturday Comes (WSC) ricorda un po’ quello di SportsPages (la vecchia libreria sportiva di Londra), prima della “ristrutturazione” e, ovviamente, della sciagurata chiusura.
Ci sono scaffali con centinaia di libri sul calcio inglese ed internazionale stipati alla bella e meglio. Un bengodi, per gli appassionati di editoria sportiva.
Andy Lyons, direttore di WSC, ci accoglie con i suoi modi garbati e molto amichevoli, ammonendoci di fare attenzione a una delle librerie alla nostra destra. “Sai, è troppo piena e rischia di franare!”. Dopo un bel the ristoratore iniziamo la nostra chiacchierata ad ampio raggio. Due ore di storie e (a volte amare) riflessioni sul calcio inglese.
Andy ci racconta rapidamente come è nata l’idea di mettere in piedi When Saturday Comes.
“Era il 1986 e insieme ad alcuni amici decidemmo di creare una fanzine che rispecchiasse le posizioni e i pensieri della maggioranza dei tifosi di calcio. Per intenderci, quelli che andavano e vanno tuttora allo stadio solo per divertirsi e sostenere la loro squadra. All’epoca sentivamo questo bisogno perché la piaga degli hooligans era dilagante e tutti i media, chi più e chi meno, dipingevano i tifosi come dei potenziali delinquenti. E poi serviva uno strumento nuovo, che contenesse elementi di critica e analisi seria, non come il sensazionalismo dei tabloid o l’appiattimento sulle posizioni della società presente nei programmi delle partite. Gli anni ottanta videro l’affermarsi del fenomeno delle fanzine, sia musicali che calcistiche, quindi possiamo dire che la congiuntura ci fu molto favorevole. Nell’arco di un paio d’anni, grazie al successo tributatoci dai lettori, siamo riusciti a mettere su una vera e propria rivista, che poi ha assunto il formato di un mensile. Al picco delle vendite siamo arrivati anche oltre le 30.000 copie per numero, mentre ora ci siamo assestati sulle 20.000.”
Ma allora quale è la ricetta vincente che ha permesso a WSC di fare così tanta strada? Andy ci fornisce un paragone molto illuminante. “Pensa a un gruppo di tifosi che si stanno recando a una partita e alle loro chiacchiere. Ci sarà l’ottimista, il pessimista, l’esperto di calcio internazionale, quello che non si perde un match da anni e così via. Nella nostra rivista abbiamo cercato di ricreare questa atmosfera, con articoli che a volte hanno un taglio diverso tra loro, ma che seguono sempre questa linea precisa.”
Passiamo alle “dolenti note”, a quello che anche in Inghilterra inizia ad essere etichettato come calcio moderno, oltre che corporate football. Trattando l’argomento Andy ci appare molto disilluso, ma non perdutamente nostalgico dei tempi andati, di cui riesce a discernere i lati positivi così come quelli negativi. “Il big bang si è avuto con l’entrata in ballo dei soldi di Sky e con la nascita della Premierleague. Quest’ultima deve la sua esistenza al decennale conflitto tra la FA e la Football League. Per fare uno sgarbo alla Lega e soprattutto per cercare di metterle i bastoni tra le ruote, la Football Association diede il suo beneplacito alla creazione della Premier, voluta fortemente dai grandi club. La FA fu particolarmente miope, non foss’altro perché sin da subito la ridistribuzione dei diritti televisivi andò a totale svantaggio delle realtà più piccole, ed economicamente disagiate, della piramide del calcio inglese (prima c’era una divisione molto più equa). Poi sappiamo tutti come è andata. L’arrivo di tanti campioni stranieri – e anche di qualche brocco – il fenomeno calcio che, anche grazie al traino di Euro ’96 – diventa parte integrante dell’industria dell’intrattenimento, il costo dei biglietti delle partite che lievita, l’affermazione del merchandising e via discorrendo”. Però negli anni novanta si risolve il problema degli hooligans e si ricostruiscono stadi spesso inadeguati, faccio notare ad Andy, calandomi un po’ nel ruolo di avvocato del diavolo. “E’ certamente come dici tu – riprende – la violenza nel football sparisce, o meglio si sposta lontano dagli stadi, e l’alto livello di sicurezza nei nuovi impianti o in quelli rimodernati dopo il Taylor Report è innegabile. Però troppe arene di ultima generazione mancano di atmosfera, di personalità. Di recente sono stato all’Emirates Stadium. Bello, per carità. Però quasi quasi mi sarei divertito di più a vedere la partita a casa mia, insieme a un gruppo di amici, tale è stata la sensazione che ho provato seguendo il match dagli spalti del nuovo impianto dell’Arsenal. C’è poco da fare, si sente la mancanza delle gradinate con i posti in piedi, dove albergava la vera essenza del tifo e della passione dei supporter di questo Paese.”
Tanti tifosi veri sono rimasti tagliati fuori, a causa dell’insensato aumento del prezzo dei biglietti. “Verissimo, al posto di queste persone, spesso esponenti della working class, sono subentrati altri soggetti, che hanno una visione del calcio come di uno spettacolo, oppure che vanno alla partita per altri motivi, per parlare di affari in uno dei migliaia di corporate box che sono spuntati come funghi in tutti gli stadi del regno. E pensare che il Taylor Report tra le varie indicazioni suggeriva anche di abbassare il costo dei biglietti per vedere una partita. Quel rapporto, redatto all’indomani dell’immane tragedia di Hillsborough, è stato utilizzato dai maggiorenti del nostro calcio in base alle proprie necessità e ignorato lì dove diventava scomodo.” Concludo con un’ultima domanda, d’obbligo, sulle prospettive future. “Secondo me nell’arco di qualche anno, specialmente se il Paese dovesse rallentare la sua crescita economica, l’industria calcio è destinata a subire un ridimensionamento. Il tempo ci dirà di che portata”.
di Luca Manes, da UKFP (dicembre 2006)
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