1 settembre 2024

TEMPI MODERNI (part 2).

Faccio un po' fatica a calarmi nello spirito della fanzine, e spiego perché. Innanzitutto, la facilità con cui si scrive in prima persona mi mette a disagio: è un privilegio che - se proprio deve esistere - dovrebbe essere riservato ai grandissimi giornalisti, anche se in genere viene reso proprio semplicemente da quelli che ritengono tali e quindi più importanti di ciò di cui si occupano, avallati evidentemente dai direttori che concedono loro questa libertà per timore di perderli. In secondo luogo, superato a fatica l'ostacolo io/ego, non so mai se sia il caso di essere seriosi e buttare lì un pezzo come se scrivessi su una bella rivista (il giornale quotidiano e la sua stessa filosofia di base, transitoria, non mi hanno mai attirato) o invece catapultarmi nello spirito stesso della fanzine e buttarla sul personale: visto che chi la legge non ha certo bisogno di sentirsi raccontare eventi storici che in genere conosce benissimo, perché altrimenti non sarebbe un assiduo lettore/scrittore della fanzine stessa, mi sentirei un po' fuori posto nel raccontare la cronaca della finale di FA Cup del 1975 o quella del 1980, per cui che faccio? Faccio quello che perlomeno mi sembra più originale e tornando alle prime righe di questo delirio la ri-butto sull'io/ego e narro qualcosa che ho vissuto personalmente, così almeno le sensazioni e le piccole curiosità saranno una novità per qualcuno. E indovinate dove si va a finire? Sulla "prima volta". 
La prima volta in Inghilterra e la prima volta in uno stadio, ovvio, sperando che interessi a qualcuno. Primavera 1979: a sorpresa (in famiglia stavamo decentemente, ma soldi da scialare non ce n'erano proprio) ottengo dai miei genitori la sospirata vacanza-studio in Inghilterra. Tra le date disponibili scelgo ovviamente quella a metà agosto, con lo scopo preciso di occuparmi di calcio in ogni momento lasciato libero dallo studio della lingua, che peraltro avevo già iniziato ad assorbire tramite la radio, il BBC World Service, ed una certa predisposizione alle lingue straniere (quella che tragicamente non ho, invece, per i numeri). Arriviamo dopo un viaggio patetico, concluso per motivi che non ricordo con una notte a dormire sul pullman che doveva portarci da London Gatwick alla nostra destinazione nel nord di Londra, e dopo circa dieci minuti dalla presentazione al padrone di casa, il signor Everett, simpatico signore sui 35 anni dai capelli scarsi e rossicci con tanto di barbetta, arriva la mia prima domanda: signor Everett, io sono un tifoso dell'Arsenal, non che c'è qualche maniera di andare a Wembley sabato prossimo per la Charity Shield ? Non potendo impallidire perché già era bianchiccio, il signor Everett si mise a ridere: "io sono tifoso del Tottenham e vuoi che ti porti a vedere l'Arsenal ?". Ma la sua disponibilità nei confronti dell'ospite era totale: tramite amici si procura due biglietti per la lower standing enclosure e tappandosi il naso dal punto di vista etico mi accompagnò a Wembley. Allora, per capire come mi sentissi quel giorno bisogna fare un passettino indietro: seguivo il calcio inglese da qualche anno, ma avevo toccato il momento di massima emotività solo tre mesi prima di quella vacanza, nel maggio del 1979, assistendo come impietrito alla finale di FA Cup tra Arsenal e Manchester United, quella del 2-0 per i Gunners già nel primo tempo, dei due gol dello United (o "Manchester" e basta come scrivono i quotidiani...) negli ultimi tre minuti e della rete 5 della vittoria di Alan Sunderland appena 45" dopo il pareggio di Sammy McIlroy. Di fronte a quelle immagini, al boato profondo dei tifosi nella "curva" alla destra dello schermo, visibili sullo sfondo mentre Sunderland veniva abbracciato dai suoi compagni di squadra, provai una profondissima emozione e - erroneamente, perché non è questo il carattere distintivo del calcio inglese - pensai che solo lassù potessero esserci partite così emozionanti e incerte, specialmente se le paragonavo a quelle del campionato italiano (che già aveva iniziato ad attirarmi molto poco, e con esso tutte le folcloristiche manifestazioni tipo striscioni e fumogeni e tamburi) che sembravano tutte finire 0-0, specialmente nelle grandi sfide. Ancora emotivamente mosso da quella partita, accolsi quasi come un sogno la possibilità di rivedere quella stessa squadra in quello stesso stadio, solo tre mesi dopo. Chi legge queste righe comprenderà tranquillamente ciò che sto cercando inutilmente di descrivere e che provai dal momento in cui mi alzai nella mia cameretta, quel mattino di agosto, e venni immediatamente colpito dalla sensazione che di lì a poche ore avrei visto non solo la mia prima partita di calcio in Inghilterra, ma a Wembley e tra Arsenal e Liverpool. Non potevo chiedere di più, ovvio. Uscimmo dalla casetta di Southgate e salimmo in macchina, salutati da uno zio dei signor Everett che era tifoso dell'Arsenal e sottolineò beffardamente il fatto che il nipote stesse andando a vedere la squadra che probabilmente sopportava meno. Devo dire la verità, non ricordo tutto quello che accadde, forse per la troppa emozione: tragitto in auto, probabilmente lungo le strade da Southgate verso ovest, poi ultimo tratto in treno fino ad una delle stazioni intorno allo stadio, e l'impatto micidiale con i colori rossi e gialloblu (l'Arsenal oltretutto giocava con la stessa divisa della finale di FA Cup, quella meravigliosa gialla con colletto blu stile camicia, pantaloncini blu e calze gialle) che popolavano i dintorni di Wembley. Non ricordo assolutamente di avere fatto le scale (quelle esterne) ma certamente non potrò mai dimenticare il momento in cui mi trovai nella semioscurità della parte bassa della tribuna, e le squadre uscirono in fila dal tunnel sotto di me e si avviarono camminando, con i manager in testa, verso il centro del campo. Impossibile che mi passi di mente l'esecuzione di God save the Queen accompagnata da quasi 90.000 persone ("oh mamma!" fu il commento di mia madre quando le dissi quanta gente c'era stata quel giorno), impossibile che mi escano di testa le sciarpe di cotone e di raso e i "ministriscioni" che singole persone tenevano sollevati sopra la testa, tesi tra due bastoncini. Quel giorno andò storto il risultato: 3-1 per il Liverpool, e appresi solo in seguito che molti critici avevano considerato quella partita come una delle più perfette che i Reds avessero disputato in tutta la stagione. Ma ho ancora in mente una frase che il signor Everett mi disse ad un certo punto, e che ha continuato a frullarmi in testa anche quando mi è parso che l'evidenza degli anni successivi raccontasse il contrario: il gol di Frank Stapleton, verso la fine e già sul 2-0 o 3-0 (chisseloricorda) per il Liverpool, venne accolto da un boato e da un'esultanza che mi stupirono, e il mio benemerito accompagnatore commentò "i tifosi dell'Arsenal sono proprio pazzi, continuano ad incitare la squadra anche quando perde". Uscendo dallo stadio Everett incontrò un suo conoscente che aveva appuntamento con noi alla macchina, e questo signore mi fece un regalo che ancora conservo caro: una sciarpa rossa di raso, in cui si legge solo ARSENA perché l'ultima lettera è stata slabbrata via, sfilacciata assieme al resto della sciarpa. Il 6 motivo? Era stata tenuta fuori dal finestrino quel giorno di maggio in cui i Gunners avevano vinto la FA Cup, e dopo qualche chilometro di auto lanciata e clacson suonato per festeggiare la forza dell'aria l'aveva conciata così. Non vorrei esagerare, ma quella sciarpa era una reliquia per me, perché era un'eredità tangibile (E IN MANO MIA!) di un giorno che mai più potrò dimenticare. E non so se il gentilissimo signor Everett abbia riso sotto la barbetta, per la sconfitta dei Gunners nella Charity Shield, ma mi sono "vendicato" presto: sette giorni dopo iniziava la stagione di First Division, andammo al White Hart Lane per Spurs-Middlesbrough e di fronte ai miei occhi il Boro vinse 3-1 (giocava il pelatone Armstrong, lo ricordate?, e la maglia era la strepitosa rossa con fascia bianca orizzontale) mentre l'altoparlante comunicava che qualche decina di chilometri più a sud il debutto in massima serie del Brighton and Hove Albion era stato rovinato da una squadra di Londra in maglia rossa con maniche bianche e cannoncino sul petto che aveva violato il Goldstone Ground vincendo 4-0.
di Roberto Gotta, da UKFP (marzo 2003)

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