È un po' di tempo che non guardo più volentieri le partite di calcio in Tv. Sembrano tutte uguali, scontate, prive di fantasia e piene di gabbie tattiche. Per chi è nato e cresciuto con il calcio romantico, con le giocate sopraffine, con la qualità come eccellenza e garanzia di spettacolo, sono davvero tempi duri. Era affascinante il calcio di una volta. Era bello inglese quello degli anni Ottanta. Quel calcio che magari non brillava in tecnica ma che era un continuo duello rusticano, una coperta romantica per le fredde serate invernali. Così ogni tanto colto dalla nostalgia, vado a curiosare su internet e mi vado a leggere qualche articolo sul calcio inglese. A volte mi affido a YouTube e vado a cercare qualche match remoto che mi porti felicemente indietro nel tempo. Ogni volta ne esco sbalordito.
Impressionato nel constatare che esistevano una sfilza di fantastici giocatori, tutti quasi sullo stesso livello: elevatissimo. Parliamo di giganti. Di calciatori sopraffini, fantasiosi, istintivi. Dei veri giocolieri. Atleti che avevano spesso una caratteristica comune; danzavano con il pallone tra i piedi senza dare mai l’impressione di forzare le cose. La “toccavano piano”. Accarezzavano la sfera di cuoio e con pochi tocchi o con un lancio calibrato, innescavano un contropiede vincente che poteva cambiare totalmente l’inerzia di una gara. Glenn Hoddle era sicuramente uno di quei tanti giganti. Collocazione Inghilterra. Londra. Tottenham. mezzala, regista, trequartista, a volte attaccante aggiunto? E chi lo sà. Questa era la vera difficoltà. Come collocarlo in mezzo al campo. Che posizione assegnarle. A me è sempre piaciuto immaginarlo come un Playmaker da dove tutto partiva e spesso tutto finiva. Come quel gol fatto al Watford dove in mezzo all’area tocca il pallone con il tacco e con una piroetta si libera per poi effettuare un tocco delicato sotto il sette a scavalcare l’incolpevole portiere Sherwood.
Glenn Hoddle ci appare come una cometa. Squarcia il cielo come un bolide. Esplode nel nulla. Diverso. Distante. Niente a che vedere con lo stereotipo del calciatore inglese fine anni Settanta. Catapultato in un calcio che era griffato brutalmente a quei tempi dal maledetto United. Il marchio a pelle, rovente, delle gomitate, degli interventi killler, dall’enfasi dei titoli dei tabloid locali
– the most brutal game ever played –
Lui era un lampo alieno sui campi di calcio. Irradiava luce in quelle latitudini piovose e spesso usciva vincitore dalle mischie fangose con giocate difficili che il suo genio rendeva semplici, ovvie. Alto, capello lungo, fisico asciutto, Glenn danzava in campo esibendo tutta la sua classe senza avere paura, con quello spirito sbarazzino e ingenuo che possiede chi proviene dai bassifondi. Era nativo di Hayes, una cittadina periferica di Londra e come letto su un articolo on line, sembrava essere nato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Già da piccolo sviluppa un talento incredibile per il calcio e sembrerebbe che mentre frequenta le scuole s’innamora degli Spurs e che due ex-glorie del Tottenham ammirando il suo talento lo misero sotto contratto come “apprendista”.
- Questo è il club in cui sono entrato quando avevo otto anni, ho firmato all’età di 12 anni e non l’ho lasciato fino a 28 anni. Gli Spurs sono il mio sangue -
Infatti, è solo questione di tempo. Il piccolo Hoddle brucia le tappe e a soli diciotto anni, fa il suo esordio dal primo minuto in First Division, contro lo Stoke City. Un esordio col botto dato che con un bolide da 25 metri sfonda la porta dello Stoke registrando così il primo di tanti meravigliosi gol. L’anno successivo gli Spurs retrocederanno dalla massima serie ma lui resterà fedele alla squadra. Scelta azzeccatissima perché in seguito, con la stessa maglia bianca, conquisterà vittorie e trofei. Saranno anni d’oro per il Tottenham che conquisterà due FA CUP consecutive nel 1981 e nel 1982 e la Coppa Uefa della stagione 1983-1984. Passa il tempo e acquista fiducia ed esperienza diventando il principe degli Spurs. Sembra muoversi con disinvoltura sul campo anche in modo sofisticato, virtuoso. Un enigma per chi lo deve marcare e anche per chi deve schierarlo in campo. Soprattutto per certi tipi di allenatori. Infatti, questa sua dote fu anche un limite nell’esperienza con la nazionale dei tre Leoni. Nella formazione inglese a centrocampo sembrava non esserci posto. Glenn veniva considerato un lusso che la nazionale inglese non poteva permettersi.
Era ancora giovane e forse anche per questo, gli si preferivano Bryan Robson e Ray Wilkins del Manchester United oppure l’esperto Trevor Brooking del West Ham. Bisogna aspettare qualche anno, i mondiali messicani e finalmente Glenn sale in cattedra entra in pianta stabile nella formazione e da lì alla fine sarà anche menzionato nell’11 di sempre della nazionale inglese. Giocherà 12 anni per il Tottenham Hotspur, poi emigra in Francia al Monaco dove qualche suo collega lo paragonerà ad un dio del calcio per poi fare ritorno in patria allo Swindon Town e infine al Chelsea. Ecco io di lui vorrei ricordare quelle giocate sublimi, quelle carezze infinite alla palla. Leggero e leggiadro e poi all’improvviso le verticalizzazioni in profondità o in campo aperto. Lo voglio ricordare per i passaggi e la visione di gioco senza rivali e quella capacità di tiro straordinaria. L’eleganza dei movimenti dentro quelle divise splendide degli anni 80 -90 e con quei calzoncini aderenti che corre e disegna traiettorie raffinate come farebbe un architetto. La visione panoramica, la bellezza delle idee, l’ingegno istintivo di sapere dove fosse il suo compagno mentre lui ancora era impegnato a scartare un avversario. Ci sono delle giocate di una fattura superiore, quasi brasiliane, lanci millimetrici di 30 o 40 metri diritti sul piede del compagno o là nello spazio preciso dove l’attaccante poteva attaccava la palla e faceva gol. Un’elegante precisione che ho rivisto solo una decina di anni dopo gustandomi Juan Sebastian Veron. Ecco forse l’unico vero rimorso è quello di non averlo mai visto dal vivo. Ma datemi retta, perdete 15 minuti della vostra vita per rivedervi che razza di giocatore era Glenn Hoddle. Fatevi questo regalo e poi vi sarà più chiaro che bello che era il calcio di quell’epoca. Un calcio di una tecnica oramai inarrivabile perché oggi c’è tutto, ricchezza, spettacolo, business, velocità, fisico ma l’istinto, la fantasia di quegli uomini che amavano fare i calciatori e che erano fatti della stessa pasta di chi gremiva le tribune e le curve degli stadi, non esiste più.
Datemi retta. Fatevi un regalo. Glenn Hoddle. One of the best. Buona visione e buon Football a tutti.
https://www.youtube.com/watch?v=r-BeVbsmZkYdi Alessandro Nobili
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