Ho sempre pensato che chi si innamora del calcio inglese o britannico più in generale, lo fa anche e sopratutto per dei particolari che, a chiunque altro, sfuggirebbero, o nella più probabile delle ipotesi trascurerebbe ritenendoli privi di importanza. Si, perché esiste un sottobosco assolutamente curioso nel panorama inglese che ogni tanto riemerge dai cassetti della memoria, o meno metaforicamente dai miei veri cassetti, stracolmi di libri, almanacchi, appunti, fogli quasi ingialliti e altre amenità.
Certo, non si può ricordare tutto, come è altrettanto difficile conservare tutto. E probabilmente non è neppure necessario o desiderabile. La memoria poi è un meccanismo selettivo.
Decide da sola cosa abbandonare, lasciandoci il compito ingrato di capire il perché.
A posteriori. Altre volte rimane un segno su un vecchio giornale , un risultato scarabocchiato, una foto ritagliata con cura. Io conservo gelosamente tutto ciò che ho raccolto sul football d'oltremanica. E quando mi rituffo nella mia collezione ho come la sensazione che alle volte certi ritagli di giornale difficilissimi da conservare a causa del rapido deterioramento della cellulosa moderna, abbiano verso di me una sorta di aspirazione, di anelito, come il soffio d'aria provocato dal passaggio di un fantasma che desidera farsi notare. Ed eccolo il dettaglio di cui parlavo in partenza. Quello per cui il british football mi ha stregato per sempre. Piccole pozioni magiche versate in un ampolla già efficiente per storia e tradizione. Doni delicati e inaspettati che una donna elegante decide di regalare affinché non venga scordata dai suoi amanti più intraprendenti. E allora mi è capitato di tirare fuori un vecchio annuale acquistato in un emporio di Bayswater una ventina di anni fa e scorrendo le pagine, (che dopo innumerevoli consultazioni hanno assunto la forma di una piccola fisarmonica), mi cade l'occhio sulla Watney Cup.
Per la precisione Watney Cup final 1972. Uno dei rari trofei nella bacheca del Bristol Rovers F.C.
I pirati di Bristol. Appellativo in tributo alla secolare importanza del mare e del commercio marittimo per la città. Una coppa conquistata in un soleggiato pomeriggio d'agosto contro lo Sheffield United. Ma qualcuno a questo punto potrebbe giustamente storcere il naso, e chiedersi con aria interrogativa che cosa mai fosse questa Watney Cup. Sarei tentato di rispondere al volo come un tiro del centravanti di quell'anno dei Rovers, John Rudge, che la Watney Cup è il “dettaglio”, ma andiamo con ordine. Con calma. Con la giusta pazienza ci arriviamo. Torniamo allora al 1972. Bristol.
Una città inglese, ma dove si avverte forte il battito fedele del drago gallese. Dove scorre placidamente l' Avon a segnare tradizionalmente la frontiera tra le contee del Gloucestershire e del Somerset. Dove l'Atlantico si insinua con un canale a cui Bristol ha regalato il nome. Eastville è un sobborgo poco più a nord della città. Fabbriche, un parco, il fiume Frome e un autostrada la (M-32) che per larghi tratti ne segue il corso. A Eastville c'era lo stadio dei Bristol Rovers costruito nel 1897. Non il classico stadio all'inglese. Non l'impianto con la marea umana del pubblico che ondeggia paurosamente a ridosso del terreno di gioco. Ad Eastville c'erano le aiuole alle spalle delle due porte. Ad Eastville c'era una pista che correva intorno al rettangolo verde dove levrieri velocissimi si sfidavano decidendo le sorti di tenaci e rubizzi scommettitori.
Ad Eastiville c'era una gradinata denominata Tote End, covo dei tifosi locali, che sin dalla sua realizzazione datata 1935 l'avevano subito ribattezzata “The Tote”. E se il vento tirava dalla parte giusta ad Eastville stadium si diffondeva un discreto odore di gas dalle vicine officine, al punto che i rivali cittadini del Bristol City non tardarono molto ad appellare quelli dei Rovers come “Gasheads”. Doveva essere naturalmente un nomignolo dispregiativo, in realtà con il passare del tempo acquistò un valore di riconoscimento e orgoglio.
La Watney invece era una marca di birra.
Di gran carattere e dalla schiuma solida. L'abbinamento con la coppa nasce nel 1970 quando la federazione inglese decide di organizzare un torneo prestagionale riservato alle squadre delle quattro serie professionistiche che nella stagione precedente avevano segnato il maggior numero di reti. Venivano escluse dalla manifestazione il club campione d'Inghilterra, quelli promossi nella categoria superiore, e quelli che si erano qualificati per le competizioni europee.
In totale otto squadre. Due per ogni divisione. Quella del 1972 era la terza edizione, dopo quelle del 1970 vinta dal Derby County, e quella del 1971 conquistata dal Colchester United. Vi avrebbero partecipato lo Sheffield United e il Wolverhampton per la First Division, il Blackpool e il Burnley per la Second, il Bristol Rovers e il Notts County per la Third, e infine il Lincoln City e il Peterborough per la Fourth. Il primo atto si svolge il 29 luglio con lo svolgimento dei quarti di finali che vedono il Bristol Rovers battere 2-0 i Wolves, il Lincoln cedere in casa al Burnley 0-1, il Notts County travolto fra le mure amiche 0-3 dallo Sheffield United e il Peterborough prevalere ai tiri dal dischetto contro il Blackpool dopo che i tempi regolamentari si erano conclusi sulli 0-0. Tre giorni dopo è già tempo di semifinali che vedono i pirati “saccheggiare” Turf moor con un secco 2-0 al Burnley, e le Blades di Sheffield imporsi ancora in trasferta 4-0 sul terreno del Peterborough. Queste sarebbero state quindi le squadre che si sarebbero disputate la finale il 5 di agosto all' Eastville Stadium. Quello era il Bristol Rovers di manager Don Megson, di capitan Stuart Taylor, del portiere Dick Sheppard e della sua maglia verde priva di numero, del roccioso terzino Phil Roberts, degli alfieri del centrocampo Wayne Jones e Harold Jarman, della coppia d'attacco Bobby Jones e John Rudge. Era un Bristol dalla sobria maglia blu su pantaloncini bianchi, che però dall'anno successivo avrebbe re indossato ancora una volta la suggestiva divisa a scacchi che tutt'oggi mantiene. Non c'erano i 38472 tifosi presenti nel 1960 quando i rovers sfidarono il PNE nel quinto turno della FA Cup, ma lo stadio presentava comunque uno splendido colpo d'occhio. I novanta minuti produssero poche emozioni e poche occasioni da reti, e allora il match avrebbe dovuto essere deciso dagli undici metri. La litania dal dischetto andò avanti fino al settimo rigore, quando dopo la rete del Bristol Rovers, Dick Sheppard bloccò a terra la sfera regalando ai pirati la Watney Cup. Le scene d'esultanza del dopo partita sono degne di una vittoria di ben altri ambiti, ci sarà addirittura un invasione di campo, e Sheppard portato in trionfo. Si canta “Irene, Goodnight Irene, Irene Goodnight, Godnight Irene Goodnight Irene, I'll see you in my dreams...” Ma Quella volta non c'era da irridere nessun tifoso del Plymouth Argyle, quella volta c'era da festeggiare quella che per ora resta l'unica coppa di un certo livello in vetrina. Oggi i rovers giocano le loro partite interne al Memorial Ground dopo che nel 1986 il vecchio “The Ville” fu abbandonato per problemi finanziari.
Lo stadio attuale viene diviso con la locale squadra di rugby nell'attesa dell' nuovo “UWE Stadium”.
di Simone Galeotti
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