“Modello inglese” è un’espressione alla quale si ricorre spesso per definire fenomeni diversi, dal sistema repressivo generato dal pugno di ferro con cui Margaret Thatcher decise di affrontare il problema degli hooligans a quello avido e sfavillante della nuova Premier League, che ha trasformato the working man ballet in industria di intrattenimento a uso e consumo della middle class. Quasi mai, invece, viene adoperata per descrivere la propensione, molto diffusa oltremanica, a utilizzare il calcio per fare del bene. Eppure è il volto più bello che può mostrare questo sport. Che si tratti di iniziative di solidarietà o di sostegno a persone in difficoltà, il football raggiunge la sua essenza quando è veramente al servizio della propria comunità di riferimento. Non solo durante i novanta minuti della partita, non soltanto rispettando il legame tra gli spalti e il campo da gioco, ma come strumento sociale che va oltre il tifo e aiuta in modo materiale e spirituale la vita della gente. La squadra, il club, è una parte importante dell’esistenza di milioni di persone, come le storie di questo libro dimostrano, e può diventare un punto di riferimento fondamentale, un rifugio, un aiuto, una speranza. A volte la sola.
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