26 marzo 2025

LONDRA. UNO DEI DUE POLI DEL MONDO

Londra. Uno dei due poli del mondo con New York. Per quelli della generazione prima della mia, negli anni 60/70, Londra è stata la musica, i concerti, la ricerca di quel vinile che da noi in edizione speciale non era mai arrivata.
Poi la meta preferita delle gite scolastiche delle medie o del ginnasio. Quindi l’inizio delle nuove tendenze. La moda, le pettinature, le gonne. Fino alle rappresentazioni teatrali e dei musical che ovviamente arrivano prima lì come i film e i concerti delle superstar di tutto il mondo. Non importa se ad Hyde Park o nelle Arene più esclusive. Tante cose sono cambiate al ritmo battuto dal Big Ben. Una sola costante in tutti questi anni. Il calcio. Quello, con la sua passione, non è mai cambiato. Semmai ha arricchito la sua storia. Da quelle parti lo hanno inventato, ma soprattutto ne hanno avuto cura. Londra e i suoi stadi. Tanti stadi. Tante storie diverse. Dalle due torri di Wembley, al treno che passa dietro Stamford Bridge. Da White Hart Lane che puoi raggiungere solo col bus a tutti gli altri dai quali rimbalzi tra una metro e l’altra. Quello è stato il mio vero richiamo londinese. Li volevo vedere tutti. Provare a respirare quell’odore di cipolla e ascoltare l’urlo dei venditori di programmi anche se non si giocava nessuna partita. Li immaginavo. Li sentivo ugualmente. Dopo aver cercato di trovare per tanti anni, essendo internet più giovane di me, i risultati prima e poi almeno le foto di quel calcio che tanto amavo, il passo successivo era andare li e “toccarli con mano”
Oggi, anche grazie al mio lavoro, ho visto almeno una partita in ognuno degli stadi londinesi compresi quelli, come il Plough Lane, che non esistono più. Allora, verso la metà degli anni 80, disegnavano la mia Londra. I colori delle linee del Tube si fondevano con quelli delle maglie delle squadre. Quello del Chelsea, Loftus Road e Upton Park nella stessa giornata intervallati da un pub e prima di una immancabile pizza. Gli altri con più comodo. 
Uno alla volta. Ce ne era uno che però avevo sognato più degli altri. Highbury. C’era uscendo dalla metropolitana a sinistra un pretenzioso cartello. "Welcome to Highbury. the Home of Football"
Pretenzioso certo, ma per me era molto vero. Era tutto quello che avevo sempre sognato. Londra, il calcio inglese, l’Arsenal. Quello per me era il calcio. E non stavo neanche guardando nessuna partita. Il profumo della storia. Il fascino di un mondo allora lontano che oggi la televisione satellitare ha avvicinato. Già la storia. Quella vera non tutti, anche nell’era delle parabole, la conosco bene e allora l’occasione di farci dentro “quattro passi” gustandosi le pagine di questo libro è da non perdere. Gli inizi della Football Association, i club che hanno alzato l’FA Cup per i primi anni e che adesso si trovano solo sull’albo d’oro. Poi l’Arsenal. Dall’attraversamento di Londra, ai trionfi e le delusioni compresse nelle due gestioni più significative. Da Chapman a Wenger. Tra la rivalità aspra col Tottenham e I ritratti di chi ha saputo farsi amare con la maglia dei Gunners. Alex James, Ian Wright, Titì Henry e soprattutto quel Charlie Nicholas che se avesse anche vinto qualcosa in più della Coppa di Lega gli avrebbero fatto un busto anche a lui ad Highbury. Scozzese, capello fluente e una classe da non aver nulla da invidiare a nessuno. Uno dalla tecnica e la visione di gioco di stampo latino. Accarezzava la palla purtroppo per lui come la vita notturna londinese, ma il trionfo nella Littlelwoods Cup dell’87 a Wembley resta il flash della sua grandezza. Con una doppietta ha messo in ginocchio il Liverpool e regalato dopo tanti anni un trofeo all’Arsenal. Il primo dell’era George Graham. Di fatto il primo della rinascita. Oggi a Wembley l’arco ha sostituito le mitiche torri, ma il fascino è sempre li. E’ nell’aria. Come nel passaggio da Highbury all’Emirates. Quello che resta sono le passioni che vanno alimentate anche rileggendo la storia.
di Massimo Marianella, dalla prefazione del libro London Calling (Bradipo Editore)

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