26 maggio 1999, una data epica per tutti i tifosi del Manchester United.
L’apice della passione e della gioia, per un risultato che difficilmente verrà eguagliato: il treble. Che poi l’ultimo atto della mitica tripletta sia venuto con la rocambolesca finale di Barcellona, nello stesso giorno del compleanno del grande Sir Matt Busby, non fa che aggiungere magia ad un momento veramente esaltante. Per me la finale di Barcellona è stata una sorta di punto di arrivo, dopo quasi diciotto anni di tifo per i Red Devils.
Non che ora non mi interessi più del Man U, però, un po’ come diceva Hornby in Fever Pitch per la vittoria dell’Arsenal in campionato dopo tanti anni, alcune sensazioni sono cambiate. La mia passione con il calcio inglese, infatti, è coincisa con quella per lo United. Iniziai a seguire i risultati della Coppa d’Inghilterra sul Guerin Sportivo nel lontano 1981, vidi la mia prima finale nello stesso anno, Tottenham-Manchester City (vinse il Tottenham al replay). Ma subito mi appassionai alla storia, in parte triste, del club dell’Old Trafford. I Busby Babes, il disastro aereo del 6 febbraio 1958 a Monaco, la morte di alcuni giocatori, tra cui 23 il giovanissimo capitano Duncan Edwards, la lenta ricostruzione, Bobby Charlton, tecnica e professionalità, George Best, genio e sregolatezza, ed infine l’happy end: la vittoria in Coppa Campioni, prima squadra inglese ad ottenerla, nella finale di Wembley del 1968 per 4-1 al Benfica d’Eusebio!
Poi il lento declino, anni d’insuccessi, la retrocessione in second division, senza più gli eroi di Wembley, il lampo del 1977 in FA Cup con il Liverpool, a cui si negò il treble, un paio di altre finali perse e tanti bocconi amari in campionato. E’ stata questa storia così gloriosa e travagliata, e la mia passione per l’allora leader dello United, Bryan Robson, a farmi diventare un tifoso dei Red Devils, sebbene all’epoca fosse molto più facile scegliere altre squadre più vincenti e da un altrettanto illustre passato (una per tutte il Liverpool, ma anche l’allora fortissimo Aston Villa). A quei tempi il Manchester United non era il grosso fenomeno mass mediatico globale che è adesso (parrà strano, ma io dico per fortuna). I suoi giocatori non erano così seguiti e pubblicizzati, mentre i suoi tifosi erano perseguitati dall’incubo di non vincere più un titolo in first division (l’ultimo risaliva al 1967).
Per un po’ fui scettico anch’io, continuava l’astinenza. Poi iniziano gli anni ’90.
Cambia tutto, soprattutto vinciamo tutto, non prima della grandissima delusione nel campionato del 1992, perso dopo aver dominato. Le lacrime di rabbia di Robson, capitano dai mille infortuni e dalle mille resurrezioni, non le dimenticherò mai. Però mi reputo fortunato di averlo visto giocare dal vivo nello stesso anno, a Dublino in un’amichevole contro l’Irlanda, unica partita vista dal vivo del Man U, insieme al 4-0 rifilato al Newcastle a Wembley, Charity Shield del 1996. Il campionato successivo a quello perso contro il Leeds iniziò con due cocenti sconfitte, altra stagione no pensai. Poi l’arrivo di Cantona, rissoso e scombinato quanto vi pare, ma un genio del calcio come pochi. Dopo 26 anni vinciamo la first division (beh, dovrei dire Premier, visto che quello fu il primo anno con il nome nuovo). Il mio idolo Robson era ormai solo un panchinaro, ma nell’ultima partita con il Wimbledon giocò da titolare, segnando ed alzando il trofeo al cielo.
Il resto è storia recente, sette titoli in nove anni, conditi da tre coppe d’Inghilterra, la crescita di tanti campioni provenienti dal vivaio, per me motivo di immenso orgoglio, anche perché attualmente il Manchester United è tra le squadre di vertice quella con meno stranieri in rosa. E poi la ciliegina sulla torta: la Coppa dei Campioni del 1999 che sigla il treble. Un cammino esaltante, contro tutte le migliori squadre d’Europa, il recupero in semifinale contro la Juve, gli ultimi tre minuti di Barcellona. Quella partita non l’ ho potuta vedere al 24 Nou Camp, perché era impossibile avere il biglietto e poi non mi potevo muovere da Roma per impegni di lavoro. Mi sono dovuto rintanare in un pub vicino casa con la mia ragazza che sopportava le mie palpitazioni (perché il 26 maggio è anche il mio compleanno), però ho letto talmente tanti racconti di quel giorno che mi sembra di essere stato lì anch’io. I miei ricordi più forti sono la certezza di segnare sul calcio d’angolo poi trasformato in gol da Ole, i brividi e l’incredulità durante la premiazione, la telefonata preoccupata dei miei genitori, che a fine partita mi chiedevano come stavo! Ma forse la cosa più toccante è stato il coro Happy Birthday Sir Matt, dedicato a Matt Busby. Per quello non ci sono parole, c’è solo la passione immensa e l’orgoglio per la propria storia.
GLORY GLORY MAN UNITED!!
di Luca Manes, da UK Football please
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