Ogni volta che proviamo a pensare alla vita di un portiere, almeno tra i pali, la immaginiamo solitaria, concentrata estroversa e condita, a tratti, da quella schizofrenia che li rende affascinanti. Sono gli eroi silenziosi, quelli che fanno poco rumore rispetto agli attaccanti o ai giocatori piĂą tecnici che rubano la scena e strappano gli applausi al pubblico.
Nella realtĂ alcuni di loro, con un pizzico di delusione, potrebbero anche risultare timidi, taciturni e vergognosi.
Nel caso di Peter Shilton siamo invece di fronte ad un personaggio devastante sia in campo che fuori anzi nella vita privata di casini ne ha combinati parecchi.
Shilton, detiene un record ancora imbattuto quello dell’unico calciatore che abbia superato le 1000 presenze nei campionati inglesi perché praticamente ha calcato tutti i campi di categoria dal momento che si è ritirato a 48 anni. Pazzesco! Questo dà l’idea di un uomo senza mezze misure. Infatti i record andavano di pari passo con quello che combinava nella vita privata costellata di scelte dubbie, come quella di dilapidare le Sterline guadagnate regalandole agli allibratori delle corse di Cavalli oppure, alle frizioni familiari che sopraggiungevano ogni volta che c’era una relazione extraconiugale. Da buon inglese non si fece mancare nemmeno il problema con l’alcool tanto che fu arrestato per guida in stato di ubriachezza.
Ma Shilton era comunque un grande, un leader assoluto che seppe dettare la sua legge tra i pali e che fu capace di vincere trofei passati alla storia come le due Coppe dei Campioni vinte con quel Nottingham Forest di Brian Clough. L’allenatore se ne rese conto subito che tipo di uomo era e con saggezza lasciò spazio e fiducia al suo portiere che poi lo ripagò diventando il dominante per quell’irripetibile cavalcata vincente. Fin dagli albori della sua carriera, il suo obiettivo dichiarato era sempre stato quello di essere il migliore e diede subito un assaggio di sé quando scoperto da Gordon Banks poi lo fece fuori, calcisticamente intendiamoci. Continuò ad essere il migliore anche quando ci fu un dualismo generazionale, vinto peraltro, con un altro grande portiere molto diverso da lui, Ray Clemence del Liverpool. E così nel pieno della sua maturità Peter Shilton si tolse la soddisfazione di togliere il posto al suo rivale e di farsi tre mondiali di fila 1982-1986-1990.
Ma, con calma, proviamo a ripartire dall’inizio: Shilton crebbe nel Leicester squadra della sua città natale e di cui era tifoso. Militò nelle Foxies per otto stagioni conoscendo anche una retrocessione per poi risalire in premier league. Cambiò aria e decise di accettare la sfida dello Stoke City. Gli anni che passò a Stoke non furono memorabili anzi conobbe di nuovo l’amarezza della retrocessione e quindi decise di trovare una squadra che avesse ambizione e il suo destino si incrociò con una neopromossa dal futuro inimmaginabile: il Nottingham Forest. Scelta non fu mai più azzeccata perché coincise con l’apice della sua carriera. Shilton aveva un fisico pazzesco per la media di quegli anni: massiccio, non altissimo ma molto agile. La sua prerogativa era quella delle uscite alte, le prese volanti soprattutto dai corner. Non nelle respinte di pugno che furono il suo tallone d’Achille. Fu l’uomo che cambiò la concezione solitaria di quel ruolo. Il portiere, che era l’unico baluardo a difesa degli avversari, si trasformò in una sorta di coach che dava indicazioni di come difendersi infischiandosene dei dettami del mister. Clough al Forest ne capì l’innovazione e infatti vinse un campionato, quattro coppe di lega, una super coppa europea e due coppe dei campioni consecutivamente: l’unica squadra ad aver vinto più Coppe Campioni che Campionati.
Nel 1995 venne ingaggiato dal Wimbledon FC e successivamente dal Bolton, con il quale giocò poco e poi dal West Ham. Ma ora, c’era un record da battere. Shilton aveva partecipato a 998 partite ufficiali. Era obbligatorio raggiungere la cifra tonda. Lo fece con il Leyton Orient in Terza Divisione il 22 dicembre 1996. Alla fine le sue presenze ufficiali furono 1005 e si ritirò dai campi di calcio all'età di quasi 48 anni.
Con la nazionale invece ebbe un rapporto altalenante così come è stato il destino di quella Nazionale nonostante fosse la migliore mai vista per talento messo in campo con giocatori del calibro di Lineker, Gascoigne, Waddle, Pearce, Butcher, Hoddle, Robson, Platt, Beardsley. Il suo debutto fu con l’Italia in una partita di qualificazione agli europei persa 1 a 0, per poi prendere parte ai campionati del mondo di Spagna 1982, Messico 1986 e Italia 1990, ai campionati d'Europa di Italia 1980 e Germania Ovest 1988. La sua ultima esibizione con la nazionale fu sempre con l’Italia in occasione della finale del terzo quarto posto del mondiale del 1990. Quel quarto posto fu il miglior risultato con la Nazionale inglese.
Ma è proprio la nazionale che farà in modo che l’immagine di Peter Shilton rimarrà indimenticabile. Un episodio che lui odierà con tutto sé stesso e che la storia del calcio ce lo lascerà lì indelebile tra i ricordi più rocamboleschi e falsi della storia dei mondiali. Città del Messico giugno 1986 quarti di finale Argentina - Inghilterra, la famosa mano de Dios di Diego Armando Maradona. Il vecchio Peter a distanza di anni non ha ancora mandato giù quella che lui stesso definisce la più grande beffa subita. E possiamo immaginarlo.
Lo Shilton sbruffone, arrogante, la superbia con cui tolse il posto a Gordon Banks, le Coppe dei Campioni vinte con il Forest, le 125 presenze in nazionale, liquefatte di fronte a quell’affronto che fu vergogna ovunque lui andasse. Il ricordo che brucia.
La vendetta che arde, la rabbia che sale possono essere riassunte in queste poche ma evidenti parole:
“…Ho sempre saputo che sarebbe arrivato un giorno in cui avrei pagato tutto, un giorno in cui qualcuno mi avrebbe fatto scontare il mio lato oscuro. Quel giorno venne, e decise di punirmi con la mano di Diego Maradona. La sola cosa che mi infastidisce è non avere mai avuto le sue scuse. A fine partita, quando succede qualcosa tra noi giocatori, se ne parla. Se c'è da dirsi qualcosa, ce la diciamo. Tutto finisce lì, nel campo. Lui no, Maradona non venne a parlarmene. Fui l'unico a non accorgermi di niente, non ebbi neppure la soddisfazione di protestare. Le uscite con i pugni erano da sempre il mio punto debole, nonostante le esercitazioni continue, sul pallone andavo come se fossi stato un pugile, caricavo e pam, un cazzotto alla palla. Diego diede un cazzotto prima di me e io non lo vidi. Lui correva, esultava e io pensavo che mi aveva battuto, non sapevo che mi aveva fregato…”
Ad ogni modo, il nostro caro Shilton, per noi ragazzi di allora che giocavamo a rifare il verso a quei miti che ammiravamo in tv in quelle sporadiche occasioni in cui arrivavano immagini dall’Inghilterra, rimarrà uno dei portieri migliori, iconici, quelli che indossavano maglie strette e pantaloncini attillati. Un classico di quel calcio fatto di fisici asciutti, anche se lui era una bestia, gambe tozze e magliette sporche di fango e sangue. E poi come non dare credito a Sir Robert William Robson detto Bobby che disse:
“Shilton? He was the very best goalkeeper for long long time. A very special guy”
Come On Guysdi Alessandro Nobili
Nessun commento:
Posta un commento