31 ottobre 2025

FIRST Division🇬🇧, il calcio inglese di una volta..

Il fascino dei vecchi piccoli stadi, le pinte al pub con gli amici, il match programme della partita, le ends che si muovevano ondeggiando ai goals della propria squadra, il pallone 18 panels rigorosamente bianco, il portiere con la maglia verde ed i pantaloncini come quelli dei compagni, il profumo forte degli hot dog con cipolla nei dintorni dello stadio oppure l'amarissimo Bovril, per i più "vecchi" i rumorosissimi turnstiles oppure.. i totalisator a lato dei campi di gioco? atmosfera unica, irripetibile..

Ecco FIRST Division, un punto di riferimento di chi ha vissuto tutto questo e chi lo sogna..


"HO BATTUTO BERLUSCONI" di John Graham Davies (66thand2nd), 2012


Origini cattoliche irlandesi, sposato con due figli, il duplicatore di chiavi Kenny Noonan è prima di tutto un tifoso del Liverpool, club dal glorioso passato segnato dalle tragedie sugli spalti.
Vent’anni dopo la notte nera dell’Heysel, la squadra è di nuovo in finale di Champions League: stavolta l’avversario è il Milan, la stellare corazzata di Silvio Berlusconi. Per Kenny potrebbe essere l’ultima occasione di tornare bambino e così, nonostante i debiti e il terzo figlio in arrivo, si procura un biglietto e vola a Istanbul per la sfida decisiva. La sorte gli riserverà la rimonta più rocambolesca mai vista su un campo da calcio. Basato su un aneddoto (forse) vero di un autentico tifoso dei Reds,
Ho battuto Berlusconi! è un divertente monologo che attraversa trent’anni di storia, dal neoliberismo alla guerra di Iraq, e affonda le radici nell’anima ribelle di Liverpool, nel suo «declino manovrato» voluto dal governo Thatcher, nelle vite dei portuali e dei minatori che allo stadio hanno sempre cercato una rivincita contro l’arroganza e i trasformismi del potere.

30 ottobre 2025

[MISTER FOOTBALL]. "TESTIMONIAL MATCH O GAME" di Roberto Gotta

Testimonial (match o game): abbreviato comunemente in ‘testimonial’, è la partita che onora un calciatore che abbia compiuto i dieci anni di militanza nella stessa squadra. Generalmente, con intero incasso, esentasse, devoluto al giocatore stesso, una forma di trattamento di fine rapporto anche quando fine rapporto non c’era e la carriera continuasse. 

Non si premiava solo la fedeltà ma anche il fatto che, come conseguenza della fedeltà stessa, i calciatori avevano in genere rinunciato a trasferimenti a club in cui di norma lo stipendio sarebbe stato superiore, e parliamo comunque di tempi in cui i compensi erano solo moderatamente superiori a quelli di un impiegato. Poi, come ovvio, ci sono mille distinguo: fino al 1963 i club potevano di fatto trattenere i giocatori anche contro la volontà di questi ultimi (ma è un tema complesso su cui bisogna tornare) e dunque era abbastanza facile che si arrivasse a 10 anni di militanza, in più restare a lungo nello stesso posto poteva voler dire creare legami commerciali e pubblicitari con imprese locali in grado di garantire introiti supplementari. In passato, alcuni club hanno organizzato testimonial per raccogliere fondi per calciatori del passato che fossero in difficoltà mentre oggi, come ovvio, la motivazione economica almeno per le prime due categorie del calcio inglese non ha più senso, visti i guadagni. E allora l’incasso può essere donato in beneficenza e la partita essere solo un modo di salutare un giocatore. Nel 2006 furono in 69.591 a Old Trafford per salutare Roy Keane, che era passato al Celtic un anno prima e con il Celtic giocò il primo tempo prima di indossare la maglia del Manchester United nel secondo. E il fatto che fosse il Celtic l’avversaria era sì dovuto alla presenza del centrocampista irlandese, ma era anche un involontario richiamo alla tradizione dei club inglesi di avere le due principali squadre di Glasgow come ospiti in occasione di testimonial significativi. I motivi erano due: la garanzia di partite vere, e ce ne furono tante, e la presenza di migliaia di tifosi che calavano da nord per una sfida contro il tradizionale nemico. Non sempre con intenzioni benevole: nel 1976, però per un’amichevole normale e non un testimonial, Aston Villa-Rangers era stata interrotta al 53’ per scontri e invasione di campo, causate in buona parte dallo stato di alterazione alcolica dei tifosi ospiti, i cui 50 pullman erano arrivati a Birmingham così presto (circa nove ore prima della partita, in violazione della richiesta della Polizia di un anticipo non superiore ai 60 minuti) che ai loro occupanti non era rimasto altro che passare il tempo a bere, una volta che i pub avevano aperto le porte.

Il 25 novembre 1980, sui 20.000 di Highbury per Arsenal-Celtic, testimonial del terzino sinistro Sammy Nelson, ben 5.000 erano di Glasgow, supportati da un migliaio di biancoverdi ‘londinesi’ che però si comportarono benissimo e furono elogiati dalla Polizia, e la partita fu così reale che in quella occasione, così si disse, il 19enne attaccante scozzese Charlie Nicholas, entrato a partita in corso, fece ai dirigenti dei Gunners la bella impressione che li portò poi a seguirlo e ad acquistarlo nell’estate 1983. 
Va da sé che la formula era libera: amichevoli all’acqua di rose, amichevoli vere, squadra del giocatore omaggiato contro selezione di ‘amici’ o di umanità varia, e in questo minestrone poteva esserci di tutto. Anche un calciatore in… incognito. 
Accadde nel 1972, quando ad Anfield, nonostante una pioggia costante, furono in 55.214, con altre migliaia rimaste fuori per la chiusura dei cancelli, a presenziare al testimonial del grande Roger Hunt (attaccante, 1938-2021, tuttora il maggior realizzatore del Liverpool in campionato, con 244 gol), che si era ritirato pochi mesi prima. Hunt era stato al Liverpool dal 1959 al 1970 ed era poi passato al Bolton, ma il testimonial, secondo le regole del club, poteva solo andare in scena dopo il ritiro dall’attività. Insomma, quel giorno di aprile si giocò una sfida tra i reduci del Liverpool 1965, che aveva vinto la Coppa d’Inghilterra, e della nazionale campione del mondo 1966, di cui aveva fatto parte lo stesso Hunt, e il fatto curioso è che ad un certo punto nella ‘nazionale’ entrò in campo e fece pure gran figura un giocatore indicato nella lista come A.N. Other (=another, un altro, nel senso di uno qualunque) che come riferisce Daniel Abrahams nel suo eccellente ‘71-72, football’s greatest season?’ «assomigliava in maniera sospetta a Tony Kay», cioé il centrocampista dell’Everton che era stato squalificato a vita nel 1965 per aver scommesso con due compagni di squadra, quando era allo Sheffield Wednesday, sulla sconfitta della propria squadra.
di Roberto Gotta, da https://misterfootball.substack.com 

28 ottobre 2025

"AGGRESSION" di Nicola Magnani (Boogaloo), 2008

Uno studio approfondito sulla storia dell’universo hooligans, fatto di violenza, musica, stili, mode e attitudini in continua evoluzione. Aggression affronta numerose questioni: dalla violenza che affonda le proprie radici già in antichità, in quelle forme di gioco considerate gli antenati di quello che diventerà lo sport più seguito al mondo, alla costituzione dei primi clubs d’Oltremanica di fine ‘800. Dai delicati rapporti fra le varie sottoculture, specchio di una generazione inglese sempre in lotta allo stadio come in strada, alla nascita delle prime firms. I terribili anni ’70 e ’80, l’IRA, il National Front, le pesanti rivolte dei minatori, le operazioni antiterrorismo per sgominare le tifoserie più feroci fino alla famosa costituzione del Taylor Report. Dinamiche politico-sociali che fanno da cornice ad un fenomeno, definito dai massmedia come “malattia inglese”, che negli anni ha sconvolto, terrorizzato ma talune volte anche incuriosito l’opinione pubblica mondiale.

27 ottobre 2025

"YOUDAN CUP. La competizione calcistica più antica della storia" di Gianfranco Giordano

Sheffield può essere identificata come la città che ha dato i natali al calcio, nella città dell’acciaio venne fondato il più vecchio club ancora in vita, lo Sheffield FC, si disputò il primo derby, tra Sheffield FC e Hallam FC, e venne messa in palio la prima coppa di sempre.

All’inizio del 1857 Thomas Youdan, proprietario di un teatro in città, decise di organizzare un torneo di calcio mettendo in palio una bellissima coppa d’argento. Purtroppo la coppa non venne realizzata in tempo per la finale.
Oltre alla coppa, i vincitori avrebbero incassato anche un premio di ben due sterline. Avete letto bene, due sterline.
Al torneo presero parte dodici club della zona Broomhall, Fir Vale, Garrick, Hallam, Heeley, Mackenzie, Mechanics, Milton, Norfolk, Norton, Pitsmoor e Wellington . Spicca l’assenza dello Sheffield FC, ma The Club si rifiutava di giocare con altri club di Sheffield ed incrociava gli scarponi solo con avversari di altre città. Dei dodici club partecipanti solo l’Hallam è ancora in vita.
Si giocava secondo le Sheffield Rules, i giocatori potevano essere utilizzati da una sola squadra, c’era un arbitro neutrale, le partite cominciavano alle 15.00 (l’arbitro non avrebbe aspettato eventuali ritardatari), in caso di parità dopo i tempi regolamentari supplementari con golden goal.

Si cominciò il 16 febbraio con partite ad eliminazione diretta:
Norton-Mechanics 6-0 (2-0), campo Norton
Mackenzie-Garrick 1-0 (1-0), campo Cremome
Hallam-Heeley 2-1 (2-0), campo Sandygate
Norfolk-Fir Vale 4-0 (2-0), campo Norfolk Park
Broomhall-Pitsmoor 2-0 (0-0), campo Ecclesall Road
Milton-Wellington 5-0 (2-0), campo Cremome
Secondo turno, sempre partita secca ad eliminazione diretta, il 23 febbraio:
Norfolk batte Broomhall, campo Norfolk Park
Hallam-Norton 0-0 (0-0), campo Norton
Mackenzie batte Milton, campo Cremome


La partita tra Norfolk e Broomall finì in parità, i giocatori si accordarono per giocare ancora un’ora, diconsi 60 minuti di supplementari, ma dopo soli due minuti il Norfolk segnò il gol della vittoria e la partita finì. Il primo golden gol della storia del calcio.
Venne invece ripetuta la partita tra Hallam e Norton, finita in parità anche dopo i supplementari. Si giocò una seconda partita subito dopo la fine della prima, finì 1-0 per l’Hallam.
Rimasero in lizza tre squadre per una coppa, a questo punto non è chiaro cosa successe ma la versione più accreditata parla di un sorteggio che regalava la finale al Norton, mentre sarebbe stata necessaria la semifinale per decidere la seconda finalista. D’ora in poi le partite furono giocate a Bramall Lane.

La semifinale si giocò il 2 marzo:
Hallam-Mackenzie 4-0 (0-0)
Il 5 marzo si giocò la finale davanti a 3000 spettatori:
Hallam-Norfolk 2-0 (0-0)
L’ultima partita, la finale per il secondo posto, si giocò il 9 marzo:
Norfolk-Mackenzie 1-0 (0-0)


Evidentemente gli organizzatori avevano deciso la finale per i posti d’onore ta le due sconfitte in semifinale e finale.
Le squadre partecipanti e le vincenti delle partite sono sicure, i risultati delle singole partite non sono così sicuri, sono passati molti anni e non ci sono fonti sicure al 100%.
Successivamente la coppa andò persa, nel 1997 un antiquario scozzese la ritrovò e la vendette all’Hallam per 2000 sterline.
Io ho avuto l’onore ed il privilegio di poter tenere in mano la Youdan Cup, mi sono emozionato a toccare un pezzo di storia.
di Gianfranco Giordano

24 ottobre 2025

"DAI BEATLES A BLAIR: La cultura inglese contemporanea" di Roberto Bertinetti (Carocci Editore), 2001

Questo volume propone un viaggio all’interno della società e della cultura inglese dal 1956 sino ad oggi attraverso i ritratti dei protagonisti di un periodo che ha segnato in maniera profonda l’intera storia europea. 
Ai mutamenti nella moda, nella musica, nel teatro, nella narrativa, si affiancano la scoperta della figura del teenager - l’adolescente che diventa consumatore - e la nascita del personaggio di James Bond, perfetta sintesi del clima della Guerra Fredda. Sugli schermi delle sale cinematografiche e in libreria prende intanto forma una profonda rivoluzione nei rapporti tra i sessi, mentre l’incubo della perdita di peso sul piano internazionale favorisce nel 1979 la vittoria di Margaret Thatcher. 
L’Inghilterra degli anni Ottanta ritratta nei film di Ken Loach, di Mike Leigh e di Stephen Frears è un paese violento, diviso, sensibile alle parole d’ordine del razzismo e dell’intolleranza. La ricerca di un’identità multiculturale caratterizza, invece, l’indagine letteraria dei nuovi autori, spesso - è il caso di Rushdie e di Naipaul - approdati a Londra da altri continenti. 
Sul piano politico gli avvenimenti centrali della realtà contemporanea sono la crisi della monarchia e un veloce cambio di passo verso la piena modernizzazione imposto dai laburisti guidati da Tony Blair, vittoriosi grazie al progetto di uno stato a forte partecipazione collettiva, costruito per offrire ad ogni individuo uguali opportunità di partenza.

23 ottobre 2025

"UK, UN CALCIO A TUTTA BIRRA" di Christian Giordano

«Team which drinks together wins together», la squadra che insieme beve insieme vince. 
La nota citazione di Richard Gough, ex capitano dei Rangers, spiega molto della drinking culture del calcio britannico. A metà anni 90 i Blues dettavano legge in campo e al pub, ambiti dove Gascoigne, lo stesso Gough, Ally McCoist, Ian Durrant e compagni dettavano legge. Altri tempi.

Nel calcio britannico la “cultura del bere” era tradizione. E lo è ancora, nelle serie inferiori. Si gioca, e dopo si va a pinte. George Best, Paul “Gazza” Gascoigne, Paul Merson, Tony Adams (56 giorni di carcere alla Chelmsford Open Prison nel ’90 per guida in stato di ebbrezza; a Jamie Pennant del Liverpool, Jermaine Defoe del Portsmouth e tanti altri è andata meglio), sono solo i più famosi ad essersi spinti troppo oltre, fino a scivolare nell’alcolismo o in altre patologiche dipendenze.

Merson (oltre 500 mila sterline perse alle scommesse) si ritrovò a guidare di notte a fari spenti in cerca di un muro, prima di rendersi conto dell’abisso - di droga, gioco d’azzardo, alcool - in cui era precipitato e che gli era costato la famiglia.

Jimmy Greaves ne uscì, e per anni non toccò un goccio. Negli anni 70 in Stan Bowles, Alan Hudson, Rodney Marsh, Frank Worthington (e persino Robin Friday, il più grande mai giunto nei pro’) veniva identificata una intera generazione di Mavericks: purosangue in campo, senza controllo fuori.
Nel 1998 Malcolm McDonald, ex centravanti di Newcastle Utd e Arsenal e recordman di reti (cinque) in una partita con la nazionale, per disintossicarsi, convinto da Merson, entrò in una clinica da 325 sterline il giorno, cifra co-versata dalla PFA, il sindacato giocatori.

Per emularlo, nel 2000, Adams – prostrato da anni di “Tuesday club”, le bevute del martedì – ne ha addirittura fondata una, la Sporting Chance (appena sovvenzionata con 50 mila sterline dalla FA), specializzata nella disintossicazione di sportivi professionisti affetti da varie forme di dipendenza: alcool, gioco d’azzardo, stupefacenti. Tra i primi a beneficiarne Adrian Mutu, l’attaccante romeno della Fiorentina licenziato (anni fa) dal Chelsea per uso di cocaina.

L’esempio di Adams è stato seguito anche da Alex Rae, ex giocatore di Sunderland, Millwall e Rangers. Ha smesso di bere, 29enne. E a Glasgow ha aperto una struttura no-profit di recupero per alcolisti e tossicodipendenti. Bere in compagnia, in passato, veniva visto come lasciapassare per essere accettati dal gruppo, per non dire branco. O come passatempo sociale. Emblematici i casi degli irlandesi al Manchester United: Norman Whiteside (del nord), Roy Keane, compagno di sbronze dello sciupafemmine Lee Sharpe, e il nero Paul McGrath («bere mi dava coraggio»). O quello di James Beattie, che aggredì con una mazza da golf John Arne Riise nel ritiro del Liverpool.

Gascoigne era così abituato alla “poltrona del dentista” – famigerata usanza da ritiro che toccò il culmine con l’exploit dei nazionali inglesi in un pub di Hong Kong prima di Euro 96– che dopo un gol con l’Inghilterra la mimò nell’esultanza: steso a terra a bocca e braccia aperte, beveva a getto dalla borraccia che Teddy Sheringham, in piedi, gli spremeva contro sotto gli occhi di Gary Neville. Per una volta, però, era acqua.

Tutto è cambiato con l’arrivo di calciatori e tecnici stranieri, primi fra tutti Dennis Bergkamp e Arsène Wenger, il quale all’Arsenal impose subito la chiusura del bar del club ai giocatori.
Lo stesso hanno fatto al Liverpool lo spagnolo Rafa Benítez, e prima di lui il francese Gérard Houllier (quando i turbolenti giovani dei Reds venivano chiamati Spice Boys), e l’Aston Villa ai tempi di John Gregory. Il Manchester United di Alex Ferguson, uno della vecchia scuola, è arrivato a proibire ai suoi i nefasti party natalizi, l’ultimo dei quali (2007) sfociato con un mai chiarito episodio di violenza sessuale ai danni di una 26enne.

Coi bei soldoni in ballo dalla Premier League in giù, ogni club ora dispone di dietologi, nutrizionisti e specialisti che ragguagliano i giocatori sui disastrosi effetti di alcool e altri abusi.
Con non infrequenti, spesso fragorose eccezioni (lo show di John Terry del Chelsea davanti agli atterriti passeggeri americani all’aeroporto l’indomani dell’Undici settembre; le 7-8 pinte di vodka e rum di Jonathan Woodgate la notte in cui venne attaccata Sarfraz Najeib e pagate con 100 ore di servizi sociali, il Lee Bowyer, allora suo compagno al Leeds United, «del tutto fuori di sé» al nightclub Majestyk di Leeds; l’intero Leicester City cacciato da un hotel spagnolo nel 2000; Stan Collymore che picchia la compagna Ulrika Jonsson, poi fiamma di Eriksson, o stacca un estintore), perlomeno nel calcio di alto livello la drinking culture è cessata di colpo. Adesso, la squadra che vince insieme beve insieme. Non viceversa.
di Christian Giordano, da https://sportspoetssociety.blogspot.com

21 ottobre 2025

🇬🇧UK in ITALY. La rivista "FEVER PITCH. Storia e storie di calcio e cultura britannica" (2008-2012)

Ancora una volta è Giacomo Mallano insieme a tanti amici appassionati di calcio inglese. Nel dicembre 2008 esce il primo numero di "FEVER PITCH. Storia e storie di calcio e cultura britannica", con una grafica accattivante, questa nuova rivista è uscita per ben 4 anni con 16 numeri + 2 monografie (una dedicata alla Fa Cup e l'altra al Dirty Leeds). Tanti articoli e tante storie raccontate fino al 2012. 

📌https://feverpitchfanzine.blogspot.com

"SIMPLY GEORGE BEST" di Diego Mariottini (Edizioni LaSerra), 2025

Verso la metà degli anni Sessanta i calciatori inglesi non portano ancora i capelli lunghi fin sotto le spalle e non giocano con la maglia fuori dai calzoncini. Inoltre, George Best ha un’altra particolarità che sembra infrangere qualsiasi forma di etichetta in campo (anche se non è il primo in assoluto ad averlo fatto): non si sente granché a suo agio con i parastinchi, se può non li mette. A suo rischio e pericolo, ma non per vezzo o altro. 
È per altri motivi che vuole farsi notare da quelli sugli spalti e da chi scrive sul giornale. Matt Busby ne è perfettamente consapevole. Infatti, chiude un occhio, anzi, talvolta se li benda entrambi. Come fa il presidente stesso, Harold Hardman. «Hey, che problema c’è? Una bevutina ogni tanto non fa male a nessuno» sostiene convinto il capo supremo. 
A dire il vero il problema c’è, perché a forza di tenere gli occhi chiusi possono sfuggire dettagli importanti. Come, per esempio, il fatto che un ragazzo promettente passi buona parte del tempo libero nei pub di Manchester dove notoriamente non servono aranciata e Coca-Cola. 
Per di più, la fama sta rendendo sempre più appetibile agli occhi delle ragazze un giovane che, per carità, brutto non è, ma quando si diventa personaggi pubblici non serve un genio per rendersi piacenti agli occhi altrui. La sottovalutazione di un problema è essa stessa un problema.

20 ottobre 2025

STADIA. "EVERTON. IL MERSEY E UNA NUOVA CASA" di Luca Manes

L’ultima volta che l’Everton traslocò in un nuovo stadio la regina Vittoria sedeva sul trono e Liverpool era il crocevia del commercio mondiale. Si era, infatti, nel lontano 1892 e la prima squadra per anzianità della città sul fiume Mersey fece il breve tragitto, meno di un miglio, che da un estremo all’altro dello Stanley Park separava la vecchia casa, Anfield, per il più grande e allora moderno Goodison Park. Proprio Anfield andò ai cugini del Liverpool, che lì hanno poi vissuto una caterva di giornate gloriose.

Ora l’Everton si è spostato in quello che una volta era il cuore pulsante della città, l’area dei Docks. Un’area che poi divenne simbolo di decadenza e degrado, soprattutto nei lunghi anni di macelleria sociale del governo guidato da Margaret Thatcher. Dove sorge l’Hill Dickinson – nome «imposto» dallo sponsor di turno – prima c’era il bacino artificiale del Bramley-Moore Dock. Un video di due minuti racconta come l’invaso sia stato prosciugato, ricoperto di terra e poi sopra sia stata costruita la nuova arena, costata oltre 800 milioni di euro e inaugurata lo scorso 24 agosto con il match di Premier tra i Toffees e il Brighton, 133 anni esatti dopo l’esordio al Goodison Park. Noi l’abbiamo visitata tre giorni dopo, in occasione dell’incontro di secondo turno di Coppa di Lega – la sorella povera della Coppa d’Inghilterra – contro il team di terza serie del Mansfield Town. Anche in quell’occasione i 52mila posti di capienza erano andati tutti esauriti.

Dal Royal Liver Building, il palazzone con alla sua sommità le statue del mitologico liver, uccello metà cormorano e metà aquila, ci vogliono quasi 40 minuti di cammino fino all’Hill Dickinson. Sul lungo fiume, dalla parte già ampiamente riqualificata dei Docks, piena di musei e locali e con la celeberrima statua dei Fab Four, bastano pochi metri per essere poi scaraventati nel passato. Magazzini abbandonati, pub defunti e deliri brutalisti, come i tubi di ventilazione del tunnel che passa sotto il fiume Mersey, compongono il panorama. Già si intravedono, però, i germogli dell’incipiente gentrificazione: i cartelli dei lavori in corso sono onnipresenti, l’immensa Tobacco House sta già riprendendo vita, mentre il Bromley Moore pub, dopo anni di magra, è invaso dai tifosi.

Già, i tifosi. Per loro l’Hill Dickinson Stadium è una sorta di epifania, un nuovo inizio per la nobile decaduta del calcio inglese quale è l’Everton, a digiuno di vittorie da troppi anni e pericolosamente vicina alla zona retrocessione in varie occasioni. Il tutto mentre gli «altri», i cugini del Liverpool, continuano a veleggiare nell’élite del calcio mondiale.
Come a voler confermare questo stato mentale, durante l’anabasi verso la nuova arena scorgiamo vari cappellini che fanno il verso al MAGA trumpiano, con Everton al posto di America. Il riferimento alla proprietà a stelle e strisce, quel Friedkin Group che da noi è al comando della AS Roma, non appare per nulla casuale.

L’unica perplessità che abbiamo colto nel flusso di supporter è il doversi accollare la lunga camminata durante i mesi più freddi dell’anno, quando il vento che arriva dalla Mersey è implacabile e ti taglia la faccia. In macchina bisogna parcheggiare almeno a 20 minuti dallo stadio, i collegamenti con i mezzi pubblici sono al momento un problema, quindi serviranno tante sciarpe e giacconi pesanti.

Ma questo barlume di negatività sparisce alla vista dello stadio, contornato dai muri e dalle torrette del vecchio dock e con una struttura esterna dove i mattoncini rossi di vittoriana memoria si amalgamano bene con materiali più moderni. Per intenderci, non c’è l’effetto astronave come per tante arene moderne, per esempio quelle di Tottenham e Arsenal a Londra. Poi all’interno l’architetto statunitense Dan Meis è riuscito a sfruttare il massimo della pendenza consentita per permettere ai tifosi di sentirsi vicino al campo.

Parlando con alcuni tifosi dei Blues, però, traspare un po’ di nostalgia per il vecchio e glorioso Goodison Park. Le lacrime versate in occasione dell’ultima partita nell’impianto che ha ospitato anche i mondiali del 1966 sono state tante, ci sono centinaia di video a testimoniarlo. Ma per una volta la storia del traumatico addio alla casa di mille emozioni calcistiche ha preso una direzione diversa: Goodison Park non sarà abbattuto per favorire speculazioni edilizie, come accaduto per tanti stadi storici, come il Boleyn Ground del West Ham o il Maine Road del Manchester City. Goodison Park continuerà a ospitare partite di calcio, quelle della prima squadra femminile dell’Everton. Un’ottima notizia per gli amanti della tradizione e del calcio del bel tempo andato.
di Luca Manes, da https://ilmanifesto.it

17 ottobre 2025

"LETTERE DA LIVERPOOL" di Stefano Ravaglia (Battaglia Edizioni), 2020


Lettere da Liverpool è il racconto della storia sportiva unica e irripetibile del Liverpool Fc: le vicende calcistiche della squadra del Mersey sono sempre state fortemente collegate gli aspetti culturali e politici della città e dei personaggi che l’hanno attraversata. Non si tratta di un racconto cronologico: in undici capitoli si snodano le partite, le gesta di molti protagonisti in maglia rossa (di oggi e del passato), sconfitte e trionfi, momenti tragici (Heysel e Hillsborough), e gli eventi di un luogo che, con la magia e la musica dei Beatles e le rivolte degli operai, è stata protagonista assoluta delle rivoluzioni sociali contemporanee.
In un momento magico per il Liverpool FC che si prepara a vincere la Premier League a distanza di 30 anni dall’ultimo trionfo, questo libro è dedicato ai tanti tifosi e simpatizzanti dei “reds” in Italia. Il libro è supportato dal Official Liverpool FC Supporters Club Italy che ringraziamo per il sostegno e l’entusiamo nella persona di Nunzio Esposito.

“Nient’altro che acqua fangosa. Una città sempre dalla parte del torto e la cui storia è stata attraversata da momenti densi e significativi, spesso rudi e violenti con punte drammatiche che ha avuto sin dalle origini significati sinistri. Quella era infatti la traduzione di “Liuerpul”, la prima traccia di denominazione della città affacciata sul Mersey”.
[da Lettere da Liverpool di Stefano Ravaglia]

16 ottobre 2025

🇬🇧UK in ITALY. "CALCIOINGLESE.IT (2005-2006)" Fanzine ciclostilata.


Era la primavera del 2005.
Tempo di FA Cup Final e Giacomo Mallano usciva con il primo numero di
"CALCIOINGLESE.IT" rivista cartacea ciclostilata in proprio del sito d'internet di allora calcioinglese.it.
"Racconti e "stimoli", materiali e suggerimenti, storie e idee.." questo era la pubblicazione
"CALCIOINGLESE.IT", uscita per 2 anni dal 2005 al 2006 in 4 numeri totali.
Un consiglio.. leggete l'Editoriale qui sotto del primo numero  ne vale la pena e ti riporta indietro nel tempo (quando i social non esistevano).


"HARD SIXTIES. Storie tese dalla periferia scozzese" di Giacomo Mallano

A metà degli anni ’60 il calcio scozzese piombò in una crisi economica e di interesse che sarebbe sfociata (dopo anni di dibattiti) nella ridefinizione della piramide professionistica. 
Una crisi solo mascherata dagli exploit continentali di Celtic (1967) e Rangers (1968): dietro l’Old Firm si stava aprendo infatti un divario destinato a durare ancora oggi, un duopolio cui il pubblico scozzese non era preparato, e a cui reagì voltando le spalle allo spettacolo calcistico. A dicembre del 1964 le presenze totali facevano registrare un calo di 298.000 spettatori rispetto ad un anno prima, a fine stagione il calo arrivò a 435.000 unità. Troppe per non convincere la Football League a intervenire.

La proposta per rilanciare l’interesse popolare fu la creazione di una Terza Divisione, con riallocazione dei 37 club professionistici (all’epoca divisi in sole due Divisioni) secondo uno schema 14-12-12, con ammissione di un nuovo membro per arrivare al totale di 38. La (condivisibile) considerazione da cui partiva la SFL era che il movimento scozzese non fosse in grado di proporre diciotto formazioni competitive (in First Division). 
Questo faceva si che il campionato perdesse rapidamente interesse, ‘ucciso’ da un divario sempre più ampio fra le poche grandi e le altre, con troppe partite inutili (le promozioni e retrocessioni erano su base elettiva) e dunque poco attraenti per il pubblico. Creare tre divisioni più piccole e più omogenee poteva essere uno stimolo alla competizione. 
Da parte loro i club si arroccarono in una difesa abbastanza miope dei diciassette incassi casalinghi stagionali: una divisione di 14 club sarebbe ‘costata’ quattro partite casalinghe in meno, e in un’epoca in cui gli incassi al botteghino erano l’unica fonte di sostentamento si trattava di una prospettiva malvista. Era questa una remora cui la SFL aveva pensato nel redigere la propria idea, proponendo il varo di una nuova Coppa nazionale con cui ‘riempire’ il calendario in primavera…ma non ci fu niente da fare, l’incontro convocato a Glasgow il 22 marzo del 1965 andò quasi deserto e questo primo tentativo di riforma si arenò ancor prima di partire.
Nelle more di questo delicato momento di trasformazione dell’intero calcio scozzese, alcuni club attraversarono vicende singolari e tumultuose, poco note perché non erano ‘grandi’, ma non per questo meno suggestive e affascinanti.
Nella proposta della SFL, ad esempio, in Second Division avrebbe militato l’E.S. Clydebank, dove E.S. stava per East Stirlingshire. Accoppiamento curioso, visto che Clydebank è sulla costa ovest e l’East Stirlinghsire dalla parte opposta. Tutto era iniziato nel 1957, quando i fratelli Steedman avevano acquisito il controllo dell’East Stirlinghsire per 1.000 sterline. 
Il secondo club di Falkirk militava all’epoca in Second Division, ma l’entusiasmo e l’impegno dei nuovi proprietari lo portò nel giro di cinque stagioni in First Division, per la prima volta in trent’anni. Il 1963/64 fu una stagione memorabile, con affluenze di oltre 7.000 persone, ma la sfida a Celtic & co. si rivelò improba, e con soli 12 punti in 34 partite l’East Stirlinghshire tornò in Second Division. Una delusione che convinse i fratelli Steedman a cercare strade alternative al successo, e a trovarle (secondo loro) nel trasferimento del club (e del suo titolo sportivo) a Clydebank, per fonderlo con la locale squadra semi-pro (e chiamare la ‘creatura’ E.S. Clydebank). La decisione, assunta in una riunione ‘informale’ (eufemismo) del Board, incontrò da subito una imprevista resistenza della comunità locale. In un ambiente in cui il calcio aveva suscitato entusiasmi solo intermittenti e mai a livello di epidemia, le manifestazioni popolari di protesta sorpresero forse gli stessi promotori dello Shareholders Protection Association, l’organismo varato per tutelare gli interessi dei piccoli azionisti. 
In una prima fase non ci fu però niente da fare, la ‘piazza’ perse la battaglia e nell’agosto del 1964 l’E.S. Stirlingshire fece il suo esordio ufficiale in campionato. Storia finita? Nemmeno per sogno, gli ‘ultras’ del vecchio club affidarono il caso a Robert Turpie, un avvocato di Glasgow che aveva già assistito piccoli club negli anni precedenti, maturando un’esperienza specifica nel settore. Imprevedibilmente l’intervento del ‘principe del foro’ ribaltò la situazione: appellandosi ad un cavillo nel trasferimento di azioni ai fratelli Steedman, Turpie ottenne dal Giudice l’annullamento di tutte le decisioni successive, incluso il trasferimento a Clydebank. Fu così che nell’agosto del 1965 oltre 3.000 spettatori si accalcarono nel piccolo Firs Park per applaudire il ri-esordio dell’East Stirlingshire, e ai fratelli Steedman non restò che ripartire da un nuovo club, il Clydebank, che esordì in Second Division nel 1966/67.

Per una storia dal finale lieto e romantico, negli stessi anni se ne consumò una (calcisticamente) tragica, quella del Third Lanark. Membro fondatore della SFL, il club di Glasgow non aveva mai avuto timore di sfidare gli scomodi e ingombranti ‘vicini’ di Celtic e Rangers.

A cavallo degli anni ’60 aveva anzi vissuto una stagione felice, con il 3° posto nella First Division 1960/61 e la finale di Coppa di Lega nel 1959. La linea offensiva formata da Hilley, Goodfellow, Harley, Gray e McInnes (nel classico 2-3-5 dell’epoca) rivaleggiava quelle leggendarie rei Rangers o del Dundee (con i vari Gilzean, Cousin, Smith, Penman, Robertson).
La sventura del club non fu quindi di origini sportive, ma fu invece frutto dell’avidità speculativa del suo Chairman, William Hiddleston, il quale a un certo punto si convinse che l’area del Cathkin Park era troppo appetibile a livello commerciale per lasciarla al calcio. Dopo aver rastrellato fra il pubblico un numero sufficiente di azioni, avviò una subdola strategia di impoverimento del club: venduti i giocatori migliori a prezzi ridicoli, non pagati o pagati tardi gli altri, abbandonate a sé stesso le strutture dello stadio, ‘trascurate’ le regole basilari di buona e trasparente amministrazione, il Third Lanark finì in breve nell’occhio del ciclone. Il Board of Trade aprì un’inchiesta ufficiale e riscontrò un numero infinito di irregolarità e frodi, perpetrate da Hiddleston e dal suo staff.
Ineffabile, il boss dello storico club di Glasgow andò avanti per la sua strada, cedendo ad un’impresa di costruzioni l’intera area su cui sorgeva il Cathkin Park (incluso lo stadio). Nonostante gli sforzi delle autorità locali e le proteste dei tifosi, il Third Lanark non si iscrisse al campionato 1967/68, privando la First Division di una delle storiche protagoniste del calcio scozzese. Mentre tutto sembrava perduto due colpi di scena degni di Ken Follett riaprirono i giochi: il Comune negò il permesso di costruire sull’area del Cathkin Park, vanificando di fatto la speculazione edilizia di Hiddleston, ma soprattutto lo stesso Chairman morì improvvisamente, salvandosi di fatto dai numerosi procedimenti penali già avviati a suo carico, e lasciando tutti con il fiato sospeso. Sebbene estirpata la causa del male, però, la malattia era andata troppo avanti, e ogni sforzo di salvare in extremis il club fu vano. Glasgow perse una squadra storica e importante, e di fatto iniziò in quel momento il processo di polarizzazione del calcio cittadino (e di tutta la Scozia) intorno ai due giganti Celtic e Rangers. Partick Thistle, Queen’s Park (il primo club scozzese), Clyde, faranno sempre più fatica a tenere il passo delle rivali cittadine, e perfino a restare nelle divisioni d’elite della SFL. 

Mentre l’Old Firm diventava sempre più forte, insomma, le altre si indebolivano a vista d’occhio. Gli ‘anni europei’ di Celtic e Rangers non furono quindi frutto di una crescita complessiva del movimento scozzese, quanto della concentrazione delle risorse (poche) tecniche ed economiche dove c’era qualche possibilità di vincere, lasciando agli altri solo la nostalgia del ‘grande Dundee’, dei ‘grandi Hibs’, del ‘grande Kilmarnock’…
di Giacomo Mallano, da "UK Football Please"

14 ottobre 2025

"VOLEVO DIRTI GRAZIE" di Fabio Del Secco (Art Libri), 2025

"Volevo dirti grazie" è il racconto di un viaggio, nei luoghi natii della Subbuteo (intesa come azienda prima ancora che come gioco), e delle emozioni che il trovarsi là, dove tutto è cominciato, ha innescato.
Nel Natale del 1977 l’invenzione di Peter Adolph, ornitologo nativo di Brighton ma residente nel Kent, entrò prepotentemente nella mia vita, vi si soffermò per diverso tempo e poi sparì, per darmi infine appuntamento dopo trent’anni quando ormai “il credito residuo” si sta gradualmente esaurendo e le ferite si ostinano a non risarcirsi, ma al momento giusto per decifrare e capire quella stessa invenzione, e fare di questa decodifica lo strumento per sistemare le cose con il passato. A Peter Adolph e ai suoi luoghi ho dedicato un viaggio, perché spesso viaggiare è anche chiudere un cerchio.

13 ottobre 2025

[BRIT MUSIC] "CLAPTON IS GOD" di Giuseppe Lavalle

Non lo dico io, ci mancherebbe, ma la scritta apparsa nella stazione della metro di Islington, a Londra, nel 1967. Ed io ne ho le prove! 
Qualche anno fa ero ad Hyde Park per ascoltare la sua chitarra. Una giornata memorabile, da chitarrista pivello quale sono, ero di fronte al Dio del blues. La sua musica racconta la sua anima, il suo percorso di vita, con alti e bassi come tutti noi. La scoperta di essere quasi orfano e di essere stato cresciuto dai nonni e non dai genitori, con una sorella che in realtà era la madre, la droga e l’alcolismo, le donne e gli amori impossibili, la tragedia della morte assurda del figlio di 4 anni precipitato dalla finestra di un grattacielo e la malattia degenerativa. Tutto questo passa tra le note delle sue canzoni e la frasi suonate con la stratocaster. Non sono assoli stupefacenti o virtuosismi eccessivi, non a caso lui e soprannominato slowhand, ma racconti di quello che sente, di quello che è. C’è un bellissimo libro dal titolo "La filosofia di Eric Clapton. Il blues come sapere dell’anima", Memesis Edizioni scritto da Alberto Rezzi, che racconta la vita del 80enne di Ripley come “un percorso filosofico nella musica e nelle traiettorie esistenziali di Eric Clapton, per ricercare quel sapere dell’anima che per il chitarrista inglese significa blues”. Clapton ha avuto un enorme successo suonando in tanti gruppi, ma lasciandoli quando sentiva che non era quello che voleva, lui voleva fare blues. E’ diventato l’uomo del blues, e ad Hyde Park era di fronte a me.

11 ottobre 2025

🇬🇧UK in ITALY. 💻GODSAVETHESOCCER🇬🇧!! Il primo forum in italia sul calcio inglese.

Il primo forum in italia sul calcio inglese.
Nato nel 2001 sulla piattaforma di Yahoo da un idea di Lorenzo Rossi ed Alessandro Bevilacqua, il primo newsgroup sul calcio inglese in Italia, ha riunito tantissimi amanti, stimatori e tifosi di calcio britannico, che fino all'avvento di internet credevano di essere unici o tra i pochi. Dal gruppo tante iniziative, incontri, meeting e la nascita della fanzine "UK Football please".
GODSAVETHESOCCER!! Chi c'era o ricorda?

"IN INGHILTERRA CON JANE AUSTEN" di Giuseppe Ierolli (Perrone Editore). 2022

Jane Austen ha sempre raccontato ciò che conosceva perfettamente, ovvero i luoghi e l'ambiente sociale che frequentava nel corso dei suoi spostamenti all'interno dell'Inghilterra del sud, sia per i diversi cambi di residenza che per vacanze o visite a parenti e conoscenti. Conoscere i luoghi in cui ha vissuto o ha visitato, e rintracciare il suo passaggio anche in posti ormai spariti o che hanno subito notevoli cambiamenti, è quindi uno dei modi per ripercorrere la sua biografia e rileggere i suoi romanzi con una consapevolezza diversa. Giuseppe Ierolli ci accompagna in un viaggio letterario tra le pagine e la vita di una delle più importanti autrici della storia.

10 ottobre 2025

"UNITED vs WEDNESDAY. Il derby duro come l’acciaio di Sheffield" di Andrea Maggiolo (Bradipolibri), 2021

Al di qua del Canale della Manica in pochi sanno di che cosa si tratti. Invece a Sheffield lo Steel City Derby e lo Steel City Divide (la divisione della città tra opposte tifoserie) sono parte integrante del comune sentire dal 1890, quando le due squadre, in un freddo giorno di dicembre, si sono incontrate per la prima volta su un campo di calcio. La divisione delle tifoserie è oggi tutt'altro che "classista", non c’è politica o religione che tenga (a differenza, ad esempio, dell'Old Firm di Glasgow). Il derby è vita quotidiana. Ci sono tifosi del Wednesday che non mangiano lo streaky bacon, quello a strisce, perché gli ricorda la maglia dello United. Ci sono quelli che non menzionano né fanno riferimento ai loro rivali per nome, ma sempre e solo come "loro" o "l'altra parte". Le nuove generazioni si nutrono dei ricordi dei più anziani in attesa del prossimo incontro. Wednesday (Owls, i gufi biancoblu) contro United (Blades, le lame biancorosse). E' raro che a Sheffield un bambino appassionato di football tifi per Manchester United, Liverpool, Chelsea o Arsenal. Si va allo stadio, in tanti, si nasce e si cresce "red or blue", Wednesday o United. Una rivalità fiera, tosta, che pervade tutto nelle settimane che precedono e seguono i derby, e al cui interno sono state scritte emozionanti pagine di storia del football.Sheffield città industriale, la città "più brutta del mondo antico" secondo George Orwell. Più prosaicamente Steel City, la città dell'acciaio, mezzo milione abbondante di abitanti nel South Yorkshire. Per decenni le acciaierie di Sheffield sono state il simbolo e il cuore dell'Inghilterra operaia, quella del nord, da cui Londra a volte è lontanissima, sentimentalmente ancor più che geograficamente. L'acciaio di Sheffield è ancora oggi esportato in tutto il mondo, ma è il mondo a essere cambiato, ben più della sfida tra le due anime della città. United - Wednesday da più di un secolo non è una semplice partita di pallone. La città trasuda football: qui nel 1857 è stata fondata la prima squadra di calcio della storia, lo Sheffield Football Club, da sempre e orgogliosamente per sempre nelle divisioni inferiori. Qualche anno dopo sono arrivate Wednesday e United, che da 130 anni danno vita a uno dei derby più caldi, competitivi e sentiti del pianeta calcio.

9 ottobre 2025

"BELFAST CELTIC. The Grand Old Team" di Damiano Francesconi

Tra i vari scenari di carattere sociale e geopolitico europeo non vi è luogo più ricolmo di contraddizioni e questioni ideologiche, molto spesso, contrastanti dell'Irlanda del Nord. 
Le “sei contee” a nord della Repubblica d'Irlanda sono state, da molto tempo, terreno fertile per vere e proprie battaglie sociali dove, nella maggior parte dei casi, finivano sempre con dei feriti o, peggio, dei morti da ambo le fazioni.
Queste due suddivisioni presero vita a partire dal 1922 a seguito della guerra anglo-irlandese la quale si concluse con la vittoria dell'IRA, sulla British Army, portando così l'Irlanda, come la conosciamo oggi, ad una tanto sognata indipendenza da Londra.
Nel nord dell'Irlanda, però, sei contee rimasero sotto il predominio della corona. Queste sei contee sono racchiuse nella cosiddetta regione “Ulster” e, dal 1922, sono sempre rimaste fedeli a Sua Maestà. In Irlanda del Nord i cittadini cattolici, nonché simpatizzanti per l'unità e per l'indipendenza irlandese, venivano discriminati sia dalla maggioranza protestante che dal governo della provincia dove, partito di maggioranza del parlamento autonomo nordirlandese, era l'Ulster Unionist Party.
Per i cattolici era più difficile trovare lavoro. Questi subivano discriminazioni anche quando si trattava delle assegnazioni delle case popolari. Tutto ciò avveniva anche dove i cattolici erano la maggioranza come, per esempio, a Derry. Anche da quelle parti le circoscrizioni elettorali erano disegnate in modo da non permettere ai cattolici di vincere le elezioni.
In una perenne polveriera come quella nordirlandese determinate tensioni si sono, molto spesso, mescolate con lo sport più seguito al mondo. Il calcio.
Tra i club che fecero e fanno grande il calcio nordirlandese vi sono: Linfield, Glentoran, Lisburn Distillery e Belfast Celtic.
Proprio quest'ultima è la protagonista di questo articolo. Oggi, purtroppo, il Belfast Celtic non esiste più in quanto venne investita da una triste sorte che verrà spiegata più avanti nell'articolo. Andiamo con ordine.

Il club venne fondato il 14 marzo del 1891 portando il nome, semplicemente, di “Celtic” prendendo palese ispirazione dal più noto Celtic Football Club di Glasgow. Tra gli altri riferimenti con il club di Glasgow, oltre al nome, vi erano anche i colori sociali. Venne adottata la casacca da gara a bande orizzontali bianche e verdi. Nel 1901 il club divenne un società per azioni così dovette mutare il suo nome in Belfast Celtic FC proprio per differenziarsi dagli amici di Glasgow. Lo storico simbolo del club era la nota Arpa Irlandese con un predominio di tonalità color verde. Le partite casalinghe venivano giocate al Celtic Park (stesso nome dell'impianto del più famoso Celtic scozzese) soprannominato dai propri tifosi: “The Paradise”. Questo impianto era sito in Donegal Road a West Belfast, non lontanissimo dal quartiere “lealista” colmo di tifosi del Linfield, storici tifosi rivali filo britannici.
Il Belfast Celtic vinse il suo primo titolo nel 1900 proprio ai danni dei più blasonati rivali del Linfield. La violenza politica che travolse l'Irlanda negli anni '20 si riversò sugli spalti della Lega irlandese. Nel 1920, l'Irish Football Association multò e sospese il club in seguito a violenti incidenti avvenuti durante la semifinale della Irish Cup
Quel giorno il Belfast Celtic affrontava il Glentoran: una persona portò una pistola allo stadio e iniziò a sparare sulla folla. Come detto in precedenza quelli erano anni molto difficili per l'Irlanda in cui era in pieno svolgimento la guerra d'indipendenza irlandese.
Quando il club venne reintegrato dalla Football Association questi attraversò un periodo di straordinaria grazia vincendo numerosi trofei nazionali tra coppe e campionati di massima serie. Il periodo a cavallo tra le due guerre mondiali venne rinominato “era d'oro del Belfast Celtic”.
Sul campo, il Celtic di Belfast, dava vita a straordinarie prestazioni e vittorie cercando di emulare il, “fratello maggiore”, Celtic Glasgow in Scozia. D'altro canto, però, l'Irlanda del Nord e Belfast in particolare erano sempre terreni fertili per tensioni sociali non da poco e, molto spesso, i tifosi del Belfast Celtic si trovavano coinvolti in questioni di ordine pubblico particolarmente quando l'avversario dinnanzi a loro era il tanto odiato Linfield Fc.

Nel 1946, terminato il secondo conflitto mondiale, riprese il campionato di calcio nel nord dell'Irlanda nonostante negli della guerra non venne mai realmente sospeso. Le vecchie rugini tra filo-indipendentisti irlandesi e filo-britannici persistevano, il Belfast Celtic era sempre la squadra dei cattolici pro-indipendenza ed il Linfield rimaneva la rivale lealista alla corona. Sulle gradinate, ad ogni incontro, si temeva sempre il peggio ovviamente non per il fatto che le due squadre più blasonate erano sempre in cima alla classifica a contendersi la Premiership. Anche la tensione sociale lontano dai campi gioco era terribilmente aumentata nel secondo dopoguerra. I cattolici erano ancora la minoranza in molte zone non solo di Belfast ma anche di tutta l'Irlanda del Nord. La situazione, purtroppo, precipitò durante il Boxing Day del 1948. 
Si giocava a Windsor Park, la tana del Linfield. I padroni di casa non vincevano un titolo dal 1935 in quanto sovrastati dalla forza dominante del Belfast Celtic. A questo si aggiungeva, anche, la proclamazione della Repubblica d'Irlanda con il riconoscimento britannico. La Repubblica d'Irlanda rivendicava anche le sei contee dell'Ultster e questo fece sì ad alimentare tensioni ulteriori nella capitale. La partita si giocava in un tipico clima nord europeo colmo di freddo e grigiore. I calciatori in campo, da una parte e dall'altra volevano a tutti i costi vincere e di certo nessuno tirava indietro la gamba. La tensione era ai massimi storici e, molto spesso, i calciatori in campo arrivavano alle mani. La partita era bloccata sullo 0-0 i padroni di casa del Linfield giocavano in 9 uomini a causa di due espulsioni; a 10 minuti dalla fine il Belfast Celtic passò in vantaggio grazie al rigore messo a segno da Harry Taylor ma, incredibilmente, poco prima del 90esimo minuto il Linfield pareggiò la contesa grazie alla fortunosa rete di Jackie Russel. Triplice fischio, 1-1, tutti a casa con un punto per parte. Assolutamente no! Fu in quel momento che scoppiò il finimondo con i tifosi del Linfield che invasero il rettangolo di gioco cercando di aggredire i giocatori del Belfast Celtic. Tre calciatori biancoverdi rimasero feriti tra cui Jimmy Jones, centravanti del Belfast Celtic, il quale venne preso di forza dai tifosi di casa trascinato nella tribuna e pestato con una violenza tale tanto da spezzargli un gamba. La sua colpa principale fu quella di essere un protestante che militava in una squadra di chiare radici cattoliche.

La notte stessa la dirigenza del club decise di ritirare la squadra dal campionato in quanto venne superato un certo limite che lasciò tutti sbigottiti in terra d'albione. La rabbia della dirigenza biancoverde era, perlopiù, dovuta alla totale disorganizzazione della polizia la quale rimase in disparte per molto tempo prima di intervenire seriamente a sedare gli animi dei facinorosi. La decisione ormai era stata presa. Si era giunti ad un livello di odio, intolleranza e violenza di ogni genere da parte dei lealisti senza precedenti. Le ultime apparizioni del Belfast Celtic furono in una tournée negli U.S.A. in sporadiche amichevoli nel 1949.
Il Belfast Celtic cessò definitvamente di esistere, a livello di societario, nel 1960 ma, come detto qualche rigo sopra, nel 1949 fu l'ultima partita dei biancoverdi di Belfast.
Finì così, in questa maniera così cruenta e triste, la breve ma intensa storia di uno dei club più importanti e titolati del calcio nordirlandese. Il Belfast Celtic voleva essere, oltre che un squadra di calcio, un punto di riferimento per molti tifosi, più o meno giovani, di fede cattolica e di chiare ideologie indipendentiste. Voleva rappresentare un punto di aggregazione per quella minoranza presente nella capitale dell'Irlanda del Nord. Nel 2011 il noto giornale d'oltremanica, The Guardian, chiese ad un ex tifoso del Belfast Celtic, tale Jimmy Overend, cosa rappresentasse il Belfast Celtic per lui.
L'ottantaseienne rispose così: “il club, aveva illuminato le vite dei cattolici politicamente oppressi e impoveriti come me. Lo scioglimento fu come una nuvola nera che scendeva su di noi. Sembrava come se non ci fosse più nulla per cui vivere. E' un dolore che non se ne è mai andato”
Per gli amanti della questione irlandese, a prescindere da come la si voglia guardare, e per gli amanti dello sport più seguito al mondo, la triste sorte che toccò al Belfast Celtic lascia tanto malumore e rancore. Com'è possibile che in un terra martoriata, come quella nordirlandese, da continue tensioni sociali si possa essere arrivati a questo? Com'è possibile che un club così importante debba cessare di esistere in questa maniera così violenta e priva di senso? Sicuramente chi vive da quelle parti ne saprà molto più di noi che vediamo il tutto dalla nostra “comfort zone” e forse ancora non ne cogliamo realmente la gravità di questo triste finale che colpì il Celtic di Belfast. Senza dubbio è un finale che con il calcio non ha nulla a che vedere. In conclusione è giusto ricordare che nel 2003 è stata creata la “Belfast Celtic Society” un'organizzazione che ha lo scopo di preservare e diffondere la conoscenza storica del “Grand Old Team”.
di Damiano Francesconi

7 ottobre 2025

"FOOTBALL HOOLIGANS (Steamin in)" di Colin Ward (Boogaloo Publishing), 2003


Dopo tanto esercizio letterario da parte di sociologi, giornalisti e romanzieri vari, questo è stato il primo libro ad esplorare il mondo degli hooligans Inglesi dall'interno. Prima di allora la "Terrace Culture" era sempre stata un argomento nebuloso trattato di volta in volta con supponenza o ignoranza. Questa è la storia di un tifoso del football che ha avuto la fortuna di assaporare l'adrenalina delle gradinate negli anni giusti. Ward (con black humour commovente) racconta il proprio viaggio iniziatico partendo dai ricordi giovanili di Leatherhead. Un club con un minuscolo stadio malridotto capace però di trasportare l'immaginario di un'intera comunità con il miraggio di arrivare a Wembley (via Millwall!). 
Anni di formazione prima di poter seguire la propria squadra del cuore, l'Arsenal FC. Londra Nord. Giovani ragazzi che crescono insieme difendendo i colori feudali del proprio club. Le atmosfere di un football terribilmente vintage, così pieno di fascino romantico ancorché ruvido e non avvezzo a qualsivoglia forma di compromesso. Il North Bank di Highbury, i derbies Londinesi e i confronti con le tifoserie del Nord. L'andare in trasferta in tempi in cui la cosa poteva tramutarsi in supplizio e paura. I primi viaggi in Europa al seguito dell'Arsenal. Turbolenze. I rapporti con polizia (Inglese e non), stampa e con la Football Association. Le campagne storiche con la Nazionale, quelle che hanno proiettato i tifosi Inglesi del football negli incubi di mezza Europa, vengono qui ricostruite in prima persona; Torino, Bilbao, Bucarest, Copenhagen, Lussemburgo, Istanbul, Parigi solo per menzionarne alcune. I violenti equilibri fra le varie tifoserie di club riunite sotto la bandiera di San Giorgio. E' la cara vecchia Inghilterra anni settanta e primi ottanta, con i sabati consacrati al rito sociale del football e spesso segnati dai comportamenti devianti e a volte violenti di una parte del pubblico. Dentro e fuori gli stadi, un'interminabile galleria di personaggi incredibili che sembrano usciti dalla penna di un romanziere fantasioso ed imbizzarrito.

6 ottobre 2025

"CYRILLE REGIS. The Human face of football" di Alessandro Nobili

Siamo negli anni 70. In Inghilterra. Un periodo segnato da crisi economica, tensioni sociali, disillusione e la salita all'estrema destra del National Front Party. Questo quadro sociale fece verificare una recrudescenza del sentimento razzista anche grazie alla presenza massiccia di immigrati, che occuparono interi quartieri nelle città inglesi. 
L’aria era pesante e tutto questo malcontento veniva spesso riversato all’interno degli stadi. Bersaglio facile erano quei pochi “colored” che giocavano nella allora First Division. Tra questi ce n’era uno che a modo suo fece epoca: Cyrille Regis. Come ebbe a ricordare anche lo stesso calciatore - A quei tempi se eri un “colored” eri un facile bersaglio per i tanti idioti che frequentavano gli stadi inglesi alla fine degli anni ’70. Insulti di ogni tipo, dal verso ripetuto della scimmia fino al lancio di noccioline o banane. Allora era di moda urlare il proprio odio nei nostri confronti e quasi vantarsi della stupidità razzista –

Cyrille Regis nacque a Maripasoula, nella Guyana Francese, il 9 febbraio 1958. Durante la sua carriera, si dimostrerà un professionista esemplare, persona umile, riflessiva e di grande spessore umano. Un calciatore dalle qualità straordinarie la cui storia tramandata non gli dà assolutamente giustizia. Ma andiamo con ordine. Regis inizia a dare i primi calci nella modesta squadra del Molesey per poi passare nella più prestigiosa FC Hayes (squadra scomparsa nel 2007) dove, inoltre, passò prima una leggenda come Robin Friday e successivamente un’altra icona come Les Ferdinand. Nello Hayes, Cyrille si fa subito notare per la sua prestanza fisica e le doti atletiche fino a che un osservatore del WBA non lo segnala e cercherà di portarlo via. Non fu facile. 
Così dopo un intervento economico personale del capo dello scouting del West Bromwich Albion, Regis approda finalmente in una squadra blasonata e professionista della First Division. È l’estate del 1977 e sulla panchina del WBA dopo l’esonero dell’allenatore scelto dalla dirigenza, a sorpresa, siede proprio il suo scopritore Ronnie Allen e da quel momento in poi Regis inizierà la sua scalata verso la gloria. Il suo esordio avviene con una doppietta in una partita di coppa contro il Rotherham e il suo debutto in campionato contro il Middlesbrough dove segnerà la sua prima rete. Da quel momento in poi, Regis prende in mano l’attacco del WBA e segnerà 10 gol, conclusa con un sesto posto e la qualificazione per la Coppa Uefa. D’altronde in quella squadra c’erano dei giovani talenti come Cunningham e quel Brian Robson che poi fu colonna portante del Manchester United. 
Negli anni successivi tenne fede alla fama che si stava creando come calciatore eccellente, attaccante prolifico e pesante tanto che, con Ron Atkinson in panchina, arriva un terzo posto e soprattutto il WBA diventa la squadra più spettacolare della First Division. Ma nelle Midlands non hanno i soldi che hanno dalle parti di Nottingham o Manchester così, loro malgrado, si vedono costretti a cedere i loro Big. Nel giro di pochi anni parte Cunningham al Real Madrid e Robson che andrà con Atkinson al Manchester United. Nelle Midlands rimane Regis che continua a fare gol e a mantenere il WBA nell’eccellenza del calcio inglese ma Arsenal e Tottenham faranno carte false per portarlo via. Solo che, queste squadre non hanno fatto i conti con la riconoscenza che Regis deve al WBA e al suo mentore che nel frattempo è tornato sulla panchina dei The Baggies. Seguirà una salvezza tribolata in gran parte raggiunta grazie ai 17 gol di Regis che in quella stagione stabilirà il suo record personale. Quello stesso anno Regis siglerà anche 8 reti fino alle due sfortunate semifinali di FA CUP e Coppa di coppa di Lega contro il QPR e il Tottenham Hotspur. Ormai la sua carriera sembra destinata ad essere solo di un colore il bianco e blu quello degli WBA e questo succederà fino al 1984 quando verrà ceduto al Coventry City. Sembrerebbe la fine di un bel sogno e invece proprio al Coventry vinse il suo unico titolo della carriera la FA CUP 1986/87, vinta in una delle più rocambolesche finali viste a Wembley e che vide trionfare il Coventry per 3 reti a 2 nei confronti del Tottenham Hotspurs. Regis fece la sua parte anche questa volta fino alla scadenza del contratto quando l’età anagrafica segnerà 33 primavere fino a che un’altra squadra del Midland lo chiama: l’Aston Villa dove ritroverà Ron Atkinson. Non è più il giocatore esplosivo di qualche tempo fa ma fa il suo e soprattutto è un punto di riferimento. Se gioca spalle alla porta e si piazza tra palla e difensore non c’è verso di spostarlo. 

Trentanove presenze e 11. Ma quella stagione sarà il suo canto del cigno. Finirà la carriera al Chester in quarta divisione. Dopo una collaborazione nella dirigenza del WBA si perdono un po' le sue tracce. La sua vita si fa anche difficile soprattutto quando perde il suo amico e collega Cunningham. Baratro, luce, baratro si riprende e poi nel gennaio del 2018 un infarto se l’è portato via. Durante gli anni i tributi ricevuti in parte spiegano l’importanza che ha avuto questo calciatore nella storia del calcio inglese. Per esempio, nel centro di West Bromwich c’è una statua in bronzo che ricorda il trio Regis-Cunningham-Batson, i tre colored della squadra definiti -The three Degrees – dal mitico Ron Atkinson. 

Ma ci sono anche le testimonianze degli addetti ai lavori dell’epoca che lo definiscono come un punto di riferimento contro la lotta al razzismo. Basti pensare alle parole spese dallo scrittore, opinionista Kenan Malik, indiano cresciuto in Inghilterra che ricorda come Regis fu un punto di riferimento. Il coro più frequente che sentiva ad Anfield, stadio che frequentava, era - There ain’t no black in the Union Jack, all the Pakis can fuck off back – Poi gli bastava vedere Regis giocare e sopportare e pensava che avrebbe potuto farcela anche lui in tribuna. Ma le lodi verso Regis arrivarono anche da campioni che non ti aspetti come Johann Cruyff che avrebbe voluto portarlo all’Ajax nel suo momento di maggior splendore. Oppure le dolci parole di Andy Cole - era il mio idolo da bambino ed è la principale ragione per cui volessi a tutti i costi diventare un calciatore. Era veramente una persona speciale. Tutti noi gli dobbiamo qualcosa –. O ancora il suo mister Ron Atkinson che non lo ha mai abbandonato che esprime in queste frasi rilasciate tutta la sua ammirazione verso Cyrille - Il più forte attaccante che io abbia mai allenato. In campo era una belva assatanata, che lottava come un indemoniato su ogni pallone. Fuori dal terreno di gioco era una delle persone più gentili, disponibili e riflessive che io abbia mai conosciuto. Ricordo come gli insulti e gli abusi che riceveva lo caricassero come una molla. Durante una partita a Leeds fu fischiato e insultato ad ogni tocco di palla. Cyrille segnò due reti fantastiche. A fine partita il pubblico di Elland Road era tutto in piedi ad applaudirlo -

Ma a renderlo leggenda, oltre ai ricordi di un cinquantenne che si crede ancora adolescente e i suoi 158 gol in 600 partite, c’è questa sua battaglia, silenziosa e sorridente, contro il razzismo. I ricordi dei muri del quartiere imbrattati con la scritta - Vota Labourista, se vuoi un nero nel quartiere -. Lui, nel frattempo, ha votato il silenzio e la volontà di far ricredere tutti. Lavoro e abnegazione. Corsa, fisico, determinazione. Più veniva insultato più diventava forte. Nella sua carriera ha reso il razzismo fuorilegge in un’epoca dove l’insulto non era notizia. L’ha fatto con i gol, con la forza fisica e mettendoci sempre la faccia, la faccia umana del calcio. Lui ha fatto da apripista. Ha combattuto per i giocatori della sua epoca e tutelato quelli futuri. Lui, Cunningham, Batson, Viv Anderson (il primo nero nella nazionale inglese).
Lui era Cyrille Regis The Human Face Of Football.
di Alessandro Nobili
https://www.youtube.com/watch?v=eaCVze6H9B4
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