Mi è stato chiesto dagli amici di FIRST DIVISION di raccontare le impressioni sul passaggio da Goodison Park al nuovo stadio che sorge a Bramley Moore programmato, a fine stagione, come tutti sappiamo.
Voglio essere onesto con chi leggerà questo post nello scrivere che non sono in grado di farlo, nel senso che posso raccontare solamente quelle che sono le mie emozioni. Dovete sapere che sono un Evertonian dalla fine degli anni ’90, quando il calcio inglese mi piaceva ma non avevo una squadra preferita sino a che non ho visto i Toffeemen giocare a Goodison Park; l’occasione fu una partita contro il Manchester United, stagione 1990-91, una delle prime partite dal ritorno dello storico Manager Howard Kendall sulla panchina del club che aveva portato ai successi degli anni ’80. Mi piacque tutto di quell’atmosfera, di quel legame tra squadra e tifosi che cominciai a seguire assiduamente grazie ai mezzi di comunicazione di allora, vale a dire quotidiani, riviste (Guerin Sportivo su tutti) e programmi televisivi (c’era ancora TeleCapodistria). Kevin Ratcliffe, Tony Cottee, Neville Southall e gli altri giocatori diventarono la quotidianità di un ragazzino che non era stato “scelto” dalla squadra più forte del panorama calcistico ma che lo rendeva felice indipendentemente dal risultato del campo.
Goodison Park, poi, da sempre ha rappresentato più di un campo da gioco… Chi conosce la storia dell’Everton sa che quello stadio fu costruito perché non si voleva rimanere sotto il controllo del primo proprietario della squadra, il quale voleva sfruttare il fatto di essere proprietario di Anfield per ottenere dividendi da questa situazione; una decisione quella degli altri soci che componevano il Board del club che fece capire una cosa importante: l’Everton non poteva appartenere ad una persona sola, era nato per rappresentare una comunità e la sua gente e sarebbe stato sempre così. Lo stadio sorge in una zona popolare di una città, Liverpool, dove il tessuto sociale è sempre stato molto particolare rispetto alle altre realtà urbane inglesi. La sua gente ha sofferto tantissimo, la disoccupazione è sempre stata all’ordine del giorno e le squadre di calcio rappresentavano un momento per distrarsi e trovare un sorriso dispetto alle difficoltà della vita quotidiana. Chi ha avuto la fortuna di visitarlo avrà sicuramente notato quanto l’ambiente sia “semplice”, con l’aria intrisa da birra e pies che somiglia più ad una realtà amatoriale rispetto ad uno di Premier League e questo poiché la fan base dei Toffeemen è di stampo prettamente “working class” e da qui la nomea di “People’s Club” che lo accompagna da sempre.
Quando è stato annunciata la conferma della costruzione del nuovo stadio di Bramley Moore che prende il nome da un vecchio Dock in disuso sulla riva del fiume Mersey, in tanti sono stati contenti perché hanno visto in questa nuova realtà l’opportunità di poter trovare quei fondi necessari per poter competere con i club più importanti a livello economico, ovvero ciò che è diventato essenziale per riuscire a vincere.
Personalmente, invece, ho subito pensato in nome del calcio moderno l’Everton stava rinunciando alla sua caratteristica peculiare, l’essere un “People’s Club” come citavo sopra; il gioco valeva la candela? Sarebbero stati tutti contenti.
Chi pensa che con Bramley Moore si potesse fare uno passo in avanti per avere nuovi investitori hanno ragione, infatti è arrivata la nuova proprietà americana guidata dalla famiglia Friedkin che ha capito subito l’importanza di questa opportunità per sbarcare nel campionato inglese; alcuni hanno fatto, però, presente, che tante attività che vivono della presenza di Goodison Park saranno destinate a chiudere visto il trasferimento e ciò significherà posti di lavoro in meno in una città come la Liverpool attuale che è migliorata molto negli ultimi anni ma che ancora soffre della mancanza di opportunità lavorative. E’ altresì vero che il nuovo stadio ne creerà altre, che si potranno sviluppare nuovi progetti che dovrebbero far nascere nuove opportunità d’impiego ma saranno uguali a quelle precedenti?
Su questi presupposti i Toffeemen lasceranno la loro vecchia casa per una nuova perché avevano necessità di essere competitivi e ciò non poteva non passare dal dover fare delle rinunce dal punto di vista sociale ma se ciò sarà sufficiente per tornare a vincere lo sa solo il futuro. L’unica certezza, al momento, è che non sarà automatico il non andare più al solito pub, al chiosco dove mangiare un boccone prima del fischio d’inizio o persino alle colonne che ostruiscono la vista del campo in alcuni settori.
Per quanto vecchio, Goodison Park rappresentava tantissimo e lasciarlo a cuor leggero, per chi è un Evertonian Through and Through, creerà un vuoto che nessun trofeo o vittoria colmerà del tutto.
di Davide Ghilardi
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