"This is the second time I've beaten the Germans here... the first time was in 1944. I drove into Rome on a tank when the city was liberated."
A Roma la finale di Coppa dei Campioni era finita da qualche minuto con la sonante vittoria del Liverpool sul Borussia Mönchengladbach ed il manager che per primo era riuscito a portare il titolo europeo ad Anfield Road commentava cosi’ il proprio trionfo.
Sebbene Bob Paisley sia entrato nella storia del calcio da manager, la sua carriera di calciatore è stata tutt’altro che banale, seppure privata di sette dei migliori anni a causa della seconda guerra mondiale.
Bob Paisley nacque a Hetton-le-Hole, nella contea di Durham, il 23 Gennaio 1919. Il padre era un minatore: un primo segno del destino che lo avrebbe voluto a fianco di Shankly e poi al suo posto quaranta anni dopo. Il piccolo Bob si fece presto notare per le sue qualità nelle squadre scolastiche, prima a Barrington e poi alla Eppleton Senior Mixed, scuola a quell’epoca all’avanguardia per quanto riguardava le tecniche di allenamento dei propri giocatori di calcio.
Paisley fu ingaggiato dagli amatori del Bishop Auckland all’inizio della stagione 1937-38 e, nella stagione successiva, fu tra i vincitori del treble (titolo della Northern League, Amateur Cup e Durham Challenge Cup). Le performance di Paisley da terzino sinistro stuzzicarono appetiti ben più altolocati: l’8 Maggio 1939 arrivò la firma per il Liverpool, club all’interno del quale rimase per i successivi quarantaquattro anni.
Lo scoppio della seconda guerra mondiale nel settembre dello stesso anno troncò bruscamente l’ascesa di Bob, il quale ricevette la chiamata alle armi ad ottobre. Paisley combattè prima in Egitto agli ordini del Generale Montgomery, per poi risalire, attraverso il Nord Africa, alla Sicilia. Nel giugno del 1944 attraversò Roma a bordo di un carro armato dopo che gli Alleati avevano liberato la città dal nazi-fascismo, anticipando di 33 anni, come abbiamo visto, un altro trionfo sui tedeschi.
La normale attività calcistica riprese nell’estate del 1946 e fu il Liverpool ad aggiudicarsi il primo campionato del dopoguerra. Peraltro questo trionfo segnò l’inizio di un lungo periodo di declino per i Reds, interrotto solo dalla partecipazione alla finale della FA Cup nel 1950, vinta dall’Arsenal. In quel frangente un imbufalito Paisley, escluso dalla formazione dopo aver segnato un goal decisivo nella semifinale contro l’Everton, arrivò ad un passo dall’addio al club di Anfield. Alla fine egli venne a patti con il proprio disappunto e restò, divenendo anche capitano e disputando 41 partite su 42 nella stagione successiva. La fascia al braccio costituiva una grossa responsabilità, che Paisley onorò fino in fondo, facendo tesoro di un’esperienza che si rivelò molto utile nel corso della futura carriera da manager
Al termine della stagione 1953/54, l’ultima da giocatore per Paisley, il Liverpool retrocesse in seconda divisione. Bob, desideroso di rimanere nell’ambiente, si iscrisse ad un corso di fisioterapia per corrispondenza. Nonostante ciò, fu vicinissimo ad abbandonare il mondo del calcio per aprire un’attività commerciale (nel settore ortofrutticolo). Fortunatamente il Liverpool gli offrì un posto nello staff tecnico, evitando che il manager più titolato nella storia del calcio inglese finisse a vendere verze. Paisley iniziò con entusiasmo ad occuparsi della fisioterapia e poi, come coach, della squadra riserve, accumulando un’inestimabile esperienza a fianco del ciclone piombato su Anfield nel dicembre 1959, Bill Shankly.
Nell’estate del 1974 il manager scozzese annunciò a sorpresa il suo ritiro dall’attività, spianando la strada all’ormai ex-assistente. Quest’ultimo in un primo momento non era molto propenso ad accettare l’incarico: si vedeva più come fisioterapista che come manager; la prospettiva di dover prendere il posto di una vera e propria leggenda vivente come Shankly lo rendeva ancora più dubbioso. La lealtà verso il club ebbe ancora una volta il sopravvento: Paisley accettò ed in seguito ebbe modo di rendersi conto, nel corso di 9 anni di successi ineguagliati, di quanto fossero infondati i dubbi suoi e di molta altra gente.
All’inizio le cose andarono abbastanza bene: grazie ad un buon inizio di campionato il Liverpool passò qualche settimana in testa alla classifica. A novembre però qualche risultato negativo diede il via ad una serie di critiche negative da parte degli organi di stampa. Sicuramente Paisley non aveva il carattere più adatto a fronteggiare situazioni di questo tipo: se Shankly si trovava perfettamente a suo agio sotto i riflettori, il suo successore li detestava, cercando in ogni modo di restarne lontano. Guardare Paisley di fronte ad una telecamera era un’esperienza a volte imbarazzante: sembrava di assistere ad un litigio tra coniugi, con il manager nella parte del marito bastonato!
Come lo stesso Paisley ebbe a dire, la prima stagione fu un insuccesso: il Liverpool arrivò secondo! In ogni caso, le fondamenta per i successi che sarebbero arrivati di lì a qualche anno erano state poste. La più grande abilità del manager in quel periodo fu di scovare prima e far crescere poi i propri ragazzi: giocatori normali diventarono buoni giocatori e i buoni giocatori diventarono grandi giocatori. Phil Neal, fino ad allora sconosciuto, diventò una colonna della difesa; Terry McDermott, mediocre centrocampista al Newcastle, dopo un avvio stentato si rivelò un vero campione; Jimmy Case addirittura venne acquistato per sole diecimila sterline dal South Liverpool! E’ lampante quanto fosse lungo l’occhio di Paisley e dei suoi osservatori. Ray Kennedy, acquistato da Shankly il giorno prima delle dimissioni, giocò una prima stagione ad Anfield da attaccante in modo men che mediocre. Paisley vide in lui quanto nessuno era ancora riuscito nemmeno a scorgere: le stimmate di una grande mezz’ala sinistra. Del resto, come ebbe a dire lo stesso manager, “il piede sinistro di Big Razor avrebbe potuto aprire una scatola di fagioli”!
Lo stesso occhio lungo si manifestò con David Failclough, cui Paisley ritagliò un ruolo da sostituto ideale, non considerandolo abbastanza forte per reggere ad alti livelli un intero match, ma letteralmente letale nei finali di partita. David, nativo di Liverpool e tifoso Red da sempre, passò alla storia come il “Super Sub” per antonomasia. Il suo momento di maggior gloria fu un quarto di finale di Coppa dei Campioni, nel 1977 contro il Saint Etienne, quando un suo goal a pochi minuti dalla fine qualificò il Liverpool per le semifinali e lo lanciò verso il primo storico trionfo nella European Cup.
La squadra di Paisley stava prendendo forma, fondendo il nucleo di giocatori ereditato da Shankly (Clemence, Neal, Thompson, Hughes, Keegan, Heighway, Toshack, Callaghan) con i nuovi acquisti, in una squadra eccezionale.
Già al secondo anno il manager portò ad Anfield un Silverware di Campione d’Inghilterra ed una Coppa UEFA: non male per chi si considerava solo un buon fisioterapista! Anche dal punto di vista tattico egli dimostrò un grande acume; inoltre, seppur apparentemente morbido di carattere, riuscì sempre a farsi rispettare dai propri giocatori esigendo disciplina da chiunque, da Keegan all’ultima delle riserve.
La Coppa UEFA arrivò dopo due sfide indimenticabili contro il Bruges. Nell’andata ad Anfield una prestazione disastrosa di Neal portò i belgi sul 2-0, punteggio che il Liverpool riuscì a ribaltare vincendo per 3-2. Contro tutto e tutti Paisley schierò Neal anche al ritorno: il difensore lo ripagò con una partita perfetta, contribuendo in larga parte a mantenere fino in fondo l’1-1 che spedì il trofeo sulle rive del Mersey.
La stagione successiva vide il Liverpool confermarsi Campione d’Inghilterra con maggiore facilità rispetto alla stagione precendente. I Reds raggiunsero anche la finale della FA Cup, dove furono sconfitti dal Manchester United. Molti tifosi scouse al termine della partita raggiunsero l’aeroporto di Heathrow, dove si imbarcarono per Roma, teatro quattro giorni dopo della finale della Coppa dei Campioni, che opponeva il Liverpool al Borussia Mönchengladbach, nella rivincita della finale UEFA del 1973. La scarsa forma dimostrata da David Johnson (acquistato l’estate precedente dall’Ipswich Town) nella finale di Wembley spalancò le porte della finale a Ian Callaghan, unico superstite degli anni bui della seconda divisione. La sostituzione di un attaccante con un centrocampista si rivelò mossa alquanto azzeccata: McDermott e Smith portarono i Reds sul 2-1, dopo il provvisorio pareggio di Simonsen. A completare l’opera pensò Kevin Keegan: ormai prossimo all’addio direzione Amburgo, King Kenny si dimostrò fuoriclasse assoluto giocando la sua migliore (e purtroppo ultima) partita in maglia rossa proprio nell’occasione più importante. I suoi dribbling fecero letteralmente impazzire Berti Vogts, il quale, ormai esasperato, a una decina di minuti dalla fine non trovò di meglio che stenderlo in piena area di rigore. Dal dischetto Neal scrisse la parola “fine” alla partita. Paisley non bevve un solo sorso d’alcool quella sera, per non rischiare di conservare un ricordo annebbiato del giorno più bello della sua carriera. Lo stesso non si può dire della marea rossa che aveva invaso Roma, così come degli stessi giocatori!
“Chi prenderà il posto di Keegan?” Questa era la domanda che turbava il sonno ad ogni tifoso del Liverpool nell’estate del 1977. Probabilmente nessuno, pensavano in molti, tantomeno il sostituto acquistato da Paisley: quel Kenny Dalglish che aveva sì segnato molto per il Celtic Glasgow, ma che sicuramente era stato sopravvalutato, essendo stato pagato la bellezza di 440.000 sterline, cifra record per il calcio inglese.
Ancora una volta la storia diede ragione al manager: il biondo scozzese si rivelò il più grande giocatore di sempre ad aver portato il Liver Bird sul petto. Secondo molti fu addirittura il miglior giocatore britannico in assoluto.
Lo shopping in Scozia continuò con Alan Hansen e, qualche mese dopo, con Graeme Souness. A differenza di molti altri nuovi arrivi, Souness non impiegò molto tempo per diventare uno degli idoli della Kop. Un suo goal realizzato ad Anfield contro il Manchester United con uno splendido tiro al volo lo fece entrare subitaneamente nel cuore della tifoseria, oltre a fargli vincere il premio “BBC Goal of the Season”. Altra grande intuizione di Paisley, Souness sapeva calciare la palla con potenza inaudita, ma sapeva pure trattarla con estrema precisione tecnica. L’esito dei suoi tackle era del tutto prevedibile: ne usciva sempre vincitore, portanto con sè il pallone e a volte anche l’avversario!
La prima stagione del dopo-Keegan non regalò al Liverpool grandi soddisfazioni domestiche, ma si concluse con la seconda finale consecutiva di Coppa dei Campioni. I Reds avrebbero dovuto difendere il titolo europeo contro il ben conosciuto Bruges, sul magico terreno di Wembley. La finale fu un trionfo per l’anima scozzese della squadra: Alan Hansen, a sorpresa schierato da Paisley a centrocampo al posto dell’infortunato Tommy Smith, giganteggiò a centrocampo riducendo praticamente a zero i pericoli per la propria difesa. Souness illuminò la scena da par suo, concedendo tra l’altro un pallone con la scritta “Please score” a Kenny Dalsglish il quale, da bravo ragazzo quale era, non poté fare altro che obbedire, riportando la Coppa dei Campioni nella bacheca di Anfield dopo un’assenza durata solo qualche ora.
La stagione successiva vide sulla scena quello che secondo molti fu il miglior Liverpool di sempre: vittoria in campionato con 68 punti, 85 gol segnati e solo 16 subiti; in compenso, nessuna coppa. Paisley confermò Hansen a centrocampo e, tanto per non perdere l’abitudine, ebbe ragione al 100%: lo scozzese sembrò trovare la collocazione ideale per ripercorrere le gesta di un famoso connazionale che giocava nello stesso ruolo: Ron Yeats. La stagione 1978/79 fu l’ultima per Emylin Hughes, capitano e alter ego del manager sul campo, nonchè la prima per un terzino sinistro che avrebbe segnato due i tra più importanti goal della storia del Liverpool, Alan Kennedy.
Il 1979/80 vide un’altra vittoria in campionato: da segnalare che la formazione tipo non cambiò praticamente mai. Clemence, Neal, Alan Kennedy, Thompson, Ray Kennedy, Hansen, Dalglish, Case, Johnson, McDermott e Souness saltarono, in totale, solo 28 partite!
L’estate del 1980 vide l’arrivo dal Chester di un giovane spilungone gallese di nome Ian Rush. Come sempre, Paisley diede ad alcuni giovani giocatori la loro chance: oltre a Rush, da segnalare Sammy Lee che, dopo tre campionati in cui aveva giocato pochissime partite, divenne titolare fisso, e Ronnie Whelan, che esordì (segnando) niente di meno che all’Olympiastadion di Monaco di Baviera contro il Bayern nella semifinale di ritorno di Coppa dei Campioni, partita che garantì al Liverpool la terza finale in 5 anni. Teatro della sfida il Parco dei Principi di Parigi, avversario il grande Real Madrid, seppure in una versione tra le più scarse tra i team merengue arrivati in finale di Coppa dei Campioni.
Dopo 80 minuti di gioco dal livello largamente inferiore alle attese, una percussione di Alan Kennedy dalla sinistra, conclusa con un tiro al fulmicotone sul secondo palo, aprì la strada al trionfo finale, mandando in visibilio la marea rossa che aveva invaso Parigi.
Nonostante la vittoria parigina, l’estate del 1981 non fu piacevole dalle parti di Anfield Road; se ne andarono infatti due colonne della squadra, Ray Clemence e Jimmy Case. Il secondo fu sostituito da Craig Johnston, mentre il posto di portiere venne preso da uno sconosciuto ex guerrigliero originario dello Zimbabwe, Bruce Grobbelaar. Egli rappresentò probabilmente la scommessa più ardita di Paisley, il quale credeva nelle sue qualità a tal punto da confermarlo, contro il volere di tutti, anche dopo una partita da incubo persa in casa contro il Manchester City nel giorno di Santo Stefano, durante la quale Grobbelaar offrì tutto il peggio del suo repertorio. Una volta ancora, la storia diede ragione al manager: a Roma, sponda giallorossa, possono ampiamente confermare. Paisley attuò inoltre una mossa psicologica del tutto inedita: a metà stagione la fascia di capitano passò da un Phil Thomson inizialmente molto turbato a Graeme Souness. Con lo scozzese al comando della squadra, le scintillanti prestazioni di Rush e Whelan e un Grobbelaar finalmente sugli scudi, le cose iniziarono a girare a meraviglia. A fine stagione i Reds si aggiudicarono il titolo di campione d’Inghilterra (con 4 punti di vantaggio sull’Ipswich Town), oltre alla prima Coppa di Lega della loro storia (battendo a Wembley il West Ham)
L’anno successivo arrivò la seconda Coppa di Lega consecutiva. Questa volta l’avversario era il Tottenham. Un goal di Archibald nei primi minuti sembrava dovesse rivelarsi decisivo in favore degli Spurs, ma a tre minuti dal termine Ronny Whelan riuscì a pareggiare i conti. Al termine dei tempi regolamentari Paisley, con una mossa psicologica degna del miglior Shankly, ordinò ai propri giocatori di rimanere in piedi sul prato nell’attesa dell’inizio dei supplementari, senza sedersi o sdraiarsi, nè tantomeno farsi massaggiare. Per i giocatori del Tottenham, prostrati fisicamente e distrutti psicologicamente dal pareggio in extremis, fu la mazzata decisiva. Il secondo goal di Whelan e il timbro del solito Rush certificarono per i Reds l’ormai inevitabile vittoria. Il campionato si concluse ancora una volta con il Liverpool Campione d’Inghilterra. Nelle ultime 25 partite i Reds ottennero 20 vittorie, tre pareggi e due sconfitte. Per la seconda volta in poche settimane fu una vittoria per 3-1 contro il Tottenham a consegnare un trofeo agli uomini di Paisley.
Nell’agosto del 1983 il manager annunciò che la stagione che andava a cominciare sarebbe stata per lui l’ultima alla guida della squadra. Avendo già vinto tutto quello che c’era da vincere, Paisley desiderava uscire di scena prima di iniziare l’inevitabile declino. Oltre alla ormai consueta conquista del Silverware di Campione d’Inghilterra, Bob diede l’assalto alla terza vittoria consecutiva in Coppa di Lega, impresa fino ad allora mai riuscita ad alcuna squadra, nè ad alcun manager. A Wembley questa volta l’avversario era il Manchester United: sotto per 1-0 a un quarto d’ora dalla fine, Paisley usò la sua arma segreta, mettendo in campo l’uomo dei goal importanti: Alan Kennedy. Barney Rubble non mancò al suo nuovo appuntamento con la storia e realizzò il goal del pareggio. I tempi supplementari rappresentarono un déjà vu molto piacevole: Ronnie Whelan segnò e riportò la Milk Cup sulle rive del Mersey.
Con un gesto di grande sensibilità Capitan Souness lasciò che fosse Bob Paisley a guidare la squadra lungo i 39 gradini di Wembley e per la prima volta nella storia del calcio inglese non fu il capitano della squadra vincitrice ma il suo manager ad alzare il trofeo. In 44 anni al servizio del Liverpool Paisley ricoprì tutti i ruoli: giocatore, fisioterapista, allenatore, consigliere, motivatore, esempio di lealtà, grande psicologo e motivatore, magistrale gestore del gruppo, tattico geniale, ancor più geniale talent scout. Al di là di tutto ciò, manager ineguagliato e probabilmente ineguagliato: con sei premi di “Manager of the Year”, sei Silverware di Campione d‘Inghilterra, tre Coppe di Lega, una Coppa UEFA e tre Coppe dei Campioni Bob Paisley è tutt’ora il manager più titolato nella storia del calcio inglese ed uno dei più titolati nel mondo. Egli fu inoltre insignito del titolo di Officer of the Order of the British Empire (OBE).
Negli anni a venire egli continuò a servire il club come dirigente. Nel 1992 gli fu diagnosticato il Morbo di Alzheimer. Paisley morì il 14 febbraio 1996, all’età di 77 anni. Qualche tempo dopo il Liverpool F.C. decise di onorarne la memoria erigendo, presso uno degli ingressi della Kop, il Paisley Gate, onore già riservato a Bill Shankly. Nel 2002 entrò a far parte della English Football Hall of Fame.
BOB PAISLEY R.I.P.di Davide Pezzetti, da "UK Football please"
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