“Ai miei tempi, non esistevano guanti, sciarpe e tutte queste altre cose. È un'abitudine moderna che ha reso il calcio più "soft". Il calcio si è ammorbidito
Bastano forse queste semplici parole per farsi un’idea di Roy Maurice Keane. Un uomo duro, un giocatore duro, un pilastro granitico dello United più forte di tutti i tempi. Keane è un’irlandese, uno che sa come farsi rispettare. Roy è uno che in campo dà tutto uno che non leva mai la gamba anzi, al contrario, è uno che la gamba te la fa sentire spesso sugli stinchi anche dopo averti strappato il pallone dai piedi. Si dice che il suo cognome abbia origine da una parola gaelica che significa battaglia. E infatti, Keane è la battaglia fatta persona. Chi ama il calcio ama sì la tecnica ma ama anche l’orgoglio che ti sfinisce sul campo. A certe latitudini la grinta e il sudore sono più apprezzati del tocco di classe del calciatore incipriato e pieno di profumo. Ad ogni partita, il tacchetto di Keane colpisce duro. Interrompe le azioni avversarie facendo una diga a centrocampo, per poi ripartire di forza puntando la porta nemica. Lui non ha paura. Non toglie la gamba. Lui è Roy spaccatutto!
L’ho sempre ammirato era l’incarnazione del giocatore fedele alla maglia. Usciva sempre sporco di fango, lavorava ai fianchi l’avversario, portava a termine il suo impegno con il giusto ardore e la sua fedina penale era sporca come quella di un criminale.
Vederlo giocare era adrenalina pura.
A Manchester lo chiamano ancora KEANO. Un uomo che è visto come un Dio. Vorrei un Keane nella mia squadra perché la mia concezione del football, prevede necessariamente uno come lui. Un lottatore che ha fegato.
Keano era fatto così, uno che randellava in campo e che lo faceva anche in privato.
Nel suo modo di fare c’è l’amore per questo sport ma c’è spazio anche per l’odio, quello genuino, viscerale, quello delle battaglie senza sconti, duelli all’ultimo sangue che iniziavano sotto il tunnel proseguivano in campo e finivano dentro gli spogliatoi. Celebre è rimasto lo scontro con Haaland ma, nella storia di Keane, ci sono state tante altre antipatie. Patrick Vieira fu l’ultimo nemico. Nove anni di furiose battaglie divise tra Highbury, Emirates Stadium poi e Old Trafford.
Si trattava di una rivalità fondata da un senso di competitività intensa. Un desiderio assoluto di dominazione fisica e, forse, anche odio. Le immagini e l’urlo di sfida di Keane che inveisce contro Vieira è da leggenda: “I’ll see you out there”.
Come si fa a non amare questo giocatore. Svolgeva il suo dovere a meraviglia impedendo che la palla filtrasse dal centrocampo. Il suo lavoro si esauriva lanciando le punte: un lavoro senza fronzoli ma, fatto con un atteggiamento feroce. Un vero uomo da spogliatoio, un leader assoluto.
Si racconta che quando fu allenatore del Sunderland venne a sapere che un membro dello staff, prima di una partita, caricò la squadra con “Dancing Queen” degli ABBA.
La reazione di Keane è tutta concentrata in queste poche frasi:
"Spero che qualcuno si alzi e gli dia un cazzotto. Su avanti, leva quella merda! Stavano uscendo per giocare una partita, uomini contro uomini, i livelli di testosterone erano alti. Devi affrontare uno scontro corpo a corpo. Dancing Queen del cazzo! Ero preoccupato"
Ecco chi era Roy Keane. Un calciatore che vestiva come un moderno Braveheart, un allenatore comprensivo ma duro. Ma il football avrà sempre bisogno di gente di questo calibro, avrà sempre bisogno dell’agonismo, di gente che vive sull’esaltazione della battaglia.
God Save KEANO!
Lui, era solo per chi aveva fegato.
di Alessandro Nobili
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