30 giugno 2025

"PETER SWAN. UNA SCOMMESSA NON DA POCO" di Stefano Faccendini

Dicembre 1962. Una sera, David Layne, prolifico attaccante in forza allo Sheffield Wednesday, decise di andare a vedere la sua vecchia squadra, il Mansfield Town, giocare contro il West Ham. Allo stadio incontrò un altro calciatore, e suo vecchio compagno di squadra allo Swindon, Jimmy Gauld.  Gauld era un personaggio discusso, in un brutto giro, si mormorava che cercasse di accomodare le partite. Quella sera, era alla ricerca di un’altra gara da aggiustare: raccontò a Layne che tra i giocatori, soprattutto delle serie inferiori, era normale scommettere e che si potevano fare soldi in tutta tranquillitá. Parlando, gli chiese quali fossero le prossime partite dello Wednesday. 

A giorni le Owls sarebbero andate ad Ipswich, un campo difficile e da cui Layne si aspettava di ritornare a mani vuote. Gauld capì che poteva insistere e lo convinse non solo a far parte del suo piano ma anche a coinvolgere un paio di compagni di squadra, poi rivelatisi essere Peter Swan e Tony Kay. 
Quando le due squadre si affrontarono i padroni di casa si imposero effettivamente per 2-0. 
In una intervista del 2006, uno dei tre giocatori dello Sheffield coinvolti, Peter Swan, raccontò: “Perdemmo sul campo, niente da dire ma ovviamente ancora oggi mi chiedo che cosa avrei fatto se avessimo segnato o fossimo stati in vantaggio verso la fine. Fu una scommessa da 50 sterline, la quota era 2-1, ne incassai 100, ridicolo no? Ma anche oggi non credo che nessuno lo faccia. Volendo ammettere l’onestá di tutti, la tentazione è troppo grande. Come sono sicuro che all’epoca, oltre a tanti altri giocatori ci fossero anche arbitri corrotti. Ma presero noi e ci usarono come capro espiatorio, dovettero dare l’esempio. Mi domando ancora perchè lo facemmo” 

Due anni dopo quella gara, nel 1964, Gauld non solo dimostrò di essere un criminale ma anche un grande figlio di puttana. Decise di battere ancora cassa e di vendere la storia al tabloid “Sunday People” usando dei nastri che aveva registrato di nascosto quando a colloquio con i giocatori che poi aveva corrotto. La sua esclusiva gli valse 7mila sterline. Durante il processo nel 1965 Swan fu l’unico dei tre giocatori ad essere chiamato sul banco dei testimoni. “Mi fecero a pezzi – ricordò sempre nella stessa intervista – e manovrarono gli avvenimenti. Ma fummo dei pazzi. Mi fu proibito di andare a qualsiasi partita di calcio, all’inizio fui squalificato a vita anche dal giocarlo. Cercai di tenermi in forma con una squadra di un pub vicino casa ma multarono anche quella quando lo scoprirono. Non potevo neanche entrare al campo dove giocava mio figlio. Mi avevano tagliato le gambe, pensavo a quello che avrei potuto ottenere con la mia carriera e mi veniva voglia di tagliarmi le vene. Avevo buttato via tutto, dall’essere uno dei professionisti più ammirati anche da Alf Ramsey all’essere scansato da tutti. Quattro mesi in prigione, con un secchio per i bisogni in un angolo. Tempo per pensare alla mia stupidità ne ho avuto. Ma la cosa peggiore era quando mia madre mi chiamava e mi diceva che i miei fratelli avevano fatto a pugni per colpa mia o che i miei figli venivano insultati a scuola.” 

Sette giocatori furono arrestati. Le squalifiche a vita furono poi ridotte. Dopo sette anni Swan tornò allo Wednesday, l’ex giocatore della nazionale (19 presenze) andò a lavorare in un forno, in un negozio di automobili e poi di computer. Layne anche tornò al suo club ma non giocò più in prima squadra, dopo qualche parentesi tra i dilettanti comprò un pub. Tony Kay, all’epoca il calciatore più caro del campionato inglese (l’Everton pagò 60 mila sterline per comprarlo) fuggì in Spagna per 12 anni, poi fu arrestato per aver venduto un diamante falso. Lavorò successivamente come custode di uno stadio. Gauld fu multato 5.000 sterline e passò quattro anni dietro le sbarre. 
In UK ancora si parla dello scandalo del 1964. In Italia dal 1964 non voglio neanche pensare quante partite sono state vendute in ogni angolo del paese e in ogni serie professionistica. La differenza per me non sono i calciatori, forse tutti sono tentati, soprattutto a fine stagione in partite in cui non c’è molto in palio, ma la reazione della gente. A parte la galera vera, la conseguenza più seria è il marchio a fuoco che ti fai sull’onore. Il disprezzo della gente, dei tifosi, di coloro che pagano per venirti a vedere giocare, che sognano da bambini una carriera che tu hai avuto la fortuna di fare mentre magari loro svolgono lavori ingrati e guadagnano due lire. I giocatori coinvolti nel 1964 non ricevettero richieste di partecipazione a programmi televisivi, visite in carcere delle autorità, articoli di una stampa amica che sa, che prima o poi, lo sporco tornerà pulito. E qui parliamo di una scommessa, su una partita, di 50 o 100 sterline, ma non ebbero per anni neanche la possibilità di avvicinarsi ad uno stadio. 
Da noi si danno anni di inibizione ad un tifoso con un fumogeno, mentre chi ruba l’anima a questo gioco becca uno schiaffetto sulle mani e la raccomandazione di non farlo più. Questa è la differenza di base, altro che modelli.
di Stefano Faccendini, il suo blog http://quandogliscarpinieranoneri.wordpress.com

27 giugno 2025

" SKINHEADS" di John King (Boogaloo Publishing), 2008


In "Skinheads", John King ci conduce nella cultura skinhead dei giorni nostri spiegando attraverso le storie dei personaggi del libro come non sia mai morta. "Skinheads" è la storia di uno stile di vita, raccontata attraverso tre generazioni di una famiglia: Terry English, skinhead original amante dello ska e titolare di una agenzia di mini-cab, Nutty Ray, street-punk skin e hooligan attivo, Lol, figlio di Terry e nipote di Ray, un ragazzo di quindici anni che si è appena affacciato alla vita. Terry è malato e teme di non arrivare al suo cinquantesimo compleanno, ma va avanti grazie alla sua musica, alla sua adorabile assistente Angie, e alla scoperta dell'Union Jack Club, un locale abbandonato che Terry decide di mettere a posto per poi riaprire. Ray, nel frattempo, è in giro sul mini-cab e stenta a trattenere la sua rabbia, il suo unico sfogo sono i giorni liberi passati in giro con la crema dei Chelsea. Quando però decide di farsi giustizia da solo in un'esplosione di violenza giustificata, il suo futuro comincia a rabbuiarsi.

26 giugno 2025

UP the colors. "NOTTINGHAM FOREST. GARIBALDI FOOTBALL CLUB" di Gianfranco Giordano

Il 15 maggio 1865, secondo le cronache dell’epoca pioveva a dirotto, un gruppo di persone si riunì al Clinton Arms in Shakespeare Street a Nottingham. Per capire il motivo di questa riunione dobbiamo tornare indietro di pochi anni e guardare due avvenimenti che condizioneranno questa riunione. 
Nel novembre del 1862 venne fondato a Nottingham il Notts County, prima squadra di calcio della città, anche se la costituzione ufficiale avvenne il 7 dicembre 1864. Il secondo avvenimento riguarda un famoso italiano che si trattenne a Londra dal 3 al 27 aprile 1864, si trattava di Giuseppe Garibaldi. Il condottiero era già stato in precedenza a Londra ed era molto popolare in Inghilterra per le sue imprese belliche, tanto da attirare al suo arrivo nella capitale ben 500.000 persone. Torniamo al Clinton Arms dove si ritrovano quindici amici, giocatori di shinty, un gioco simile all’hockey su prato al tempo piuttosto popolare. J. S. Scrimshaw propose ai suoi amici di fondare una squadra di football Association e cambiare l’attività agonistica, la proposta venne approvata e venne fondato il Nottingham Forest Football Club, nella stessa riunione venne deciso di acquistare dodici cappellini di colore “Rosso Garibaldi” da abbinare alle divise bianche, le maglie colorate sarebbero arrivate successivamente, in onore del famoso condottiero italiano, i cui soldati indossavano camicie rosse. Il club appena costituito fu il primo sodalizio ad adottare ufficialmente, certificato da uno statuto scritto, il rosso come colore sociale. Il 22 marzo 1866 il Nottingham Forest giocò la sua prima partita contro i concittadini del Notts County, per la cronaca la partita finì 0-0. Teatro dell’incontro il Forest Recreation Ground, un parco pubblico a nord della città, che ha ispirato il nome del club. Il 19 aprile altra partita tra le due squadre della città, risultato sempre a reti bianche. Nei primi anni il club giocò solo partite amichevoli e dal 1868 compare finalmente la “Garibaldi”, ovvero una maglia completamente rossa con collo a camicia chiuso da bottoni, i pantaloni sono bianchi e le calze rosse. Nella stagione 1878/79 il Forest partecipa per la prima volta alla FA Cup, esordisce il 16 novembre 1878 vincendo per 3-1 contro il Notts County e viene poi eliminato in semifinale dall’Old Etonians. Nel frattempo nel 1874 un giocatore del Forest ha l’idea di procurarsi dei parastinchi da cricket e sagomarli tagliando la parte superiore, nonostante le polemiche iniziali questi nuovi attrezzi divennero presto di uso comune, anche perché le scarpe da calcio dell’epoca erano delle vere armi pericolose. Si tratta di Sam Weller Widdowson che come tanti sportivi dell’epoca si divideva tra football e cricket, inoltre fu lui ad adottare un rivoluzionario schema di gioco, 1-2-3-5 che sarebbe rimasto in voga fino agli anni 20. 
Nel 1878, nel corso di una partita tra Nottingham Forest e Norfolk, venne usato per la prima volta un fischietto da parte dell’arbitro, solitamente il direttore di gara segnalava i falli agitando una bandiera bianca, a fine partita venne chiesto a Widdowson cosa pensasse dell’esperimento, ovviamente la risposta fu positiva. Per la stagione 1879/80, i Garibaldini si esibiscono al Castle Ground, un campo per le partite di cricket e calcio, le due successive stagioni viene invece usato il Trent Bridge Cricket Ground, il più importante campo da cricket della città. A partire dalla stagione 1881/82 la divisa subisce piccoli cambiamenti stilistici, la camicia ha un abbottonatura più profonda mentre i pantaloni arrivano poco sotto il ginocchio. 

Nel 1883 il Notts County si trasferi al Trent Bridge, di fatto sfrattando il Forest che dovette emigrare nella zona ovest della città al Parkside Ground a partire da settembre. Il campo aveva una pendenza irregolare e una capienza limitata. Nel settembre 1885 nuovo trasloco a Gregory Ground, il club si portò dietro anche una tribuna e gli spogliatoi entrambi in legno. Il nuovo campo sorgeva vicino alla stazione ferroviaria di Lenton, la Midland Railways accettò di fermare tutti i treni in stazione nei giorni delle partite per favorire l’afflusso del pubblico. Nel 1888 il Forest cercò di aderire alla nascente Football League, ma la sua domanda venne respinta. L’anno successivo i Reds entrarono nella Football Alliance, nel luglio 1890 il club comprò un terreno a nord del fiume Trent, il nuovo campò che venne denominato Town Ground venne inaugurato durante la stagione 1890/91, in questo campo vennero usate per la prima volta le traverse e le reti delle porte. La stagione successiva il Forest vinse campionato della Football Alliance, da questa stagione vengono introdotti dei pantaloni blu, la stagione successiva il club venne accettato nella First Division della Football League. 
Il primo grande successo dei Garibaldini arriva il 16 aprile 1898 quando vincono la FA Cup battendo in finale il Derby County, 3-1 il risultato finale. Il 3 settembre 1898 i Garibaldini approdano a quella che sarà la loro casa definitiva, il nuovo campo denominato City Ground che sorgeva sulla riva meridionale del Trent, a pochi metri dal Trent Bridge. Nella stagione 1899/1900 ricompaiono i pantaloni bianchi, maglia e calzettoni rimangono invariati. Al giro di boa del nuovo secolo il Forest riesce ad ottenere dei buoni piazzamenti in campionato, dalla stagione 1902/03 la maglia rossa presenta un collo a camicia chiuso da laccetti mentre i pantaloni cominciano ad accorciarsi, poi piano piano scivola verso la bassa classifica. Nella stagione 1904/05 compare per la prima volta un collo bianco a girocollo chiuso da bottoni, la stagione seguente il collo, sempre bianco, è a camicia, in questa stagione i Garibaldini vengono retrocessi per la prima volta in Second Division. 
Nel 1906/07 vittoria in campionato è immediata promozione, i calzettoni presentano un elegante doppio bordino bianco, immutato il resto della divisa. Nel 1907/08 la maglia è ancora una volta completamente rossa con collo a camicia chiuso da bottoni, la stagione seguente ritorna il collo bianco, sempre modello a camicia. Il Forest chiude il campionato 1910/11 all’ultimo posto e viene nuovamente retrocesso, dalla stagione seguente sottile collo bianco a girocollo chiuso da bottoni. Gli anni a ridosso della prima guerra mondiale sono difficili per il Forest che langue in posizioni di bassa classifica, inaspettatamente i Reds vincono il campionato nella stagione 1921/22 e al ritorno in First Division si presentano con una maglia completamente rossa con collo a girocollo chiuso da laccetti. 
Dal 1924/25 nuovamente collo bianco a girocollo con chiusura a bottoni, in questa stagione il Forest finisce all’ultimo posto in classifica e retrocede in Second Division, nelle stagioni 1929/30 e seguente i calzettoni sono neri con ampio risvolto rosso, nella stagione 1932/33 calzettoni completamente rossi e la stagione seguente maglia con collo a camicia chiuso da abbottonatura profonda e calzettoni nuovamente neri con risvolto rosso. Dalla stagione 1935/36 maglia con collo a camicia chiuso da laccetti e calzettoni completamente rossi, l’ultima stagione prima della seconda guerra mondiale, 1938/39, vede il Forest giocare con una maglia rossa con collo a girocollo chiuso da laccetti. Alla ripresa dell’attività agonistica nella stagione 1945/46, il Forest indossa una maglia completamente rossa con collo a camicia con svolo a V, pantaloncini bianchi e calzettoni a righe orizzontali rosse e bianche, si va avanti così fino alla stagione 1956/57, saltuariamente compare uno stemma piuttosto bizzarro sulla maglia. Nel biennio 1949/50 e 1950/51 la squadra gioca in Third Division, il gradino più basso della sua storia. Nel 1957/58, al ritorno in First Division, i Garibaldini sfoggiano una maglia più moderna con un collo a V e la stagione seguente un restyling con maglia rossa con collo bianco a V e stemma cittadino sul petto, pantaloncini bianchi con striscia laterale rossa e calzettoni rossi con ampio risvolto bianco. Con questa divisa nel 1959 il Forest vince la sua seconda FA Cup battendo in finale il Luton Town, a sessant’anni di distanza dalla prima vittoria. Nella stagione 1963/64 collo a girocollo bianco mentre i calzettoni sono rossi con un bordino bianco, nella stagione 1966/67 il collo è sempre a girocollo ma a righine bianche e rosse, in questa stagione i Reds arrivano secondi in campionato e raggiungono le semifinali di FA Cup. Dopo 15 anni in massima serie, il Forest retrocede al termine della stagione 1971/72, in questa stagione la maglia è completamente rossa con collo a camicia chiuso da un triangolo sul davanti. La stagione successiva la maglia è invariata ma compare il logo del fornitore per la prima volta, la britannica Umbro, i calzettoni sono neri con risvolto rosso. Il 6 gennaio 1975 cambia la storia del club, arriva un nuovo manager, il controverso Brian Clough, in cerca di un rilancio dopo le ultime due esperienze negative. Dopo un sedicesimo e un ottavo posto, nella stagione 1976/77 il Forest arriva terzo e viene promosso in First Division. Nel frattempo nella stagione 1975/76 e fino alla fine del 1976, propone una maglia rossa con collo a camicia bianco chiuso da un triangolo bianco anteriore, i calzettoni sono completamente rossi. La parte finale della stagione 1976/77 la squadra indossa divise composte da maglia rossa con collo a camicia bianco con righine rosse con chiusura a V, righe bianche sulle maniche, pantaloncini bianchi con due righe rosse e calzettoni rossi con doppio bordino bianco. Il fornitore era la Uwin, ditta inglese con sede prima a Londra e poi a Nottingham. Nella stagione 1977/78 il Forest gioca in First Division con una divisa firmata Adidas, maglia rossa con collo a V bianco abbinata a pantaloncini bianchi e calzettoni rossi, il tutto ovviamente guarnito dalle famose tre strisce. In questa stagione i Garibaldini vincono il campionato per la prima ed unica volta nella loro storia, lasciando il Liverpool secondo a sette punti di distanza, vincono anche la Coppa di Lega battendo in finale il Liverpool al replay.

In precedenza solo quattro squadre erano riuscite vincere il titolo da neopromosse, Il Forest è l’unica squadra ad essere riuscito nell’impresa senza aver vinto la Second Division la stagione precedente ed è l’ultima a riuscire nell’impresa. La stagione successiva comincia con la vittoria nel Charity Shield, prosegue con la vittoria in Coppa di Lega ma l’apoteosi arriva il 30 maggio 1979 a Monaco di Baviera quando i Reds diventano campioni d’Europa sconfiggendo gli svedesi del Malmö per 1-0. Nel corso del torneo il Forest ha eliminato i campioni in carica del Liverpool al primo turno e ha concluso imbattuto il torneo, la rete decisiva è stata segnata da Trevor Francis arrivato al club a febbraio dal Birmingham City, è il primo giocatore acquistato per un milione di Sterline. Il miracolo prosegue e nella stagione 1979/80 i Reds vincono prima la Supercoppa europea contro il Barcellona e poi ancora la Coppa dei Campioni il 28 maggio a Madrid. Ancora una vittoria per 1-0, battuti i tedeschi dell’Amburgo. Il Nottingham Forest è l’unica squadra ad avere in bacheca più Coppe dei Campioni che campionati nazionali.

Nella stagione 1980/81 compare sulle maglie il logo del primo sponsor commerciale, si tratta del colosso giapponese Panasonic. Dalla stagione successiva la Adidas propone una maglia rossa gessata lasciando invariato il resto della divisa, la fornitura tedesca finisce con il biennio 1984/85 e 1985/86 quando propone una maglia completamente rossa con le tre strisce solo sulle spalle. Dalla stagione 1986/87 la fornitura passa alla Umbro, che per il primo biennio propone una maglia completamente rossa con bordini sottili neri e bianchi, nella seconda metà degli anni 90 il nero troverà più spazio sulla maglia e sui calzettoni. Arrivano ancora due vittorie in Coppa di Lega, 1988/89 e 1989/90 contro Luton Town e Oldham, poi finisce la favola. Nella stagione 1992/93, la prima marchiata Premier League, i Garibaldini finiscono malinconicamente in fondo alla classifica e retrocedono, a fine stagione Brian Clough si dimetterà. In quella squadra giocavano due figli d’arte: Nigel Clough e Scott Gemmill.
Dal 1998/99 si torna ad una divisa classica, maglia rossa con collo bianco, niente più inserti neri. 
Nell’estate del 2013 ritorna la Adidas che, per i 150 anni del club, propone una maglia di tonalità più scura per richiamare le origini della maglia. I rapporti dei giornali degli albori descrivono costantemente le camicie del Forest come "rosso vivo", sebbene le fotografie suggeriscano che fossero molto scure. Ora si crede che ciò sia dovuto al fatto che le emulsioni fotografiche utilizzate all'epoca erano altamente sensibili alla luce rossa che causava la sovraesposizione. Attualmente la fornitura è a carico dell’italiana Macron. La seconda maglia del Nottingham Forest è per tradizione bianca, solitamente con inserti rossi. Negli anni 60 si sono vista anche maglie blu e negli anni 70 e 80 maglie gialle con bordi blu abbinate a pantaloncini blu, abbinamento molto usato in Inghilterra in quel periodo. Bianco, giallo e blu sono ancora i colori usati negli anni più recenti per le divise alternative. 
Come da tradizione britannica, i portieri del Forest hanno sfoggiato tipiche maglie di colore verde, per poi passare a divise prevalentemente di colore azzurro, blu o giallo in tempi più recenti. Brian Clough indossò spesso una maglia verde in panchina, sembra che la prima volta abbia preso una maglia di riserva del portiere Shilton trovata in un magazzino per proteggersi dal freddo poi è nata la leggenda del verde porta fortuna. Il primo stemma a comparire sulle maglie del Forest, nel 1892, è un semplice scudo bianco con le iniziali intrecciate FCF. Nel secondo dopo guerra, per circa dieci anni a intermittenza, è comparso sulla maglia uno strano stemma composto da una caricatura di Robin Hood con un buffo cappello di colore verde su fondo bianco e l’acronimo del club. Nel 1958 compare lo stemma cittadino con le iniziali del club che sostituirono il castello. Il fulcro è una croce di legno verde (che rappresenta la foresta di Sherwood) con tre corone d'oro (che rappresentano la fedeltà alla Corona) mentre i sostenitori sono cervi reali. Intorno a marzo 1974 il vecchio stemma del club fu sostituito da un design moderno che rappresentava un albero stilizzato e il fiume Trent sopra la parola "Forest". Questo design iconico è stato associato alla trasformazione del club sotto Brian Clough. Nel catalogo HW del Subbuteo il Forest compare con tre diverse numerazioni: numero 1, 138 e 225 che rappresentano l’evoluzione della divisa nel corso degli anni.
di Gianfranco Giordano, (thank you to https://www.kitclassics.co.uk)

24 giugno 2025

"LOCAL DERBIES IN THE UK - Derby e rivalità nella terra di Sua Maestà" di Luca Garino & Indro Pajaro (Urbone), 2015

Prefazione di Luca Manes.
In questo volume analizzeremo le maggiori e più sentite rivalità calcistiche locali e regionali nel football d’Oltremanica, con un particolare occhio di riguardo a quelle presenti in Inghilterra.
Seguiremo una sorta di viaggio immaginario composto da venti tappe, ognuna delle quali tratterà uno specifica rivalità tra due club. Ciascun capitolo sarà composto di un’introduzione che spiegherà le cause e i motivi dei vari antagonismi calcistici, seguita da una sezione dedicata ad ognuna delle due contendenti nella quale verranno analizzate la nascita delle stesse, l’evoluzione dello stemma e della divisa da gioco, gli stadi adoperati nel corso della storia e la tifoseria al seguito della squadra.
Conosceremo la storia, gli aneddoti e le curiosità relative alle varie partite che verranno affrontate di volta in volta, con l’intento di mostrare come molte rivalità si ripercuotano non solo sul campo da gioco, ma spesso e volentieri anche nella vita cittadina.
Rimarremo affascinati dall’odio che contrappone Manchester United e Liverpool, faremo un passo indietro nel tempo per capire l’origine della faida tra Newcastle e Sunderland e ci spingeremo nell’estremo sud dell’Inghilterra per assistere a Southampton-Portsmouth. Esamineremo i principali derby di Londra, andremo a Birmingham per il Second City Derby, faremo una gita in Scozia per vivere le emozioni dell’Old Firm e approderemo pure in Championship, dove ci attende la faida tra due formazioni dal passato glorioso ma dal presente scarno di successi quali Derby County e Nottingham Forest.
Abbiamo omesso da questo libro alcune partite per una scelta legata sostanzialmente all’assenza di materiale da consultare oppure per via di antagonismi sportivi nati solamente negli ultimi anni. Il nostro intento, infatti, rimane quello di mostrare e scavare a fondo in quelle che vengono etichettate come «rivalità storiche del calcio britannico». Perché soprattutto in Inghilterra – dove il concetto di Support your local team raggiunge massimi livelli – molto spesso il calcio è molto più di un semplice sport.

23 giugno 2025

"WIMBLEDON. FRAGOLE & PANNA.." di Giuseppe Lavalle


Quella mattina del 1877 il giardiniere del The All England Lawn Tennis & Croquet Club mai avrebbe immaginato di diventare l’artefice di una delle tradizioni più British che esistano. Agganciò il rullo al suo pony ed iniziò a rasare l’erba dei campi. Era un maestro. Il rullo dopo poco si ruppe e le vuote casse del circolo non avevano le necessarie 10 sterline per sostituirlo. I soci, riuniti in assemblea, ebbero l’idea di organizzare un torneo di tennis. Solo gentleman selezionati, invitati personalmente dal Club. Bastava uno scellino per un posto da spettatore ed una coppa di fragole con crema avrebbe addolcito i lunghi pomeriggi di fine giungo. Spencer Gore fu il primo dei ventidue giocatori che presero parte alla contesa, vinse il torneo seguito da ben duecento spettatori. Quattro giorni d’incontri avevano portato nelle casse diciassette sterline.

“ Fenomeno interessante - dissero i soci - dobbiamo ripeterlo l’anno prossimo”.

Il torneo di Wimbledon, ufficialmente chiamato The Championships, era appena nato.
Di anno in anno il rito si è perfezionato ed arricchito, senza mai tralasciare la connotazione british che lo rende unico. Il torneo si disputa sei settimane prima del primo lunedì di agosto e dura due settimane. Tradizionalmente il torneo non si giocava nel 'Middle Sunday', ovvero la domenica intermedia tra l’inizio e la finale di Wimbledon. A seguito di interruzioni per pioggia, in alcune edizioni passate, gli organizzatori hanno riprogrammato i match nel 'Middle Sunday' e dal 2022 via anche il 'Manic Monday', con tutti gli ottavi al lunedì.

Wimbledon non è un torneo, è il torneo, fatto di magia e leggenda, tradizione e gloria il tutto profumato da quell’odore di antico che rende mito questo evento. Si comincia dalla caccia al biglietto. Biglietto che non è per tutte le tasche. Il tennis è sempre stato uno sport nobile e tale deve essere anche il suo pubblico. Questo avranno pensato gli organizzatori. Prezzo da nobili, si, ma la vera difficoltà è trovare il biglietto. Si parte da The Queue, ovvero la coda, quella che fanno migliaia di persone per aggiudicarsi un biglietto d’accesso al Centrale, al Campo 1 e Campo 2. Ma non è una coda come quelle a cui siamo abituati noi, no Signori, siamo a Wimbledon, ed anche la coda deve essere da mito. Se si passa a Wimbledon Park si vedono gli aspiranti spettatori con borsone da tenda, sacco a pelo, cibo e tutto il necessario per un camping, che vengono accolti dagli steward, che mostrano loro dove sistemare la tenda. Ci sono linee lunghe circa 200 metri, segnate con il gesso, e paletti cui sono attaccati due buste, una trasparente per l’immondizia normale e una violetta per il riciclo. Ci sono i bagni, la postazione di polizia, telecamere che controllano la fila e chioschi dove rifocillarsi. C’è anche un ufficio ‘Cerca Persona’, dove contattare qualcuno che sta in ‘The Queue’, tu chiami lì e loro fanno un annuncio.

Varcati i cancelli siamo dentro la storia. Sogniamo di far parte dell’All England Lawn Tennis & Croquet Club, uno dei più esclusivi club del mondo. Dove i membri permanenti possono essere al massimo 375, non uno di più. Per entrare a farne parte e sorseggiare il tè con gli altri membri nella Club House, bisogna essere invitati da almeno quattro soci previa approvazione del consiglio direttivo. Sulla porta del Club è scritta una frase tratta dalla poesia If del poeta Rudyard Kipling: “Se puoi andare incontro al trionfo e al disastro, e trattare questi due impostori allo stesso modo…. allora sarai un uomo, figlio mio”.

Chi vive fino in fondo questo stato emotivo, perché tale è trovarsi sull’erba del centrale, è il giocatore, che inizia a respirare il vero profumo di storia varcando i Doherty Gates, la celebre entrata del campo centrale. Un profumo che fa dimenticare i problemi organizzativi che ogni anno si presentano agli atleti. Alle teste di serie del torneo spettano gli spogliatoi migliori, agli altri giocatori invece viene assegnato un posto più scomodo e disordinato, dove non è difficile perdersi. Per non parlare del pass, che a Wimbledon non può essere più di uno. Significativo ciò che successe a Andrei Medvedev, giocatore ucraino arrivato in finale al Roland Garros, prestigiosissimo torneo parigino, nel 1999. Giunto a Wimbledon chiese due pass, per lui e per il massaggiatore, gli risposero che poteva averne solo uno, poi lo riconobbero e gli dissero “Ah, sì, è stato in finale a Parigi, dovrebbe averne due, ma non è possibile, sorry” suscitando le ire del tennista. Le palle sono uno degli elementi fondamentali di Wimbledon. Dunlop Slazenger Group è la fabbrica incaricata di fornire le palline ufficiali del torneo, che nel tempo sono diventate un importante oggetto di merchandising. Ognuna delle circa 50mila palline utilizzate viene accuratamente ispezionata nei minimi dettagli e a fine torneo vengono per lo più vendute ad altri tennis club o a tifosi, spesso con fini benefici. Il colore giallo delle palline è stato introdotto nel 1986 per esigenze televisive.

Il verde ed il viola sono i colori della moltitudine di fiori disseminata per tutto il “villaggio di Wimbledon” e, soprattutto, sono i colori ufficiali del torneo, quelli che si ritrovano nel logo e negli indumenti indossati dai giudici. Le stesse divise, che stanno diventando sempre più un fenomeno di moda (negli ultimi anni sono state disegnate da Ralph Lauren), a Wimbledon non possono essere fatte a caso considerato che gli atleti sono obbligati ad indossare solo completi rigorosamente bianchi. Anche i loghi presenti sulle divise dei giocatoir devono rispettare le regole; sono ammessi due marchi, ciascuno non superiore a 13 cm2, oppure un singolo marchio non superiore a 26 cm2. In caso di strappo alle regole, arriva una multa salata, come capitò nel 2013 a Roger Federer, sanzionato per aver indossato delle scarpe con una suola arancione. Durante gli incontri, le giocatrici donne sono sempre appellate "Miss" o "Mrs" mentre gli uomini sono chiamati solo per cognome o con l’appellativo di “Gentleman”. La tradizione continua sugli spalti, dove il real pubblico, che occupa le suite sul campo centrale affittate con tanto di maggiordomo, è solito mangiare fragoline del Kent annegate nello champagne, o sorseggiare il Pimm, un cocktail a base di gin, limonata e frutta. Ogni anno i 500 mila appassionati consumano circa ventisette tonnellate di fragole, dodicimila bottiglie di champagne e ottantamila bicchieri di Pimm.

La storia di Wimbledon è segnata da due elementi “naturali” imprescindibili. La pioggia e l’erba.

L’erba di Wimbledon è croce e delizia di giardinieri, organizzatori, giocatori e spettatori. Negli ultimi anni è stata adattata alle esigenze del tennis moderno, ma in passato era un’incognita. Quando Borg faceva una scivolata in mezzo al terreno di gioco si creava una immensa voragine che rendeva il rimbalzo imprevedibile e costringeva tutti a giocare a rete per la gioia del pubblico. Adesso non è più così. Fino al 2000 l’erba di Wimbledon era composta al 70% da loglio e al 30% da festuca rossa strisciante. In seguito si è passati al solo loglio perenne che rende la superficie più secca e dura dando maggiore regolarità al gioco. Durante l’anno sono 15 (altri 12 si aggiungono durante il torneo) i giardinieri, guidati dal 1991 da Eddie Seaward, che curano i 41 campi del club stando ben attenti agli 0,8 cm di altezza cui deve essere tosata l’erba. A questi si uniscono, anche di notte, le pattuglie antivolpi, animali non infrequenti nei sobborghi Sud-Ovest di Londra: l’urina delle femmine di volpe bianca brucia l’erba.

La pioggia è Wimbledon. La prima volta che si giocò sui campi del circolo attuale, in Church Road nel 1922, piovve tutti i santi giorni. E negli ultimi vent’anni solo una volta nel 1993, l’erba del torneo è rimasta asciutta. Wimbledon e pioggia fanno subito pensare a Sir Alan Mills, un signore di nobile aspetto, fasciato nel suo doppiopetto, che entrava in campo insieme al giardiniere, si chinava a tastare il terreno, scrutava il cielo, si fermava a pensare, ripensava e poi faceva cenno ad una squadra di addetti di srotolare il telo di protezione dei campi. Il telo coprente era tecnologico e lasciava filtrare aria e luce, ed era così da quando nel 1996 tre giorni di campo coperto a causa della pioggia resero il prato inutilizzabile. Ho usato il passato perché da qualche anno c’è la grande novità del tetto mobile trasparente che in soli dieci minuti è capace di coprire il Centre Court(ma a bordo campo continua a esistere una squadra di emergenza di 17 persone che in 22-28 secondi sono in grado di stendere il telo). E ciò ha segnato la fine di un’epoca. Niente più lunghe pause, il gioco continua con tanto di soddisfazione per le televisioni e per le casse del Club che si porta a casa quasi 30 milioni di euro. Soldi che vengono prontamente girati alla federazione inglese del tennis nella speranza di finanziare il prossimo Fred Perry che vinse nel 1936. Gli inglesi hanno dovuto aspettare il 2013, quando Andy Murray (scozzese) ha vinto il torneo, rivincendolo poi nel 2016.

La storia del torneo ha visto trionfare tutti i più grandi, Doherty, Wilding, Lacoste, Hoad, Newcombe, Connors, Laver, Borg, McEnroe, Sampras, Becker, Federer, Nadal, Navratilova, Graf, Evert, Lenglen, Williams e Seles. I primi vincitori del torneo erano tutti di nazionalità inglese, se non altro perché a parteciparvi erano soprattutto i giocatori d’oltremanica. Re incontrastato del torneo, è Federer che ne ha vinti otto ( e perso quattro finali) di cui cinque consecutivi. Ma come non citare Borg che ha vinto cinque edizioni di fila, o il suo storico avversario McEnroe. Lo statunitense, soprannominato “The Genius”, sul verde di Wimbledon ne ha combinate di tutti i colori. Ha vinto tre volte il titolo, ma è ricordato soprattutto per la sua personalità. Celebre il suo “You can not be serious!”, “Non puoi dire sul serio!” indirizzato agli arbitri che avevano chiamato un suo colpo fuori. Oppure quando dopo aver vinto il titolo tenne la mano sinistra in tasca davanti alla contessa che lo premiava. Con gli arbitri era in lotta continua. Una volta urlò: «Sei una disgrazia per l' umanità». Un'altra volta sputò su una spettatrice che aveva applaudito un doppio fallo. In effetti subito dopo si rammaricò dicendo: «Non l'ho presa». Quando giocava a Wimbledon, la Bbc imbavagliava i microfoni di campo per timore delle sue reazioni. Ad un passo dal record anche Dijokovic, che ne ha vinti sette e quest’anno cercherà di eguagliare il record di Re Roger, sempre che Alcaraz, che ha vinto gli ultimi due titoli, e Sinner, a caccia del suo primo titolo davanti alla Regina, glielo permettano.

Wimbledon è il torneo più antico dello slam, ha attraversato due guerre mondiali ed è riuscito ad arrivare sino ad oggi conservando il suo carico di tradizione e storia. Forse ha ceduto un po’ di spazio al business, ma i cartelloni pubblicitari ameno per ora non tappezzano i campi.

Wimbledon è tradizione, certo, ma anche capacità di essere sempre protagonista dei tempi. Nel 2003 dopo l’epidemia Sars, L’All England Club ha stipulato una polizza assicurativa che è costata 23 milioni di sterline in 17 anni, ma quando la crisi Covid ha costretto a cancellare il torneo nel 2020, il Club ha incassato 174 milioni di sterline. Già nel 2009 aveva introdotto il tetto retrattile sul campo centrale e nel 2019 ha costruito il tetto retrattile anche sul campo 1. Quest’anno, la 138esima edizione del torneo, dopo l’installazione delle coperture sui campi, vedrà un’epocale novità, non saranno presenti i giudici di linea, che verranno rimpiazzati dall'Electronic Line Calling. Tale tecnologia viene impiegata già da anni sia all'Australian Open che allo US Open.

“A Wimbledon prendiamo molto seriamente il compito di bilanciare tradizione e innovazione" ha dichiarato il capo dell’England Lawn Tennis, Sally Bolton.

In ogni caso si è adeguato ai tempi e comportato da vero Signore, quando, nel 2007, ha introdotto la parità di premi tra Gentlemen e Mrs. That’s british…
di Giuseppe Lavalle

20 giugno 2025

"THE HAMMERS AND THE LION" di Danilo De Nardis (Arduino Sacco Editore), 2013

Londra maggio 1926, lo sciopero generale s'insinua prepotente a turbare l'amore di due giovani e le vite delle rispettive famiglie. Il ragazzo rimane ucciso nel derby dell'East end pochi anni dopo, in circostanze misteriose. A molti anni dai drammatici eventi che portarono all'inevitabile scontro fratricida tra le due classi operaie e fazioni calcistiche, Matt, il figlio adolescente di Ron, ex capo della farm del West Jam, incontra April. 
Entrambi discendono dai personaggi coinvolti in quella primavera di fame e fuoco di ottant'anni prima; si piacciono e, forse, s'innamorano senza sapere nulla dei drammatici avvenimenti del passato...

19 giugno 2025

"GERRY HITCHENS. PEL DI CAROTA" di Vincenzo Felici



Gerry Hitchens è uno dei primi giocatori britannici, insieme allo scozzese Denis Law, Joe Baker e Jimmy Greaves, a giocare in Italia.
Centravanti generoso e dalle indiscusse doti atletiche, in patria gioca con il Kidderminster Harriers, il Cardiff City, prima di trasferirsi all'Aston Villa, dove si pone all'attenzione generale. Sir Walter Winterbotton lo fa debuttare nella Nazionale maggiore nel 1961, in Inghilterra-Messico, finita 8-0 (Hitchens va a segno dopo due minuti). Un paio di settimane dopo si ripete segnando due goal a Roma contro l'Italia, il secondo dei quali con la complicità di un clamoroso errore del portiere azzurro Giuseppe Vavassori.

Quelle due segnature stuzzicano le squadre nostrane. È l'Inter a spuntarla. In neroazzurro gioca due stagioni, segnando complessivamente 20 goal. Nel Novembre 1962 si trasferisce al Torino (l'Inter lo scambia con Beniamino Di Giacomo) dove rimane fino al 1965, mettendo a segno complessivamente 37 reti in 113 partite. In seguito gioca nell'Atalanta dove segna 12 reti e nel Cagliari, segnandone 4, prima di far ritorno in patria. 
Con i rossoblu vive anche una esperienza nel Campionato Nordamericano organizzato dalla United Soccer Association e riconosciuto dalla FIFA, in cui i sardi giocano nelle vesti dei Chicago Mustangs, con cui ottiene il terzo posto nella Wester Division. A seguito delle incoraggianti prestazioni americane, il Club sardo decide di ingaggiarlo. Con 239 partite disputate e 73 reti è tuttora il calciatore inglese che ha totalizzato più presenze e reti in Serie A. Conta 7 presenze e 5 reti nella nazionale inglese, con la quale gioca il Mondiale del 1962 in Cile, segnando la rete del provvisorio pareggio nel quarto di finale perso col Brasile, per essere poi escluso dall'avvento in panchina di Alf Ramsey, deciso a non convocare giocatori militanti all'estero. Muore nel 1983 ad Hope, in Galles, stroncato da un infarto durante una partita di beneficienza.

Nel suo palmàres una Coppa del Galles (1955/56), una Coppa di Lega inglese (1960/61), una Football League (1959/60) e uno Scudetto con l'Inter (1962/63). La sua storia viene rivisitata egregiamente dal figlio Marcus e dal suo conterraneo Simon Goodyear nel libro "Centravanti Europeo. La storia di Gerry Hitchens" (176 pagine, anno 2014, Geo Edizioni), in cui è inclusa la prefazione di Gigi Riva. Ma anche il celebre mensile "Intrepido" gli dedica ampio spazio il 15 novembre 1962, raccogliendo il racconto delle sue esperienze in Nazionale. Vengono narrati gustosi aneddoti, tra cui la poderosa cinquina rifilata al Sudafrica, col portiere avversario Cliff Rudman, che onorato dalla sua bravura lo invita a cena. 
O la sua carriera militare, quando un Capitano dell'esercito inglese, furioso, lo mette in punizione per essersi divorato due goal nel corso di una partitella a ranghi misti. O la sua passione per la caccia, praticata soprattutto nel periodo di permanenza ai "Villans", quando porta alla moglie Meriel innumerevoli fagiani da cucinare per cena. 
E infine la sua esperienza in miniera accanto al padre, vissuta anche coi suoi compagni di squadra, curiosi di capire come ci si deve comportare a molti metri di profondità sotto terra. Nonostante la cronica avversione dei giocatori britannici alla Serie A (solo una trentina circa hanno giocato/giocano nel Bel Paese) "Pel di carota" (curioso soprannome affibbiatogli per il suo particolare colore di capelli) si immerge completamente nella nuova esperienza, per quasi un decennio. Costituisce una delle figure sportive dimenticate dal calcio inglese, sicuramente a torto.

Nasce l'8 ottobre 1934 nella città mineraria di Rawnsley, nello Staffordshire, iniziando tardi la carriera calcistica, a causa della incompetenza degli osservatori locali. Questo lo porta a intraprendere l'attività di minatore, giocando con la squadra dell'Higley Miners Welfare. Solo nel 1955, dopo una dura gavetta nelle serie inferiori, Hitchens viene apprezzato per le sue doti e si trasferisce ai "Bluebirds", segnando ben 57 reti in 108 partite ! Nel Dicembre del 1957 l'Aston Villa sborsa ben £22.500 per accaparrarselo e creare una splendida coppia d'attacco con Peter McParland, assieme a cui perfora ripetutamente moltitudini di portieri avversari: 96 goal in quattro anni.

Nel 1959 è persino fautore di una cinquina nell' 11-1 contro il povero Charlton Athletic e anche in Nazionale si comporta egregiamente, segnando il vantaggio dei bianchi sul Messico a soli novanta secondi dal suo esordio assoluto. Le sue prodezze, come accennato, ammaliano l'Inter, che lo acquista, assecondando il suo desiderio di sfidare nuove realtà calcistiche. Inoltre Hitchens è desideroso di provare la vita a diverse latitudini, compiere esperienze nuove. La società milanese viene subito ricompensata con una doppietta e prestazioni lusinghiere, nonostante il difficile ambientamento dello stesso giocatore, che trova nel rossonero Greaves un piacevole compagno di svago.
Le otto stagioni di Hitchens in Italia sono le più lunghe che un calciatore inglese abbia trascorso giocando all'estero e gli hanno conferito uno status iconico in Italia, dove ha realizzato totalmente 59 goal in 200 partite, ma paradossalmente lo hanno reso un uomo dimenticato nella sua terra natia..
di Vincenzo Felici

17 giugno 2025

CASUALS di Phil Thornton (Boogaloo Publishing), 2004


Dopo Teds, Mods, Rockers, Hippies, Skinheads, Suedeheads, Punks verso la fine degli anni settanta in Inghilterra apparve un nuovo trend. Gli adepti di questa sottocultura facevano parte delle gangs violente affiliate al football. Si vestivano con abbigliamento sportivo griffato (spesso rubato) facendo apparire come dei dinosauri i bootboys di qualche anno prima. Venivano chiamati Scallies, Perry Boys, Trendies o Dressers ma il nome che rimase fu Casuals. Questo libro non è uno studio semplicistico di firme della moda e teppisti del football ma un'esplorazione di quello che fu un movimento giovanile che per la maggior parte attingeva affiliazioni nella working-class bianca durante un'era caratterizzata da feroci attacchi da parte di un governo di destra determinato a smantellare e cancellare qualsiasi segno di resistenza urbana e da parte dei media, con la lobby Sohocentrica incapace o maldisposta a cogliere quanto stava accadendo intorno al football. Casuals esamina l'evoluzione della scena analizzando tutti i dettagli: i vestiti, naturalmente, ma anche la musica, la politica, le droghe, il crimine. Insomma , tutto quanto avesse a che fare con il quotidiano di uno scally o di un casual. Questa è la storia di un movimento di rivolta culturale, musicale e sartoriale capace di mutare frequentemente e in maniera impercettibile a seconda del dove e del quando.

16 giugno 2025

"TOTTENHAM HOTSPUR. And the Spurs go marching on..." di Christian Cesarini

E' il 1882 e alcuni ragazzi d'età compresa tra i 12 e i 14 anni, facenti parte dell’Hotspur Cricket Club e studenti dell’All Hallows Church, si ritrovano in un angolo tra Park Lane e Tottenham High Road sotto la flebile luce di un lampione. 
E' stata convocata un'importante riunione, in cui c'è un problema da risolvere. Il cricket, sport molto diffuso e praticato dai ragazzi da maggio a settembre, non è più sufficiente per la voglia di competizione sportiva degli studenti londinesi. Così come accaduto per la fondazione di altri football club inglesi, i ragazzi decidono di formare una squadra di calcio per tenersi in forma durante i freddi mesi invernali. Proprio davanti al palazzo ancora oggi sede del club, fondano l'Hotspur F.C., scartando l’iniziale e poco fonetico Nurthumberland Rovers. 
Il nome Hotspur, e la naturale abbreviazione Spurs, hanno origine da un celebre personaggio che visse nella zona di Tottenham tra il 1364 e il 1403. Sir Henry Percy, questo il nome del nobile, era chiamato amichevolmente 'Hotspur' (letteralmente sperone caldo) per la sua indole impulsiva. Conte di Northumberland, feudatario della zona nord di Londra e figlio maggiore di Henry Percy (I conte di Northumberland e signore di Alnwick), fu raccontato da William Shakespeare nel dramma storico del 1597 "Enrico IV, Parte I". 
L'appellativo Hotspur fu scelto come nome del club di cricket della scuola All Hallows Church, e ripreso fedelmente dai ragazzi studenti fondatori del football club 'Hotspur' nel 1882, poi rinominato definitivamente Tottenham Hotspur dal 1884.
Perché la rivale storica del Tottenham è l'Arsenal?
Il Tottenham incontra per la prima volta la squadra che diventerà la sua acerrima rivale in un pomeriggio del 19 novembre 1887. Il Royal Arsenal (non ancora denominato Arsenal FC) si presenta all’incontro con oltre un’ora di ritardo; il match comincia e alla fine del 1°tempo gli Spurs sono avanti per 2-1. Alla ripresa delle ostilità avviene il ‘fattaccio’, con l'incontro sospeso su insistenza del capitano del Royal Arsenal, a causa della sopraggiunta oscurità. Risultato: gigantesca rissa e reciproche accuse di scarso fair play. Il primo ‘incidente diplomatico’ tra le due formazioni è così consegnato alla storia. L’odio sportivo definitivo scoppia però alcuni anni più tardi, per ragioni ben più controverse. Nel 1913 l'Arsenal, appena retrocesso, si trasferisce a nord, zona Islington-Highbury, a pochi metri dalla fermata della Piccadilly Line di Gillespie Road (poi ribattezzata Arsenal nel 1932 su grande intuizione del manager Herbert Chapman e ancora oggi unica fermata della Tube londinese dedicata a un football club). All'improvviso quindi, il Tottenham si ritrova un club professionistico di Second Division a poche miglia di distanza. Tra mille difficoltà dovute allo scoppio della Grande Guerra, la stagione 1914-15 si chiude con gli Spurs ultimi in First Division e l’Arsenal solamente quinto in Second Division. Alla cessazione delle ostilità belliche, con la ripresa dei campionati, arriva nella sede del Tottenham la notizia dell’ampliamento della First Division da 20 a 22 club. Al White Hart Lane
la felicità per la 'scontata' permanenza nella massima serie è tale che in poco tempo si organizza un banchetto celebrativo davanti alla sede. Il fondamento per i festeggiamenti sono i rassicuranti precedenti, in cui la Lega ha sempre abbonato le retrocessioni in caso di ampliamento del numero dei club. Gli Spurs però non hanno fatto i conti con il potere politico del businessman Henry Norris, director dell’Arsenal FC. Quando, nel marzo 1919, si svolge la tanto attesa riunione per rimodellare la First Division, il presidente della Lega John McKenna sostiene le ragioni dell’Arsenal, facendo leva sulla maggiore “anzianità di servizio” nel calcio professionistico rispetto al Tottenham. Peccato che, scorrendo la classifica della Second Division di quattro anni prima, sopra ai Gunners ci fosse il Wolverhampton, membro fondatore della Football League. Una scusa poco credibile quella di McKenna, che innesca polemiche e sospetti anche per la nota e intima amicizia proprio con Norris, con tanto di appartenenza comune alla principale loggia massonica britannica. Conclusione: la maggioranza dei presidenti della First Division si allinea al volere di McKenna e vota per la promozione dell’Arsenal, confermando il declassamento del Tottenham in Second Division. Tifosi e dirigenza Spurs segnano il nome Arsenal con un marcato circoletto rosso, giurando vendetta...Nasce così il North London Derby.
Glory Glory Tottenham Hotspur!

Gli sportivi o tifosi avversari che giungevano al White Hart Lane sentono spesso intonare dai tifosi assediati sugli spalti il coro: "Glory Glory Tottenham Hotspur! And the Spurs go marching on...". Ai nostri giorni in molti credono che la canzone sia 'copiata' dal Manchester United, ma la storia racconta tutt’altro. Nel 1961, usando la classica tattica del "Kick and Run", gli Spurs divennero la prima squadra del XX secolo a realizzare il double (accoppiata F.A.Cup/Campionato), grazie anche a ben 115 goal realizzati. Double fino ad allora riuscito solamente ai leggendari e invincibili giocatori del Preston North End, nella "pioneristica" stagione 1888-89. Il club di White Hart Lane fu anche il primo club britannico a vincere una coppa europea (coppa delle coppe), nel lontano 1963. Tutto questo accadde grazie al grande ed indimenticato manager Sir Billy Nicholson. Fu così che per celebrare quelle grandi vittorie domestiche e continentali fu creato il "Glory Glory Tottenham Hotspur”, che diventò parte integrante della nobile tradizione Spurs. Alla fine di ogni partita vinta si alzava alto nel cielo del nord di Londra il coro: "Glory Glory Tottenham Hotspur! And the Spurs go marching on, on, on!". Ma come divenne questa canzone associata, quasi esclusivamente, al club più blasonato e vincente di Manchester? Alla fine degli anni Sessanta i tifosi mancuniani cambiarono le parole mettendo Man United al posto di Tottenham Hotspur, sulla scia dei trionfali anni di George Best e compagni, quando i Red Devils portarono per la prima volta in Inghilterra la Coppa dei Campioni. Proprio in quel periodo il Tottenham entrò in un lungo anonimato calcistico e in molti dimenticarono che il 'Glory Glory...' nacque a Londra, nel mitico White Hart Lane.
di Christian Cesarini

13 giugno 2025

A MANCHESTER CON GLI SMITHS di Giuseppina Borghese (Perrone Editore), 2023


Sono passati quarant’anni da quella sera del 4 ottobre 1983 in cui, all’Hacienda, iconico club di Manchester, sulle note di Hand In Glove la band esordiva, mentre un giovanissimo Morrissey sbatteva senza pietà un mazzo di narcisi contro il palco nero opaco. Un’immagine che riassume in sé tutte le contraddizioni di questo scorcio del nord ovest dell’Inghilterra, selvaggio e metropolitano, focolaio di storie di abusi e resistenza che ha cambiato la politica del mondo, dalle lotte sindacali al femminismo fino al vegetarianesimo. A Manchester dissenso e musica si sono intrecciati intimamente dando origine a una delle scene musicali più prolifiche del mondo, dagli Hollies ai Joy Division, dai Buzzcocks agli Stone Roses fino agli Oasis. Una passeggiata sentimentale nella città dove rimangono ancora oggi vivide le tracce di una band che ha fatto del proprio personalissimo stile una voce che ha raccontato le complessità della classe operaia degli anni Ottanta, ma è rimasta nell’immaginario mondiale come un luminoso oggetto fuori dal tempo.

11 giugno 2025

"HO VISTO GIOCARE ALI DIA.. per ben 2 volte!" di Adam Grapes

Tanti conoscono la storia di Ali Dia ma essendo un tifoso di Southampton sono uno dei pochi (circa quindici mila) che lo ha visto giocare nella Premier League, poi sono uno dei pochissimi che l’ha visto giocare per ben due volte con la maglia dei Saints, adesso vi spiego tutto.
L’inizio della stagione 1996/97 è stata di alti e bassi per il Southampton. Dopo una salvezza per via della differenza reti, la stagione precedente (il Manchester City ci aveva fatto un bel assist, giocando per un pareggio negli ultimi minuti nella partita contro Liverpool quando serviva una vittoria), il nuovo allenatore Graeme Souness ha portato un po’ di ottimismo, soprattutto dopo una vittoria per sei a tre in casa contro Manchester United. Ma dopo questi trionfi seguirono anche dei disastri, soprattutto una sconfitta per sette a uno al Goodison Park contro l’Everton, un giorno brutto sia dentro che fuori dal campo con non buoni comportamenti dopo la partita di qualche tifoso dell’Everton verso di noi anche sul treno che portava a Londra, non bastavano i sette gol per avere soddisfazione ad alcuni di loro, non mi mancherà Goodison Park. Gli infortuni in squadra aumentavano, poi un giorno il giornale di Southampton “The Daily Echo” ha fatto lo scoop, il cugino di George Weah, un certo Ali Dia, è arrivato ai Saints dopo una raccomandazione proprio del giocatore liberiano. Internet era alle prime fasi della sua esistenza, se ricordo bene c’era un computer con collegamento all’Università ma non avevamo minimamente idea come utilizzarlo. Poi al massimo se siamo riusciti a risolvere il rebus del collegamento avremmo scoperto al massimo qualche sito con solo testo e immagine; quindi, qualche ricerca su questa new entry nella rosa del Southampton sarebbe stata impossibile, ci fidiamo di George e Mister Souness!
La settimana dopo la sconfitta con l’Everton abbiamo giocato in casa contro Leeds. Con solo due attaccanti a disposizione, Le Tissier e Ostenstad, Ali Dia è stato messo in panchina. La maledizione degli infortuni è continuata durante la partita Le Tissier è stato costretto ad abbandonare il campo dopo una trentina di minuti. Ricordo ancora l’urlo quando Ali Dia è sceso in campo (togliendo i tifosi ospiti), il saluto di benvenuto di 13.000 tifosi (The Dell poteva ospitare solo 15.000 spettatori) è stato qualcosa di incredibile.

Quest’uomo ci porterà verso la salvezza, e chissà magari anche verso le coppe europei (pensavo)! Ha quasi segnato subito con il suo primo tocco, sarebbe stata la mamma di tutti gli esordi ma il tiro è stato bloccato dal portiere. La partita è continuata ed il Southampton ha perso due a zero, meglio della settimana precedente, eravamo abbastanza contenti, dai tutto è relativo!
Dia è stato sostituto verso la fine della partita, nessuno aveva pensato che era successo qualcosa di strano, non avrebbe giocato per un po’, ci voleva più tempo per abituarsi ai ritmi del campionato inglese... Onestamente direi che nessun tifoso presente al The Dell quel pomeriggio ha reso conto che non è stato per niente al livello necessario per giocare nel Premier League, abbiamo visto correre in campo, tirare, fare passaggi, ma con i nostri occhi da dilettante non sembrava che era successo nulla di strano. Chiaramente chi era in panchina ha capito tutto subito, Graeme Souness dopo la partita ha fatto un’intervista molto diplomatica, mentre Matt Le Tissier, il giocatore sostituto, è stato più diretto, dicendo che correva come “Bambi sul ghiaccio”.

Sono sicuro di averlo visto giocare per le riserve qualche giorno dopo, e grazie a una ricerca su Internet ho trovato su Ebay un Teamsheet per una partita tra le riserve di Southampton e Chelsea con il suo nome presente! All’epoca andavo a tutte le partite sia in casa sia in trasferta di Southampton, amichevoli incluse, ed anche a quasi tutte le partite delle riserve.
Che bella la vita di studente senza una moglie! Guardando il calendario, vedo che la sera prima c’è stata una partita di League Cup in trasferta a Oxford, Souness ha già visto abbastanza per non rischiare Dia in campo quella sera, ha deciso di dargli una altra chance in questa partita delle riserve, che all’epoca giocavano a Staplewood, il campo di allenamento di Southampton, che fortunatamente era 200 metri da casa mia.

Anche in questa partita delle riserve Ali Dia non ha fatto un granché e subito dopo ha lasciato Southampton. Pochi giorni dopo è uscita la storia che è stata tutta una bufala. Ha provato la stessa tattica con Gillingham (bocciato dopo una prova) e West Ham (dove non gli fatto dare neanche il provino). Non sappiamo chi ha fatto quella telefonata a Souness, forse il suo agente, forse un amico, forse anche lui stesso. Dopo l’avventura a Southampton ha giocato otto partite per il Gateshead nella quinta divisione inglese.

Non era completamente incompetente a calcio ma anche qui non è riuscito a mantenere un posto nella formazione. Probabilmente il suo livello vero sarebbe stato il Wessex League, campionato regionale della zona di Southampton! Le ultime notizie di lui sono state in 2016, ha preso una Laurea in Inghilterra, poi ha lavorato in Qatar prima di tornare a Londra. Chissà se gioca ancora a calcetto la sera, nonostante tutto direi che è arrivato nell’elenco dei dieci giocatori di Southampton più conosciuti. 
Sicuramente è sull’elenco nero di Graeme Souness ma ricorderò sempre quell’urlo quando l’altoparlante ha detto “Sta entrando in campo per il Southampton il numero 33, Ali Dia”.
di Adam Grapes

10 giugno 2025

"FUORI AREA: racconti UK di rabbia e passione" di AAVV (Mondadori), 2000

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Cosa hanno in comune Tony Yeboah, leggendaria punta del Leeds, ed un boa constrictor?
Cosa si prova ad assistere ad un incontro di Scottish Premiership fatti di anfetamine e con in cuffia il reggae dub di Desmond Dekker che ti pulsa nelle orecchie?
Quanti ancora hanno negli occhi il gol di Ricardo Villa nella famosa finale di F.A. Cup tra ManCity e Spurs? Millantare un passato glorioso da calciatore di buon livello, può salvare un povero vecchio da un’aggressione notturna?
Gli interrogativi sopra elencati trovano risposta in un libro edito da Mondatori, dal titolo “Fuori area: racconti UK di rabbia e passioni”. Il libro in questione altro non è che una compilation di racconti di vari autori inglesi, più o meno noti, riguardanti il calcio che fa da sottofondo a storie di varia e colorita umanità.
Il curatore della raccolta è Nicholas Royle, scrittore e collaboratore della rivista Time Out oltre che avvelenato sostenitore del ManCity. Si misurano nell’impresa, citando in ordine sparso, Mark Morris, John Hegley, Geoff Dyer, ed anche il celebre Irvine Welsh, autore del famoso romanzo poi divenuto film di culto Trainspotting.
Proprio di quest’ultimo è uno dei due racconti che mi ha più divertito: Martin, Faz ed Hendo sulle terraces dello stadio degli Hibs fatti di anfetamine, guardano (si fa per dire) la gara dei verdi contro il Motherwell, tifando “fuori sincrono” rispetto al resto degli altri tifosi. Colpa delle droghe e del reggae dub!
Notevole, a mio parere, è anche il racconto di Mark Timlin: il detective Nick Sherman viene ingaggiato da un presidente della Premiership per controllare che il gioiello della sua squadra non faccia danno con alcol e donne prima della sfida fondamentale per il campionato. Il nome del giocatore è Stan “the man” Mac Ness, provate ad indovinare qual è il calciatore che ha ispirato il personaggio in questione? Ah, magico Collymore, solo avesse avuto un po’ di cervello…
Da segnalare anche la splendida foto di copertina: un gruppo di bimbi saltano cercando di colpire di testa un pallone, in un campo di periferia di un sobborgo industriale inglese degli anni sessanta.
Ritengo che questo sia un libro che possa essere apprezzato dagli tutti; voglio usare le parole di Nicholas Royle per dirvi il perché.
"…questo libro è per quei ragazzi troppo cresciuti che giocano la domenica mattina, che urlano – sali sali! – sperando che qualcuno fischi un fuorigioco anche se non c’è nemmeno l’ombra di un guardalinee; è per i difensori insicuri che si accalcano nelle aree di rigore avversarie sui calci d’angolo, solo perché è piacevole essere oggetto di attenzione almeno una volta ogni tanto; ed è per tutti gli arbitri del mondo. E’ per tutti quei ragazzini che, almeno una volta nella loro vita, hanno dovuto bussare alla porta di un vicino per implorare: “possiamo avere indietro il nostro pallone per favore?”. Ed è anche per quello studente troppo cresciuto, c’è ne uno in ogni squadra, che durante le fasi di riscaldamento, invece di passare ad un altro giocatore, tirerà una bordata scaraventando la palla fuori, a km di distanza dal portiere, e dopo non andrà a riprenderla. Sono poche le persone per le quali questo libro non va bene. Non è per i disonesti, per i palloni gonfiati, o per tutte le minoranze che ancora gridano offese razziste. Non è per coloro che hanno combattuto e vinto la battaglia per farci pagare un extra per guardare il calcio in diretta tv. Non è neanche per quei “presunti tifosi” che lasciano gli spalti 5 minuti prima della partita, per non trovare traffico mentre tornano a casa; qualcuno dovrebbe fare un video con tutti quei gol segnati all’ultimo minuto e mai visti da quei poveracci. In breve, questo è un libro di eccellenti nuove storie scritte da alcuni dei migliori scrittori del Regno Unito, ed è per chiunque ne apprezzi la bellezza." 
Buona lettura! E alla prossima.
Recensione di Charlie Del Buono

9 giugno 2025

BACK TO THE “SIXTIES” - Footballers and cars in the 60s

Da tempo immemore avevo promesso a Max un pezzo sulle automobili dei footballers degli anni 60, il mio spirito “sociologico” mi ha sempre spinto ad esplorare gli aspetti extra sportivi dei protagonisti del calcio della golden era.
Ho sempre trovato affascinanti le immagini che si trovavano sulle riviste come Shoot o Football Monthly o sui tantissimi annuari che uscivano astutamente nel periodo natalizio che ritraevano i footballers nelle loro case oppure nei pub con i compagni di squadra o immortalati mentre si dedicavano ai loro hobby.
Da cultore di tutto ciò che riguarda gli anni 60 ho sempre apprezzato i documenti che vedevano ritratti i protagonisti del sabato pomeriggio in abiti borghesi mentre esibivano abiti sartoriali o completi più sportivi per il week-end, tutto deliziosamente eleganti, stilosi, con i dettagli tipici di quel periodo. Sovente accadeva che i footballers erano immortalati a bordo o al fianco delle loro auto, mixando così abbigliamento e motori e che motori… Anche per ciò che riguarda le quattro ruote i sixties furono, a mio giudizio, gli anni più belli, ricchi di stile, dettagli, finiture mai più visti dopo.

Ora, dopo anni di desideri mai realizzati per mille motivi, sono tornato ad avere una classica e questo mi ha spinto a saldare il mio debito con Max, ovvero mettere su carta qualche aneddoto relativo appunto al binomio footballers+cars.
Giusto per dovere di informazione, il mezzo che mi sono concesso (che mi porterà nei prossimi anni ad una dieta a base di pane e cipolle oltre a farmi rammendare gli abiti anziché acquistarne di nuovi…) è una strepitosa MGB GT del 1967, colore Sandy Beige pastello, interni in pelle rossa con “piping” bianchi, ruote a raggi e ovviamente guida a destra (la potete vedere qui sotto..).
Unica precedente proprietaria una gentile lady del Cheshire che ha conservato tutte le fatture dal primo giorno, da quella di acquisto ai singoli tagliandi, cambi gomme, rabbocchi di olio…
Ora che avrete perdonato la mia lunga e noiosa premessa passiamo al tema principale.

Come tutti voi saprete prima del 1961, data dell’abolizione del maximum wage che prevedeva £ 20 a settimana come massima retribuzione per i calciatori professionisti, i footballers conducevano una esistenza più simile a quella di normali impiegati che a quella di milionari viziati. Duncan Edwards, giovane stella del Manchester United che perì nel disastro aereo di Monaco, era solito recarsi ad Old Trafford in sella ad una bicicletta che assicurava con una catena alla grondaia più vicina all’ingresso degli spogliatoi, altri usufruivano dei mezzi pubblici, pochissimi possedevano una automobile, tra questi Stanley Matthews proprietario di una Ford Consul Classic, non una Jaguar o una Rover…
Proprio l’abolizione del maximum wage beneficiò immediatamente Johnny Haynes, al tempo numero 10 del Fulham e della Nazionale che risultò il primo calciatore a ricevere £ 100 a settimana ed infatti diviene uno dei primi professionisti ad essere immortalato al fianco di una fiammante MG Magnette, sorridente, indossando il blazer blu dell’Inghilterra con i tre leoni ricamati in oro. Nonostante i sensibili aumenti di stipendio, la maggior parte dei calciatori che si concessero un’automobile nuova sceglievano modelli medi della Vauxhall, della Austin, della Morris o della Ford (quella inglese, ovviamente, con gli impianti produttivi a Dagenham) né più né meno che l’uomo medio che svolgeva mansioni impiegatizie o piccoli commercianti.

Il mondiale 1966 rappresenterà una svolta, l’Inghilterra oltre che campione del mondo è la nazione a cui tutti fanno riferimento per stile, musica, cinema, moda, way of life, insomma si sa, è la famosa “England swings”, il periodo che oltre Manica può essere paragonato ad un boom economico, di conseguenza anche i footballers iniziano a lasciarsi andare, soldi ora ne arrivano decisamente di più, ci sono contratti con i primi sponsor, si viene pagati per rilasciare interviste o per apporre la firma su articoli preparati da ghost writer.
Le Austin, le Ford e le Vauxhall vengono lasciate a coloro che non vogliono destare troppa visibilità, insomma, un classico “understatement” britannico, molti altri alzano l’asticella.
Tra coloro che non vogliono apparire troppo si notano i manager, più anziani, hanno provato le sofferenze e le difficoltà del periodo bellico, rimangono legati alle vacanze sulla costa inglese anziché le prime mete esotiche come Maiorca o Malta o Cipro. Ma anche campioni ultra celebrati come i fratelli Charlton comprano Vauxhall anche se nelle versioni Victor e Cresta ovvero quelle più potenti e rifinite o Jimmy Greaves che punta sull’ammiraglia della Ford inglese, la Zodiac MK3 con abbondanti cromature e dimensioni.

Per molti altri invece “il limite è il cielo” per cui Bobby Moore non ci pensa troppo ed esibisce una serie di splendide Jaguar, la più nota una MK2 3.8 abbinata ad una Mini Cooper S per la moglie o per lui quando preferisce sgusciare meglio nel traffico cittadino. Leggenda vuole che Moore tenesse nel cruscotto della “Jag” un berretto da chauffeur con visiera che indossava alle prime ore della notte mentre guidava verso casa dopo qualche drinking session. Era noto che la polizia non fermasse mai gli autisti con auto prestigiose perché era scontato che chi svolgeva un lavoro così delicato non fosse mai alticcio mentre era in servizio…
Anche Mick Summerbee stella del Manchester City possedeva un’auto come quella di Moore ma arricchita da un mangia dischi oltre all’autoradio. Sensibile al fascino del giaguaro troviamo anche Francis Lee, compagno di squadra di Summerbee che nei 70s passerà poi alla Daimler, in pratica una Jaguar ancora più sofisticata.
Alan Ball si indirizzò su una prestigiosa e performante Rover 2000 TC P6, l’auto dei medici e degli avvocati come si diceva ai tempi. L’acquisto avvenne con il papà che lo accompagnò dal concessionario e furono ritratti insieme mentre osservano il vano motore della slanciata berlina. Peter Osgood stella in ascesa del Chelsea, per forza maggiore viaggiava sempre su Ford, pur cambiandone in continuazione. Il motivo? Molto semplice, una concessionaria di Windsor aveva messo sotto contratto Ossie che per ovvie ragioni di sponsorizzazione usava il meglio della produzione di Dagenham del periodo, dalle Cortina alle Corsair, dalle Zephir alle Zodiac. Non potendo tediarvi in eterno direi che potremmo concludere questa carrellata niente meno che con George Best, lui proprio non sapeva cosa fosse l’understatement, anzi, aveva deciso che in fatto di donne, abiti, case, sperpero di denaro e soprattutto automobili non ci si doveva porre limiti. Tra gli anni 60 e i 70 fu ritratto con ben tre diverse meravigliose Jaguar E-Type. Nell’ordine una roadster, una coupè e una coupè V12 (quest’ultima venduta ad un’asta nel 2015 per £ 43.000), poi la nota Lotus Europa gialla ma il suo parco auto prevedeva anche una Jaguar MK2 3.8 bianca che veniva usata come auto di rappresentanza quasi sempre condotta da un autista. Famosissima la serie di scatti eseguiti dal fotografo free-lance Bob Thomas che intercettò l’auto nei pressi di Old Trafford. Ne scaturì la richiesta di potere immortalare Best ed il resto degli occupanti, (appunto l’autista in livrea, la sua segretaria personale ed il suo business manager). Richiesta accolta favorevolmente da Georgie che si prestò a diverse pose con il suo team. Non male come parco auto per un giovanotto di Belfast che quando prese la patente acquistò una normalissima Austin 1100.

Impossibile però non citare l’operazione della Ford in occasione dei mondiali di Mexico 70 con la quale direi che chiuderemo idealmente il decennio dei sixties. L’azienda di Dagenham divenne un main sponsor, come si direbbe oggi, della spedizione messicana insieme ad altri, tra cui la Findus.
La Ford allestì 30 Cortina 1600 E (il top di gamma, la E stava per Executive) bianche, cerchi in lega Rostyle, fari di profondità, sospensioni ribassate di derivazione Lotus, sui parafanghi anteriori una decalcomania con le bandiere incrociate di Gran Bretagna e Messico, sulle porte il simbolo “Chosen for England”, con targhe che iniziavano con GWC (Great World Cup) e le diede in comodato d’uso per un anno ai 30 membri della spedizione.
Una volta terminati i mondiali essi potevano decidere di tenerle acquistandole ad un prezzo speciale. Furono davvero pochi coloro che accettarono l’offerta, tra questi Francis Lee che la acquistò per la moglie e Les Cocker, coach e trainer della Nazionale.
Lee dopo non molto tempo la rivendette perché trovava troppo vistose le decals presenti sui fianchi e a Manchester e dintorni si era diffusa la notizia che quell’auto fosse sua per cui, sovente, i fans del United quando la vedevano parcheggiata lasciavano traccia del loro passaggio sotto forma di righe sulla carrozzeria o scritte pro United e anti City.

Il giornalista James Ruppert ha svolto una folle quanto meticolosa ricerca riuscendo a ritrovarle tutte o almeno a conoscerne il destino e ha dato vita al piacevolissimo libro “World Cup Cortinas”.
di Gianluca Ottone
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