19 maggio 2025

"SUBBUTEO. LA' DOVE TUTTO E' COMINCIATO" di Fabio Del Secco

Subbuteisticamente parlando, gli ultimi due anni hanno per me significato il consolidamento di un processo di studio, di approfondimento e di ricerca che si è tradotto in quella che più volte ho definito come la Cultura del Subbuteo, ovvero una consapevolezza storico-cronologica della produzione dell’azienda di Peter Adolph, edificata di pari passo con un’attenta analisi del contesto sociale e del momento epocale in cui le idee di Adolph stesso prendono vita. E proprio a Peter Adolph e al suo mondo ho deciso di dedicare un viaggio, un viaggio con un milione di significati e di implicazioni emotive, fatto però a distanza di sei anni dal ritrovamento del vecchio amico (il Subbuteo), nel momento cioè in cui ho percepito un me diverso, più pronto perché costruito con l’età e con l’esperienza nonché sulle fondamenta di un’identità ben precisa, umanamente riconducibile alla componente anagrafica, Subbuteisticamente alla consapevolezza cui accennavo poco sopra.
Ecco cosa ha significato il viaggio a Tunbridge Wells: la chiusura di un cerchio, una ricongiunzione circolare al punto di partenza, ovvero il Natale del ’77 e il bimbo con i pantaloni a zampa di elefante più volte citato nei miei primi due libri. Questa ricongiunzione circolare ha fatto leva su un sentimento in particolare, la riconoscenza, sviluppatosi nel preciso istante in cui ho cominciato ad accorgermi di trovarmi a vivere una specie di seconda opportunità, la cui presa di coscienza ha finito per indurre quell’istinto allo studio, all’approfondimento e alla ricerca, ovvero alla costruzione di un patrimonio culturale che, in ottica Subbuteistica, mi ha permesso di allenare e di coltivare lo slancio alla gratitudine. E anche se all’apparenza può sembrare una gratitudine forse immaginaria, virtuale, volendo fine a sé stessa laddove intervenga la consapevolezza del fatto che il destinatario non potrà mai veramente apprezzare, l’impulso ha comunque dovuto far fronte all’urgenza dell’istinto emotivo.
Ed è stato a tutti gli effetti un viaggio nel tempo e nelle emozioni, la risposta ad un bisogno, fisico e mentale, di conoscere, di vedere, di vivere e sperimentare quel territorio e quel legame eterno tra la creatura di Adolph e il territorio stesso, un impeto suggestivo e passionale dettato e mosso dal senso di riconoscenza verso l’uomo che con la sua invenzione mi ha messo, non una ma ben tre volte, davanti ad una tastiera e ad un computer con l’intento di scrivere emozioni e sensazioni. Perché forse è proprio questa la chiave di lettura e d’interpretazione di quel sentimento di gratitudine, ovvero la consapevolezza di quanto la più grande invenzione ludica di tutti i tempi mi stia donando e restituendo in termini di riconciliazione con un me sopito da tempo e anestetizzato da ricordi ahimè mai finiti nell’oblio. Certo non nego che l’aver edificato una collezione costruita sull’esplorazione e la ricerca, rimodulando il concetto stesso di slancio collezionistico in una prospettiva sempre più selettiva e sempre più proiettata verso la scelta di pezzi che fossero non solo rari ma anche concettuali, pezzi cioè che sapessero trasmettere un messaggio e raccontare di un tempo lontano e di un mondo che non c’è più, abbia agevolato quel processo in cui la gratificazione collezionistica ha finito per assumere contorni sempre più indirizzati alla metamorfosi culturale, come se la crisalide della conquista appena posizionata sullo scaffale non attendesse altro che trasformarsi in vero e proprio patrimonio di conoscenza e di sperimentazione. È stata ed è indubbiamente una dimensione in cui il dialogare con determinati reperti “archeologici” è essenzialmente ascoltare, e ascoltando percepire come quegli stessi reperti abbiano così tanto da raccontare da poter esser considerati cardini di un processo di comprensione. Ma comprensione di cosa? Nel mio caso sicuramente della produzione Subbuteo dalle origini fino al 1985 (anno al quale mi fermo per i motivi ampiamente spiegati nel mio primo libro), ma soprattutto delle dinamiche imprenditoriali e commerciali che di quella produzione furono il presupposto, e dunque anche della mente che progettò e realizzò la più grande invenzione ludica di tutti i tempi, un’invenzione che ha di fatto rivoluzionato il concetto di intrattenimento casalingo e che oggi rappresenta un clamoroso schiaffo in faccia alla contemporaneità, un’invenzione frutto di una mente che sapeva guardare al presente e proiettarsi al futuro, vivendo e sperimentando il mondo e il momento storico in cui inserì quella produzione, di quel mondo stesso interpretandone la voglia di riscatto e di rinascita che si stava gradualmente trasformando in ritorno allo svago dopo il buio degli anni precedenti.
Non nego che l’intrecciarsi delle mie vicende personali con la presenza del Subbuteo nelle stesse, sia stato e sia tuttora una delle motivazioni più significative, non solo del viaggio stesso ma anche di tutto il processo di approfondimento e di studio di una produzione evolutasi parallelamente al mio stesso processo anagrafico. Nel Natale del 1977 l’invenzione di un ornitologo entrò prepotentemente nella mia vita, vi si soffermò per diverso tempo e poi sparì, per darmi infine appuntamento dopo trent’anni quando ormai “il credito residuo” si sta gradualmente esaurendo e le ferite si ostinano a non risarcirsi, ma al momento giusto per decifrare e capire quella stessa invenzione, e fare di questa decodifica lo strumento per sistemare le cose con il passato, dare un senso alle ferite stesse e accettare la mano portami dal bimbo coi pantaloni a zampa di elefante rimasto, da quel Natale del '77, ad aspettarmi per così tanto tempo.
Che senso ha adesso l'esperienza di questo viaggio in prospettiva futura? A Tunbridge Wells ho parlato con la gente del posto per capire quanto effettivamente sia rimasto dell’eredità culturale lasciata dalla Subbuteo, ho visitato l’edificio che oggi è adibito ad hotel ma che al tempo fu la sede della prima fabbrica di materiale Subbuteo dopo la fuoriuscita della produzione dalla dimensione domestica in cui era iniziata, mi sono recato vedere il Langton Green Lodge dove tutto cominciò e che tanto ha popolato la storiografia e l’iconografia dedicata al Subbuteo, ma soprattutto ho voluto visitare il Tunbridge Wells Cemetery per trovarmi lì, di fronte a lui, e dirgli “grazie”. Non sono stato il primo a farlo, né sarò l’ultimo, anzi spero che chi legge queste righe senta il mio stesso istinto alla gratitudine, ma non è questo il punto giacché, guardando al futuro, forse il vero senso di quel “grazie” è rintracciabile nel sentirmi adesso parte di una consapevolezza a più ampio raggio: tutto esiste ancora, caro Peter, la Tua creatura non solo è ancora viva ma gode anche di ottima salute, anche se qualche timore verso il futuro c’è, inutile negarlo, e se anche il merito non è del sottoscritto, la mia piccola parte credo di averla comunque fatta.

Mi chiedo oggi cosa mi resta di questi quattro giorni al di là della Manica. Beh, sicuramente ho imparato che il Subbuteo è un universo bellissimo se vissuto e sperimentato con superficialità e limitandosi all’incetta collezionistica puramente cumulativa, ma che diviene dimensione ed esperienza strepitosamente completa se esplorata e indagata con spirito di conoscenza e di approfondimento, oltre che con approccio culturale. Ecco, se c’è qualcosa che ho portato veramente con me sul volo di ritorno, oltre che i ricordi e le foto di rito, è proprio la convinzione di come quell’universo bellissimo acquisisca molti più significati se osservato e studiato con gratitudine e con consapevolezza storica, un’interpretazione personale per carità, ma che nel mio caso ha trovato le proprie ragioni di essere attraverso la verifica soggettiva, ovvero il trovarmi lì dove tutto è cominciato e dove è sepolto chi ha fatto in modo che quel tutto cominciasse.
Ovunque Tu sia, ti sarò eternamente grato.
di Fabio del Secco

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