30 maggio 2025

DUNDEE derby!

Il calcio è considerato lo sport più seguito in tutto il mondo. La sua storica patria, come ben sappiamo, è il Regno Unito. In terra d'albione vennero dati i primi calci ad un pallone, fondati i primi club calcistici, nacquero le prime rivalità e sorsero impianti sportivi sempre d'avanguardia ed al passo coi tempi.
























Proprio in merito alla questione “stadi”, talvolta la locazione della struttura può dar vita ad un vera e propria raccolta di storie e aneddoti riguardanti la squadra che vi ci gioca al suo interno oppure la rivale cittadina che vi ci gioca “away” ma neanche troppo.
C'è una città, in particolare, che più di tutte vive la stracittadina in maniera molto ravvicinata, nel vero senso della parola, in merito alle locazioni dei propri terreni di gioco.
Siamo in Scozia, sulla sponda nord dell'estuario del fiume Tay, precisamente sulla costa est dell'isola che dà sul Mare del Nord. Benvenuti nella quarta città più popolosa di tutta la Scozia. Benvenuti a Dundee.
I due club calcistici di riferimento, della città, sono il Dundee Fc ed il Dundee United mettendoli in ordine cronologico. La città di Dundee, famosa per le sue industrie tessili che producono juta, è nota, nel panorama calcistico, per avere gli stadi di proprietà dei due club che distano l'uno dall'altro circa, soltanto, 300 metri. Il Dens Park (Dundee Fc) ed il Tannadice Park (Dundee United) distano, soltanto, 5 minuti a piedi l'uno dall'altro.

























Sfogliando i Palmares delle due società risalta, da subito, all'occhio che entrambe non vantano un numero spropositato di trofei. Infatti, mettendoli a paragone, notiamo che vi è un “7 a 6”, nella sommatoria dei trofei alzati, per il Dundee Fc ai danni dei cugini Dundee United.
Cronologicamente nacque per primo, nel 1893, il Dundee Fc, mentre lo United venne fondato nel 1909 con il nome, inizialmente, di Dundee Hibernian da alcuni immigrati irlandesi. Il fatto di avere “fondamenta irlandesi”, però, non ha mai creato alcun tipo di problematica di carattere settario come è palese, invece, nell'Old Firm di Glasgow.
Diciamo che, la rivalità tra le due compagini, è un qualcosa che ha origine dal calcio, dai risultati sportivi delle due e lì vi finisce. Il tutto si rissume ad “odio sportivo” dove non vi sono motivazioni di gruppo o di quartiere (essendo appunto i due stadi dislocati nello stesso identico punto della città).
Il Dundee è stato per molto tempo il club di maggior successo, giocando più stagioni nella massima serie dei suoi rivali e vincendo un campionato di Scozia, una Coppa scozzese e tre coppe di lega prima dello United tra gli anni '40 e gli anni '60. Con l'arrivo degli anni '70/'80, sotto la guida di Jim McLean, il Dundee United iniziò a dire la sua anche a livello di trofei e, da lì, si accese di tanto la rivalità calcistica in città. Il Dundee United divenne, negli anni '80, una società attrezzata e tatticamente preparata sul campo, arrivando a vincere i loro primi tre trofei principali proprio nella vicinissima casa dei rivali, al Dens Park, inclusa una vittoria della Coppa di Lega, contro il Dundee, nel 1980. Il titolo di campione di Scozia del 1983 venne vinto, anche quello, al Dens Park. Nel 1994 lo United vinse la sua prima Coppa di Scozia e, la seconda, arrivò nel 2010. Così fancedo, si si mise “a paro” con il Dundee a livello di principali trofei vinti.
Per quanto riguarda, invece, la stracitadina vi è un numerico favorevole, di vittorie, per il Dundee United (78) a fronte delle vittorie del Dundee Fc (48). Il primo derby venne giocato il 21 novembre 1925 al Dens Park e andò in scena un, piuttosto triste come primo incontro, pareggio per 0-0.
Nel 1926 il Dundee Fc vinse entrambi i confronti, prima per 0-1 fuori casa e 5-0 tra le mura amiche. La prima vittoria, invece, per il Dundee United arrivò il 3 gennaio del 1927 per 1-0 a Tannadice Park, in casa.
Il derby di Dundee è sempre stato un match molto agguerrito sul piano dell'agonismo e, la voglia, di prevalere sull'avversario ha sempre dato vita a partite ricche di goal. Da ricordare vi è l'incontro valevole per i quarti di finale in League Cup, del 12 settembre del 1956, dove il Dundee trionfò per 7-3 ai danni dei cugini dello United. Ad oggi, quella partita, è ricordata per essere il confronto con la sommatoria più alta a livello di goal.
Diversi sono stati, anche, i calciatori che hanno “percorso” i soli 300 metri che dividono i due “quartier generali” per passare da una compagine all'altra. Da ricordare, su tutti, Scott Robertson il quale calcisticamente nacque al Dundee Fc e vi militò dal 2003 al 2008 per poi passare, nell'estate 2008, al Dundee United dove vi rimase per quattro anni. Ad oggi, il centrocampista scozzese originario, appunto, di Dundee, vanta più di 100 presenze con entrambi i club.
L'ultima curiosità di questo, tutto sommato, simpatico derby, è legata alle tifoserie delle due squadre. Da entrambi i fronti non vi è mai stato un vero e proprio gruppo organizzato od un qualche gruppo, cosiddetto, hooligans che abbia dato vita a delle schermaglie atte a difendere i propri vessilli, colori o simboli. La vera curiosità sta nel fatto che le due compagini (in riferimento al tifo) possiedono una, così chiamata, “Firm” combinata nota come “Dundee Utility” costituita, più che altro, per far fronte ai vari gruppi “Hools” delle due squadre di Glasgow, Edinburgo ed altre realtà più o meno violente. Vediamola così, vi è un fronte unico quando si tratta di difendere la propria città. Personalmente trovo affascinante questa cosa.
C'è da dire che siamo davanti ad una realtà molto “anomala” in merito alle rivalità legate al mondo del calcio. La città di Dundee è forse da considerare un esempio per quanto riguarda il saper vivere il calcio senza che nessuno si faccia realmente male. Vivere una rivalità solo nei limiti calcistici dove, quando entrambe le squadre stanno giocando in casa, da uno stadio all'altro partono cori di scherno o di prese in giro a distanza di soli 300 metri. Una realtà dove all'interno di una semplice famiglia di Dundee ci si divide, per andare allo stadio, soltanto quando si arriva alla strada che, appunto, divide i due impianti sportivi, Tannadice Street per la precisione. Una realtà dove se c'è da fare violenza legata al calcio (che serebbe il caso sempre di evitarla) ci si unisce in un fronte unico per difendere il proprio territorio. Una realtà in cui, nel giorno dello scontro tra le due squadre, “si dice” che i calciatori del Dundee United se giocavano in casa dei rivali del Dundee, in passato, andassero a cambiarsi al Tannadice Park per poi scendere in campo al Dens Park.
Diversi sono gli aneddoti calcistici legati a questa città e a questa rivalità un po' anomala. Una rivalità che, forse, non ha nulla di anomalo ma, semplicemente, vive di calcio in maniera più civile di tante altre città in giro per il mondo. Una “faida”, senza dubbio, esiste ma si racchiude tutta nei 90 minuti di gioco perchè, dopo tutto, per gli abitanti di Dundee è pane quotidiano questo derby di vicinato.
di Damiano Francesconi

29 maggio 2025

"HEYSEL. Le verità di una strage annunciata"

Dalla prefazione di Walter Veltroni del libro "Heysel. Le verità di una strage annunciata" di Francesco Caremani.

È una mano pietosa e indignata, quella di Francesco Caremani che ci guida in quel 29 maggio 1985, il giorno in cui lo sport dismise i panni dell’amicizia e della gioia per vestire quelli del dolore e della violenza.

Avvenne, a Bruxelles, ciò che in molti avrebbero potuto facilmente prevedere ed evitare, e non vollero o non seppero farlo. Quel giorno lo stadio del gioco diventò lo stadio della morte, una morte trasmessa in diretta e in mondovisione. Una morte che si mescolò col gioco del pallone (e per questo fu più crudele e più odiosa) che portò via il soffio della vita a chi avrebbe voluto semplicemente applaudire, vincere o perdere con la propria squadra, coi propri beniamini. E invece persero tutti, nonostante la coppa alzata, il giro del campo, nonostante i sorrisi, i ‘non sapevamo’, nonostante il gol. Nonostante la vittoria, persero tutti, in quella sera luttuosa all’Heysel, quando il battito del cuore improvvisamente cessò per trentanove persone. Erano italiani in gran parte, ma il necrologio riporta anche quattro nomi belgi, due francesi e un nordirlandese. Il più giovane aveva undici anni e si chiamava Andrea. Seicento furono i feriti.

Le cronache ci raccontarono che la violenza degli hooligans inglesi non rispettò nemmeno i poveri corpi senza vita, oltraggiati col furto, con la denigrazione. La pietà muore più volte, e ciò che chiamiamo bestiale è, purtroppo, proprio dell’Uomo, non della ferinità, poiché solo l’Uomo può adoperare con consapevole raziocinio la crudeltà, l’offesa, il gesto delittuoso fine a sé stesso. Scriveva Salvatore Quasimodo in “Uomo del mio tempo”, nel 1946, cogli orrori della guerra davanti agli occhi: “(...) Hai ucciso ancora,/ come sempre, come uccisero i padri, come uccisero/ gli animali che ti videro per la prima volta./ E questo sangue odora come nel giorno/ Quando il fratello disse all’altro fratello:/ «Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,/ è giunta fino a te, dentro la tua giornata (...)”.

Anche all’Heysel si udì quell’eco, nelle urla degli hooligans, nel silenzio della polizia belga, nei piani di sicurezza mal attuati. È facile alzare la mano sugli innocenti, sui più deboli, sugli inermi. Questo ci insegna la strage dell’Heysel: il Male ha una sua feroce semplicità, lo si incontra anche nel luogo che per sua fattura dovrebbe invitare all’amichevole aggregazione, come uno stadio. E invece no: il gioco è il pretesto, la violenza è il fine. Quegli hooligans cercavano lo scontro, questo ci racconta il libro, e cercavano d’uccidere, dopo aver fatto crescere l’eccitazione con fiumi di alcol.

Nelle pagine successive i lettori troveranno ricostruzioni esatte e agghiaccianti. Un testimone così racconta: “Queste cose dovete scriverle. Quelli del Liverpool avevano pistole, forbici, coltelli, spranghe. Hanno ammazzato un ragazzo con un lanciarazzi, ho visto tutto con i miei occhi... È cominciato tutto col lancio di razzi. Dalla zona degli inglesi ne è arrivato uno, poi un altro e un altro ancora. Il quarto razzo ha colpito in pieno un tifoso. Era a venti metri da me. L’ho visto cadere, era una maschera di sangue. Nessun poliziotto è intervenuto”.

I lettori troveranno spiegazioni, opinioni, denunce. Troveranno le cronache dei processi, i pareri degli avvocati. Troveranno le parole di Otello Lorentini, l’anziano padre di Roberto, uno dei morti dell’Heysel cui è dedicato il libro. Roberto è morto mentre tentava di salvare un bambino ferito con la respirazione bocca a bocca.

Quando Caremani chiede il motivo per cui ha deciso di costituire l’Associazione tra le famiglie delle vittime di Bruxelles, Lorentini risponde che non poteva sopportare che si pensasse anche solo per un attimo che “39 persone erano morte da sole, per pura fatalità”. Arrivando alla fine del libro, quelle parole saranno una delle chiavi di lettura dell’intera vicenda, perché quel giorno della fine di maggio del 1985 furono gli uomini e non il Fato a decidere come in un’antica arena romana se avesse dovuto esserci il pollice verso, e fu così che morirono gli innocenti dell’Heysel: qualcuno li uccise, qualcuno lasciò fare.

Caremani è un ottimo giornalista. Ci emoziona, ci commuove anche, eppure ci avverte a ogni passo di non lasciarci distogliere dal dolore, perché oltre il dolore deve esserci giustizia. Non è un lieto fine, quello che l’autore ci racconta, né potrebbe esserlo, poiché non c’è letizia per chi ha perso i propri amici e familiari, ma c’è un risultato importante che l’impegno di Otello Lorentini e di altri riescono a raggiungere: la condanna della Uefa non è solo un atto giudiziario, ma indica un dovere di assunzione di responsabilità. Caremani sa bene che la giustizia degli uomini non è infallibile, ma è conscio di come quella sentenza rappresenti davvero un fatto storico per la giurisprudenza.

Questo libro è prezioso e bellissimo. Lo è perché ci ammonisce a non dimenticare e perché narra puntualmente e con notizie verificate tutto ciò che è accaduto; ma lo è anche perché è un libro d’inchiesta che ha dentro la passione del diario, della pagina biografica. Caremani dichiara che questo è il libro che non avrebbe voluto mai scrivere, eppure ciò che è avvenuto ha trasformato queste pagine nel “suo libro”.

Dentro e dietro il cumulo di dimenticanze, di superficialità, di pressappochismo, di mancanze, di colpe, l’autore indaga con la passione di chi ha ricevuto il testimone più scomodo: quello della memoria. Egli raccoglie indizi, ascolta e riferisce, forse affinché quel suo dolore si asciughi almeno un poco, e davvero quel dolore, quel nodo scuro, quel groppo alla gola che Caremani si portava dentro, si trasformano in coraggio e tenacia. La rabbiosa voglia di sapere diventa forte denuncia civile, diventa un pezzo di storia da leggere e conservare, diventa testimonianza lucida e critica di un massacro evitabile.

Voglio bene a questo libro: è un grande atto d’amore verso trentanove innocenti, e un monito a non perdere la strada dell’umanità e della pietas.
di Walter Veltroni

"HEYSEL. LE VERITA' DI UNA STRAGE ANNUNCIATA" di Francesco Caremani (Bradipolibri), 2025


Edizione aggiornata.
Il 29 maggio 1985 allo stadio Heysel di Bruxelles, prima della finale di Coppa dei Campioni Juventus-Liverpool, muoiono 39 tifosi bianconeri. Muoiono nel settore Z, schiacciati e soffocati dalla calca, sotto i colpi degli hooligans inglesi instupiditi dall’alcool, con la connivenza decisiva delle autorità e della polizia belghe, incapaci di prevedere e d’intervenire. Una tragedia annunciata che si abbatte con disperante drammaticità sul calcio come sport e sulle coscienze di tutti noi come uomini prim’ancora che come sportivi. Una ferita aperta e mai rimarginata, perché non si può e non si deve morire di calcio. Tutti hanno raccontato quello che è successo prima di Juventus-Liverpool, molti hanno raccontato il durante e il dopo, anche il proprio, ma nessuno s’è mai veramente addentrato nelle scomode verità. Gli effetti personali rubati, l’arroganza delle autorità, la lunga, faticosa e snobbata battaglia legale portata avanti dall’Associazione delle vittime, da Otello Lorentini che in Belgio ha perso il figlio Roberto. L’umanità calpestata di 39 famiglie tra meschinità d’ogni genere. Questo libro è un atto dovuto alla memoria e alla dignità di 39 persone che hanno perso la vita per assistere a una partita.

L’unico libro ufficialmente riconosciuto dall’Associazione familiari vittime Heysel

28 maggio 2025

COME NASCE LA MIA PASSIONE PER LA SCOZIA

Nel 1974 avevo 7 anni, tifavo per il Milan dopo la delusione di Verona di un anno prima, ma a livello internazionale non avevo le idee molto chiare. La mia prima raccolta di figurine fu quella del campionato 1973-74 che completai proprio in quel periodo. Così, quando verso la fine della scuola tornai a casa con l’album nero di München 74, abilmente distribuito gratis con un’ottima campagna di marketing proprio davanti all’uscita con bustina allegata, mia mamma mi guardò con aria severa: «Non vorrai fare anche questa?» mi ammonì. Erano i miei primi mondiali, e così riuscii a convincerla e inizia anche quella collezione, senza portarla a termine. La pagina della Scozia aveva su di me un effetto ipnotico, ne avevo sentito parlare perché una mia compagna di classe, cosa inusuale all’epoca, era nata a Edimburgo da madre scozzese, e questo mi aveva colpito, così come i suoi capelli biondi e occhi azzurri. L’associazione con le magnifiche divise dark-blue sia delle maglie che delle tute dei giocatori, unita ai volti, tipicamente anni ’70, completò l’imprinting: l’amore era sbocciato quasi per caso e da lì in poi la Scozia sarebbe stata la squadra del mio cuore. Ricordo la prima partita vista in diretta: Brasile-Scozia 0-0 con la telecronaca di Nando Martellini, che sottolineava la potenza del tiro di Peter Lorimer.

Seguì la delusione per un’eliminazione al primo turno causata da un solo gol di differenza reti proprio a favore del Brasile, campione del mondo in carica, con il quale giocammo alla pari.
Non sapevo che questa sarebbe stata la prima di una lunga tradizione negativa: sempre fuori al primo turno! In tutte le fasi finali, che si trattasse di un mondiale o di un europeo. Dall’altra parte la soddisfazione di vedere un paese di pochi milioni di abitanti, partecipare per sei volte su sette alla fase finale dei mondiali dell’ultimo quarto di secolo del 1900. Anche quando le squadre ammesse erano solamente sedici!

Nel 2018, dopo l’ennesima delusione per la mancata qualificazione ai mondiali di quell’anno (come l’Italia del resto) decisi di scrivere un libro dove raccontavo la mia bizzarra passione, partendo da uno striscione notato nella curva della Reggiana, la squadra della mia città. TI AMEREI ANCHE SE VINCESSI può valere per molte squadre non abituate a vincere, ma per la Scozia lo trovavo perfetto. A questo è seguita la creazione del gruppo ITALY TARTAN ARMY, più virtuale che reale, anche eravamo presenti a Monaco durante gli ultimi europei, seppur non allo stadio.

Visto il buon successo, seppur di nicchia, del primo libro, ho perseverato con LA TRAVERSA SPEZZATA che racconta in modo romanzato tra realtà e fantasia una delle più grandi imprese scozzesi: la vittoria a Wembley nel 1977 con invasione di campo e rottura della traversa, crollata sotto il peso dei tifosi appesantiti dall’alcol. Dopo alcune divagazioni su alcuni vuoti che ho voluto colmare, visto che nessuno aveva mai scritto di loro, riguardo personaggi non scozzesi ai quali sono legato come Pippo Marchioro, Villiam Vecchi e Nico Facciolo, recentemente ho voluto completare la trilogia scozzese con un romanzo più che ucronico direi folle, dove la Scozia arriva a trionfare ai mondiali di Italia ’90. CAMPIONI DEL MONDO è un viaggio durante l’estate del 1990 tra sogno, realtà, fantasia. Difficile distinguerli in questo racconto, che posso definire appassionante, anche se sono di parte. E non è finita qui, entro l’anno uscirà un qualcosa che stupirà tutti gli amanti del calcio britannico, un’opera piena di immagini, imperdibile per i collezionisti, sulla quale per il momento non posso aggiungere altro.
di Antonello Cattani

27 maggio 2025

"FOOTBALL TRA STORIA E LEGGENDA - Dalle origini al calcio moderno" di Gabriele Manu & Marco Scialanga (BradipoLibri), 2012


Il calcio quando non c’era. Prima che a introdurlo, nel secolo XIX, insieme con la rivoluzione industriale, fosse il progresso. Nessuno l’ha inventato. 
Gli inglesi l’hanno codificato, scisso dal rugby e diffuso oltremare, ma i veri Maestri erano scozzesi e i primi organizzatori francesi, i veri americani del mondo. 
Viaggio nelle origini del football dei pionieri, fra miti, leggende, luoghi comuni da sfatare, aneddoti e curiosità (storicamente dimostrabili) del gioco più bello al mondo. Così forte da sopravvivere a se stesso.
Questo libro è rivolto a tutti coloro che amano il calcio: dal “battimuro”, al Subbuteo, al Calcetto, al calcio, quello giocato, quello parlato, e anche a quello virtuale delle consolle… 
Insomma a chiunque piaccia questo fantastico gioco, semplicemente il più praticato a livello planetario.

26 maggio 2025

1989 LIVERPOOL-ARSENAL= 0-2. Quel minuto che fece la storia.






















A volte mi sono fatto (ovviamente da solo…chi vuoi che mi faccia una domanda simile fra amici e parenti?) a bruciapelo questa domanda: quali sono i tre momenti che ti hanno fatto innamorare del calcio inglese?

Come per una storia d’amore, ricordare i brividi e le emozioni degli inizi è un tributo alla nostalgia che ogni tanto bisogna pagare…e ogni volta, prima di rispondere, parto per un viaggio nella memoria, fra momenti ‘vissuti’ e altri solo ‘tramandati’ da libri, video, programmi…la ‘classifica’ finale risente degli umori del momento, ma la hit che non manca mai è ‘quel’ minuto di Anfield Road, quando l’Arsenal conquistò il titolo all’ultimo respiro dell’ultima partita di campionato, strappandolo dal petto dei Reds che già lo celebravano cullati dalla Kop e dal suo ‘You’ll never walk alone’ da brividi…me lo ricordo bene quel dolcissimo pomeriggio di tarda primavera, con la scuola ormai agli sgoccioli e le ore divise fra lunghe maratone di sport in tv e interminabili partite di calcio o tennis…quel 26 maggio 1989, però, non c’erano stati svaghi…il perché lo capivo solo io, ma fra l’incredulità dei miei amici mi chiamai fuori perché ‘c’era la partita’…’ma quale partita?’, chiedevano increduli…era venerdì, quindi niente serie A né coppe europee…alzata di spalle, sorriso di ‘compassione’ e poi via a riprendere il ‘calcio giocato’…più o meno la stessa sospettosa diffidenza con cui i miei mi vedevano armeggiare con l’antenna TV per essere sicuro di sintonizzare in maniera decente TMC…eppure era dal 1952 che un titolo inglese non si assegnava nello scontro diretto all’ultima giornata (allora l’Arsenal ne prese sei (a uno) dallo United, un precedente non proprio incoraggiante per i Gunners)…ma la ‘relatività’ l’avrei metabolizzata solo anni dopo, in quel momento la loro indifferenza mi sembrava folle almeno quanto a loro la mia tensione…una tensione che sul piano calcistico trovo peraltro assolutamente giustificata ancora oggi…si arrivava da una stagione straordinaria in tutti i sensi…la mia Inter aveva appena vinto lo ‘scudetto dei record’ (ahimè anche l’ultimo da allora…), un mese prima c’era stato Hillsborough…momenti ugualmente indimenticabili, per ragioni opposte, che sembravano trovare la loro composizione nell’ultimo atto che si andava preparando ad Anfield Road…tardi, rispetto al calendario inglese, proprio a causa dello stop decretato per onorare le vittime dell’assurda tragedia di Sheffield e cercare di capire ancora una volta come si possa morire per una partita di calcio…nel frattempo il Liverpool aveva onorato a modo suo la memoria dei suoi tifosi, vincendo la FA Cup a spese dell’Everton e continuando l’incredibile striscia positiva di 23 partite senza sconfitta (20 vittorie e 3 pareggi) a partire da Capodanno…una forma che aveva permesso ai Reds di rimontare ben 14 punti di distacco nel giro di tre mesi e prendersi la testa della classifica…a questo punto, dopo aver demolito per 5-1 il West Ham nell’ultimo recupero, il Liverpool aveva tre punti di vantaggio sui Gunners ed una migliore differenza-reti…la squadra di George Graham avrebbe dovuto vincere con almeno due gol di scarto, cosa che nelle ultime quattro stagioni era successa ad Anfield solo una volta (per mano dell’Everton)…peraltro l’Arsenal era in piena crisi, dopo aver dilapidato un vantaggio che in primavera pareva rassicurante e aver fatto solo un punto nelle ultime due gare casalinghe contro Derby (1-2) e Wimbledon (2-2, e pensare che alla prima giornata i Gunners avevano demolito per 5-1 la Crazy Gang fresca vincitrice della FA Cup…)…la stampa non attribuiva alcun credito alle speranze dei londinesi, e per molti il Double sarebbe stato quasi un ‘risarcimento’ alla memoria delle vittime di Hillsborough…in giro c’era quasi ‘simpatia’ per il Liverpool, un po’ come nel 1953 tutti tifavano Blackpool nella finale di FA Cup, spingendo Matthews verso quella medaglia che pareva inafferrabile…provano a pensarla diversamente i Gunners, e O’Leary dichiara: ‘i miracoli accadono.


Una cosa è certa, daremo tutto per rendere loro la vita difficile’…già, un miracolo calcistico è proprio quello che ci vorrebbe…eppure i precedenti stagionali sarebbero anche incoraggianti…in Coppa l’Arsenal si è piegato solo al 2° replay, mentre in campionato è finita 1-1…nel frattempo però sono cambiate molte cose, e le due squadre hanno condizione e morale diametralmente opposti…finalmente ci siamo, Caputi e Bulgarelli da Anfield Road (o almeno così credevo ai tempi…) leggono e commentano le formazioni, inquadrano la gara e cercano di riportare l’atmosfera a dir poco elettrica che rimbalza da Liverpool…ma proprio quando ripenso al contrasto fra l’adrenalina che colava dal piccolo schermo e l’indifferenza del mio ambiente domestico mi abbatto un po’…sarebbe stato bello respirare la stessa attesa anche da questa parte del video, commentare le possibilità dei Gunners e le scelte tattiche di Graham, i titoli dei giornali e l’esodo speranzoso dei tanti partiti in mattinata da Islington alla volta di Anfield…sarebbe stato bello insomma vederla con un appassionato, magari un tifoso…tipo Nick Hornby, per esempio, uno che sulla sua ossessione per l’Arsenal ha scritto addirittura un libro, Fever Pitch…un libro meraviglioso, in cui qualifica questa serata come ‘il più grande momento in assoluto’…ne fa un racconto emozionato e coinvolgente…come piacerebbe a me, che mi abbandono alla fantasia e mi vedo seduto di fianco a lui, teso ma disincantato, in attesa del fischio d’inizio…

Io: ‘allora Nick, come hai passato la giornata?’ gli chiedo fra l’ironico e il provocatorio.
Lui: ‘la verità? stamattina sono andato ad Highbury a comprare questa maglia nuova, così tanto per fare qualcosa…capisco che indossarla davanti al televisore non aiuterà molto i ragazzi, ma almeno mi ha fatto sentire meglio…a mezzogiorno, intorno ad highbury c’erano già decine di pullman e macchine, e tornando a casa ne ho incrociati parecchi assurdamente ottimisti…sono stato male per loro, davvero…erano solo uomini e donne che andavano ad Anfield a perdere al massimo un campionato, ma a me sembravano soldati in partenza per una guerra senza ritorno…’
Io: ‘insomma non ci credi proprio…però hai comprato una maglia nuova per l’occasione…’ lo martello adocchiando la replica shirt nuova di zecca.
Lui: ‘Che vuoi che ti dica, dopo tanti anni ho smesso di crederci davvero…Dal 1971 non siamo mai stati davvero in corsa per il titolo, anche se un paio di anni fa restammo in testa per qualche giornata…in questi anni ho visto decine di partite, moltissime di campionato, e quasi tutte senza alcun risvolto di classifica…è chiaro che alla fine ti abitui, e anche se un tifoso dovrebbe sempre covare l’illusione della vittoria, io avevo ormai abdicato ogni speranza di lottare per il titolo…quest’anno, poi…con una squadra così giovane, l’unico innesto di Steve Bould dallo Stoke e i bookmakers che in estate ci pagavano 16-1 per la vittoria finale, non avrei mai pensato di dover tornare a soffrire così per un campionato prima sfiorato e poi regalato per così poco…’
Io: ‘Quest’anno solare però lo avete iniziato in testa e ci siete rimasti quasi fino a oggi, quindi un po’ ti sarai fatto coinvolgere…’.
Lui: ‘Un po’? Faccio fatica ad ammetterlo anche a me stesso, ma dentro ho un vulcano in eruzione…anche se non è così dall’inizio…ricordi la prima di campionato, in casa del Wimbledon? Fashanu in gol dopo sette minuti…non proprio l’inizio che ogni tifoso sogna…poi per fortuna il loro portiere finì dentro la porta con un pallone innocuo fra le braccia e ci regalò il pareggio…poi si scatenò Alan Smith e finì 5-1 per noi…alla fine quasi non capivo cosa fosse successo…’
Mi faccio trasportare nel ‘film’ della stagione che si conclude stasera e lo stimolo sui momenti salienti: ‘Rimonta-episodi fortunati-Alan Smith…tre costanti di tutta la stagione’
Lui: ‘Già, hai proprio ragione…Alan è stato straordinario, secondo me il migliore e spesso decisivo…di testa le ha prese tutte, ma ha inventato anche di piede alcuni gol fra il memorabile e il fortunato’.
Io, che non voglio perdere l’occasione di poter finalmente parlare con qualcuno che mi capisca: ‘Tipo il pareggio a Nottingham, quando Lukic aveva regalato il pallone dell’1-0 a Clough e lui indovinò un lob dal limite dell’area mettendo il piede in una mischia selvaggia…’
Lui: ‘Giusto, vedo che il campionato l’hai seguito…comunque di gol così ne ha fatti tanti, dei 22 totali segnati fino a stasera molti sono stati cruciali…tipo il pareggio di testa in pieno recupero contro il Southampton, dopo essere stati sotto 2-0 a sette minuti dal termine, oppure quello di testa al Villa Park, saltando più in alto del portiere in uscita…in quella partita Smith fu gigantesco, completando l’opera con un’altra torre da cui scaturì il 2-0 finale sul Villa’.
Io: ‘E pensare che proprio il Villa nella gara d’andata aveva freddato gli entusiasmi del dopo-Wimbledon…’
Lui: ‘Già, quella sconfitta alla 2° di campionato, in casa, ci fece tornare subito sulla terra…per fortuna i ragazzi risposero subito alla grandissima nel derby con gli Spurs…’
Io: ‘Quella fu mitica, una delle migliori partite dell’anno…l’esordio assoluto di Gazza con la maglia degli Spurs, in casa, nel derby…le aspettative erano altissime, poi Winterburn inventò quel gol d’esterno dal limite dell’area e gelò White Hart Lane…’
Lui, rapito dal ricordo estatico di quel giorno: ‘…loro pareggiarono, ma era il nostro giorno…alla fine celebrammo il 3-2 cantando a squarciagola sulle nostre tribune, urlando ancor più forte quanto più le loro facce intorno erano scure…’
Io: ‘La rincorsa vera partì proprio da quel giorno…nonostante la sconfitta per 2-1 contro lo Sheffield Wednesday qualche settimana dopo, fino a febbraio fu un crescendo irresistibile…’
Lui: ‘Infatti fu allora che cominciai timidamente a crederci…vincemmo ad Upton Park, in casa del QPR rimontando da 0-1 a 2-1 nei minuti finali, a Coventry, a Goodison Park con l’Everton, dove uscimmo addirittura fra gli applausi…’
Io: ‘Nel frattempo ci fu anche l’andata con il Liverpool, ad Highbury, altra rimonta…’
Lui: ‘Era inizio dicembre, noi inseguivamo il Norwich capolista ed avevamo da affrontare di seguito Liverpool, Norwich e Manchester United…con i Reds fu soffertissimo…ad inizio ripresa Barnes segnò per loro…lo fece dopo uno slalom fantastico, eppure a vederlo da fermo in quei giorni pareva addirittura soprappeso…per fortuna ci pensò ancora Smith a rimettere le cose a posto, ma nel finale Barnes colpì una traversa clamorosa su punizione e poi Aldridge sbagliò un gol di testa da solo davanti a Lukic…che sospiro di sollievo, se oggi siamo ancora in corsa lo dobbiamo anche a quella partita…’
Io: ‘Però non vi è andato sempre tutto per il verso giusto…dopo l’1-1 con il Liverpool giocaste in casa della capolista Norwich e finì 0-0 dopo che l’arbitro vi fece ripetere un rigore che Marwood aveva segnato al primo tentativo…’
Lui: ‘…e che poi al secondo sbagliò…certo, qualche beffa l’abbiamo incassata anche noi…all’Old Trafford, per esempio, Adams ci portò in vantaggio, sembrava tutto fantastico, poi a una manciata di minuti dal termine sempre lui realizzò un autogol che deve aver fatto ridere tutta l’Inghilterra, noi esclusi…’
Io: ‘A quel punto eravate stati in testa per quattro mesi ma il Liverpool vi agganciò proprio quel giorno…’
Lui: ‘Precisamente…conquistammo la vetta a fine anno, dopo il successo al Villa Park, e la celebrammo nel derby di ritorno con gli Spurs…si giocò nel giorno in cui fu scoperto il nuovo orologio nella Clock End…altra giornata da ricordare, con un Merson sontuoso che realizzò l’1-0 e poi giocò un contropiede fantastico prima di servire a Thomas la palla del raddoppio…in quel momento eravamo inarrestabili…il 18 febbraio avevamo 15 punti in più del liverpool, anche se con una gara in più…15 punti, capisci?’
Io: ‘Mi ricordo bene, i Reds erano completamente fuori dai giochi, al 6° posto…e nonostante la prima mini-crisi di febbraio, dove vinceste solo 2 partite su 5 (di cui 4 in casa), i bookmakers vi davano quasi alla pari per il titolo, con il Liverpool (nel frattempo risalito a –8) pagato 16-1’.
Lui: ‘E’ lì che abbiamo cominciato a dilapidare tutto…a fine marzo andammo a vincere 3-1 a Southampton…di quel giorno mi ricordo soprattutto lo slalom fantastico di Rocastle per il 3-1 e le urla razziste dei tifosi di casa all’indirizzo dei nostri giocatori di colore…purtroppo fu una ‘sveglia’ breve, perché due settimane dopo i Reds ci affiancarono in testa…e da allora ce la giochiamo testa a testa…’
Una volta rotti gli argini, mentre giungono le prime immagini da Anfield, spostiamo l’attenzione sulle formazioni, in quel momento in sovrimpressione.
Io: ‘Graham insiste anche stasera sulla difesa a 3…va bene che ha tenuto in piedi la baracca negli ultimi due mesi, ma non è un po’ troppo difensiva visto che si deve vincere con due gol di scarto?’
Lui: ‘Credo che voglia sfruttare al massimo la nostra arma numero 1, i colpi di testa…con Adams, Bould e O’Leary contemporaneamente in campo e Smith davanti, quelli del Liverpool non la prenderanno mai…almeno spero che il motivo sia questo, e non la voglia di finire ‘con onore’ magari uscendo imbattuti da Anfield…’
La formazione del Liverpool è impressionante…in campo Nicol, Hansen, McMahon, Whelan, Barnes, Aldridge, Rush…in panchina addirittura il lusso di Peter Beardsley…mentre la leggo mi lascio sfuggire un’occhiata di ‘compassione’ verso Nick…ci vorrebbe davvero un miracolo…anche perché l’ambiente è assolutamente ‘aggressivo’…la Kop canta altissimo, sembra un urlo di battaglia che ti fa tremare dentro…Dalglish si guarda intorno come spesso fa, e sorride…sembra sicuro, e d’altra parte come potrebbe non esserlo, con 40.000 scatenati tifosi a sostenerne l’ultimo sforzo?

Si parte, la prima palla è dell’Arsenal, in una non indimenticabile divisa giallo-nera da trasferta…il contrasto con il rosso fuoco del Liverpool è quasi presagio di quello che sembra prospettarsi sul campo…la prima vera occasione è però dell’Arsenal, con Bould che a Grobbelaar battuto si vede respinto sulla linea il colpo di testa…è però l’unica vera fiammata del primo tempo, i padroni di casa provano qualche tiro da fuori ma Lukic è attento…la tensione è alta, la posta altissima, ma è chiaro che il passare dei minuti giova solo al Liverpool.
Nell’intervallo Nick è ancora più sconsolato di prima: ‘Dai Nick, lo ha detto anche Graham che lo 0-0 all’intervallo non sarebbe stato catastrofico…ci vuole un episodio, e tutto si riapre…anche loro sono uomini e sentono la tensione…’
Lui annuisce ma non ci crede…poi si riparte e l’adrenalina può scaricarsi sul campo…al minuto 52 Rocastle finisce a terra nei pressi del vertice sinistro dell’area del Liverpool…si accende quasi una mischia con Whelan che ha commesso il fallo, poi finalmente Winterburn può battere…è un attimo, la difesa si ferma e Smith è fulmineo nell’avventarsi sulla palla e sfiorarla quel tanto che basta a ingannare Grobbelaar…il tocco è così leggero che i Reds protestano con l’arbitro perché il calcio di punizione era di seconda e ritengono non l’abbia toccato nessuno…l’arbitro si consulta con il guardalinee mentre milioni di persone trattengono il fiato davanti alla TV, noi inclusi…poi punta il dito verso la metà campo e convalida…1-0, i fedelissimi giunti da Londra, stretti in un angolo dietro la porta del Liverpool fanno festa e cominciano a sperare…e anche Nick si scioglie un po’, in fondo ora serve solo un gol, e il Liverpool non sembra in grandissima serata…Ablett salva due attacchi dell’Arsenal, ma è al minuto 73 che il destino sembra compiersi…Richardson riesce a toccare verso lo smarcatissimo Michael Thomas in piena area…Thomas si gira, deve superare solo il portiere ma gli tira addosso, e tutto sembra finito…i minuti passano veloci, Nick sembra aver ‘esalato’ l’ultimo respiro di speranza sul tiro di Thomas, e così i giocatori in campo…il Liverpool cresce, quasi sollevato dall’occasione clamorosa buttata al vento dai Gunners…a un certo punto compare nell’angolo della TV perfino l’orologio, a rincarare la sofferenza di chi è davanti al video…segna 88.00, proprio mentre Beardsley si invola solo in contropiede…sembra la conclusione perfetta, la palla arriva a Aldridge che però incespica, si incarta e sciupa tutto…nell’azione è rimasto a terra a metà campo Richardson, valoroso centrocampista dell’Arsenal…i secondi scorrono mentre gli si prestano le cure…cono minuti interminabili, tutto sembra sospeso come in un fotogramma…Nick è pietrificato, mormora quasi fra se e sé ‘Buttarlo via così, incredibile…’

Io: ‘Hai ragione, se finisse così sarebbe davvero una beffa…per un gol, credo non sia mai successo…’
Lui, mentre i secondi passano e Richardson non accenna a rialzarsi: ‘Non è questione di un gol…anche dopo esserci fatti riprendere ad aprile, dopo la pausa per Hillsborough, abbiamo battuto il Norwich, era di nuovo tutto in mano nostra…poi quelle due maledette partite in casa…’
Io: ‘Derby e Wimbledon…hai ragione, un solo punto in quelle due gare è stata la fine…soprattutto il 2-2 con il Wimbledon…’
Lui: ‘Come si fa a farsi riprendere due volte, in casa, da una squadra che all’andata avevamo demolito? Winterburn aveva inventato un altro super-gol, Merson ci aveva riportato avanti dopo il pareggio di Cork…e poi, quell’esordiente, McGee, con quel tiro assurdo che non ripeterà mai più…’ conclude quasi disperato mentre Richardson finalmente si rialza.

La telecamera si sposta sui protagonisti.. Dalglish è tirato ma misurato, Graham continua ad urlare suggerimenti, come se fosse ancora tutto in ballo…Barnes incita i suoi, McMahon urla che manca un minuto, uno solo…l’orologio supera i 90.45, poi scompare…ormai solo sgoccioli, la palla torna verso la porta di Lukic, è proprio un contrasto di Richardson a recuperarla…il portiere allunga a Dixon, che lancia lungo su Alan Smith…per la millesima volta in stagione il bomber dei Gunners vince il contrasto, difende la palla e poi la tocca…un tocco magico, verso il centro, dove arriva Thomas…ancora lui, che aveva sbagliato l’occasionissima qualche minuto prima…il centrocampista dei Gunners cerca di superare Nicol, tocca male ma la palla incoccia lo stinco del difensore e gli torna davanti…ora Thomas è solo, in un attimo che sembra durare un secolo si invola verso Grobbelaar, aspetta la mossa del portiere e finalmente piazza il destro alle sue spalle, in fondo alla rete, per l’incredibile 2-0…a quel punto succede di tutto, le capriole ‘elettriche’ di Thomas mentre i compagni lo raggiungono le avremmo viste solo dopo, in quel momento è come essere in un’altra dimensione, senza tempo né gravità…saltiamo tutti, increduli ma come alleggeriti d’improvviso di tutto il peso di otto mesi di passione, fatica, illusione…la partita riprende, ma non c’è più tempo, l’arbitro fischia e lo spicchio di Anfield che ospita i tifosi Gunners esplode senza argini in una felicità irripetibile…dietro la porta di Lukic qualcuno dalla Kop si sente male, viene trasportato fuori a braccia…ma vincono anche loro, che dopo qualche istante di sbigottimento per un titolo perso all’ultimo minuto dell’ultima partita intonano il più bel ‘You’ll never walk alone’ mai sentito…

Il coronamento più toccante ad una giornata irripetibile, mentre le telecamere fissano per sempre la disperazione di Dalglish e dei suoi, Adams che va da Aldridge ad accarezzargli i capelli (avremmo scoperto dopo che era solo una presa in giro per contrappasso a quanto Aldridge aveva fatto con Steve Chettle del Forest dopo il suo autogol nella semifinale di FA Cup…), Graham che chiama i suoi a raccolta, e infine il capitano che alza la Coppa ad Anfield…e Nick? Lui tutto questo non l’ha visto, al fischio finale si è fiondato fuori in strada gridando a piena voce, alla ricerca di una bottiglia di spumante con cui festeggiare…o forse sono io che mi sono svegliato dal mio ‘sogno’, ritrovandomi solo nella mia casa a metabolizzare l’emozione di una serata di sport che nessuna fantasia avrebbe potuto partorire…anche se non ero ad Anfield, infatti, né a Londra a guardare la partita con Nick Hornby, questa partita non la dimenticherò tanto facilmente, anche perché nulla di quello che è seguito (calcisticamente) negli anni mi ha regalato brividi così forti.
di Giacomo Mallano, da "UK Football please"

23 maggio 2025

ABERDEEN. La Decade



Con il termine “decade” si sottintende una serie di avvenimenti accaduti in un contesto cronologico di dieci anni. Questo sostantivo femminile, solitamente, racchiude fatti, eventi, accadimenti od azioni che hanno avuto luogo in un periodo che va dal – al ma che, come già espresso, sono racchiusi nell'arco temporale di dieci anni. A prescindere se questi siano stati belli oppure brutti, tristi o meno tristi.
Nella storia del calcio, molto spesso, vi sono state circostanze sportive che si sono racchiuse all'interno di un decennio. Possono aver portato gioie, dolori, felicità o malumori ma comunque sia sono state degne di nota e degne di essere raccontante alle generazioni future di appassionati.
Oggi prenderemo un aereo immaginario e voleremo verso la Scozia. Più precisamente andremo nel nord est della Scozia proprio in direzione del Mar del Nord. Siamo in quella che viene chiamata la “Città d'Argento” o “Città di Granito” ed è considerata la terza città più popolosa della Scozia. Siamo atterrati ad Aberdeen.
Negli anni '70 Aberdeen fu considerata la città perfetta dove vivere in quanto, nelle acque limitrofe alla città, vennero rinvenuti grossi giacimenti petroliferi i quali portarono la città a guadagnarsi la nomea di “Capitale europea del petrolio” e “Capitale europea dell'energia”. Tutta la popolazione visse un periodo di straordinario splendore tra gli anni 70 e gli anni 80. Quel periodo fu considerato la “belle époque” per la cittadinanza di Aberdeen.
Tutti i cittadini vivevano di lavoro durante la settimana ed il week end, come da prassi, era il calcio ad essere il centro dei pensieri di tutti gli abitanti. La squadra locale è l'Aberdeen Fc conosciuti anche come Dons. La squadra può vantare il fatto di essere, ad oggi, la terza forza storica del calcio scozzese dopo le due, più note, compagini di Glasgow. Rangers e Celtic.
Il massimo picco a livello di conquiste di trofei, i Dons, lo devono proprio a quegli anni 80 i quali videro il club divenire un vera e propria potenza, non solo in Scozia.
La decade sta proprio a racchiudere quei dieci anni vissuti ai massimi livelli, da parte del club, sia nel contesto nazionale che nel contesto europeo.
Negli anni 70, l'Aberdeen, aveva già intrapreso un percorso di crescita arrivando ad essere la temibile outsider nella perenne lotta tra Celtic e Rangers. Diversi furono gli allenatori che si alternarono sulla panchina dei Dons. Da Eddie Turnbull a Jimmy Bonthrone , da Ally MacLeod fino a Billy McNeil. Sotto la guida di Turnbull e di MacLeod vennero alzati gli unici due trofei degli anni 70 ossia la Coppa di Scozia nel 1969-70 ed una Coppa di Lega scozzese nel 1976-77.
Nonostante questi due trofei alzati al cielo, dalle parti del Pittodrie Stadium, casa dell'Aberdeen, si avvertiva la necessità di provare ad alzare quell'asticella cercando di provare a vincere un campionato che mancava dalla stagione 1954-55. La svolta storica avverrà nel 1978 con l'approdo del giovane allenatore scozzese di nome Alex Ferguson. Non ho voluto enfatizzare il suo nome in quanto, all'epoca, non era il “Sir” Alex Ferguson che noi tutti abbiamo ammirato sulla panchina del Manchester United per oltre vent'anni. All'epoca era un allenatore qualsiasi che venne esonerato dal modesto club St. Mirren per poi, appunto, essere ingaggiato dai Dons.
Nella stagione 1979-80 la società vantava nomi di lustro quali Gordon Strachan, Jim Leighton, Willie Miller e Alex McLeish. Questi nomi si amalgamarono alla perfezione con l'idea di calcio di Ferguson. L'Aberdeen divenne una perfetta macchina da goal ed una squadra ben oliata nei meccanismi di gioco arrivando, a fine stagione, a vincere il campionato di Scozia, dopo venticinque anni. Quel campionato sarà ricordato anche per la tensione con la quale venne vinto in quanto, quella stagione, l'Aberdeen vinse con un solo punto di distacco dalla seconda in classifica: il Celtic.




























Tutta la Scozia innalzò l'Aberdeen come orgoglio del paese e Ferguson venne considerato uno straordinario allenatore del panorama calcistico britannico. Nelle strade della città vi furono innumerevoli festeggiamenti per il trofeo tanto ambito.
La stagione successiva l'Aberdeen si piazzò in seconda posizione dietro al Celtic ma, comunque sia, confermò il suo status di “outsider” e disturbatrice della questione legata all'Old Firm. La squadra e l'allenatore erano sempre più un'unica cosa e tutti se ne accorgevano. I tifosi, i giocatori, la dirigenza e tutto lo staff. C'era la voglia di andare sempre oltre.
Nella stagione 1981-82 l'Aberdeen conquistò un altro trofeo. Questa volta si trattò della Coppa di Scozia in cui la finale venne giocata, come da tipica tradizione, ad Hampden Park e dinnanzi ai Dons vi erano i Rangers. I Gers passarono in vantaggio al 15esimo minuto per poi essere ripresi da una rete di McLeish per l'Aberdeen al 32esimo. Nell'extra time, però, uscì fuori chi, tra i due schieramenti, aveva più voglia di vincere e questi erano proprio i Dons i quali si imposero, alla fine del match, per 4-1 ai danni dei Blu di Glasgow. Quel giorno andarono a segno anche McGhee, Strachan e Cooper.
Ovunque andasse, l'Aberdeen, era ormai considerato un “giant” che doveva essere battuto ma quelli, come detto, erano gli anni d'oro e la cosiddetta decade vincente per i Reds quindi, l'impresa di rendere la vita difficile alla squadra di Ferguson, era davvero ardua come cosa.
La vera consacrazione arrivò la stagione successiva. La stagione 1982-83 è considerata, probabilmente, la più bella ed indimenticabile per ogni tifoso dell'Aberdeen. Quell'edizione del campionato venne vinto dal Dundee United (altra straordinaria sorpresa degli anni 80 scozzesi) ma, i Dons, fecero parlare ancora di loro e, questa volta, non solo in Scozia. In territorio nazionale venne sollevata un'altra Coppa di Scozia sempre ai danni dei Rangers. La vera impresa, però fu quella avvenuta in Europa nella Coppa delle Coppe.
Dopo una straordinaria cavalcata che vide l'Aberdeen far fuori club quali Sion, Dinamo Tirana, Lech Poznan, Bayern Monaco ed i belgi del Waterschei Thor si arrivò alla finale di Coppa delle Coppe contro il Real Madrid. L'incontro venne disputato all'Ullevi Stadion di Göteborg in Svezia. I Dons passarono subito in vantaggio al settimo minuto con il sigillo di Eric Black per poi essere ripresi dalla rete dal dischetto di Juanito per il Blancos, Si arrivò, quindi, ai tempi supplementari e la rete di Hewitt, al minuto 112, permise la prima grande impresa storica dell'Aberdeen. I Dons vinsero la Coppa delle Coppe del 1982-83.
Ora, anche in Europa, si parlava dei “rossi di Aberdeen” e Miller, Strachan, Weir, McGhee erano alcuni tra i calciatori più chiacchierati del panorama britannico. Non solo loro ma anche Ferguson stava arrivando alla ribalta ormai e, anche in Europa, di lui si era iniziato a parlare.
Se qualcuno pensava che i Dons fossero appagati non aveva che da ricredersi in quanto nel dicembre del 1983 venne giocata la partita di ritorno di Supercoppa europea tra Aberdeen ed Amburgo. All'andata, in Germania, il risultato rimase ancorato sullo 0-0 ma il ritorno, giocato al Pittodrie Stadium, vide la formazione di Ferguson vincere per 2-0 grazie alle reti di Simpson e di McGhee. Fu delirio. L'Aberdeen era sul tetto d'Europa.
Quella vittoria consolidò i Dons come immagine di Scozia in Europa e fu un vero e proprio vanto per la città essere considerati l'élite scozzese in giro per il vecchio continente.
Nelle coppe nazionali, l'Aberdeen, continuò a dire la sua in quanto, nell'edizione 1983-84 di Coppa di Scozia, venne aggiunto un altro trofeo in bacheca. Questa volta la vittoria, in finale, fu ai danni del Celtic con il risultato di 2-1. Nelle coppe nazionali l'Aberdeen dominava, in Europa il suo nome venne inciso nella storia ora, però, bisognava riportare la Premier Division nel nord est di Scozia. Proprio l'edizione del 1983-84 fu quella in cui i Dons tornarono a dire la loro anche in campionato alzando al cielo il loro terzo scudetto. Un'altra impresa venne compiuta: Supercoppa europea, campionato e Coppa di Scozia.
Con l'iniziare della stagione 1984-85 tutte le avversarie si domandavano se esistesse un modo per fermare l'inarrestabile avanzata dei Dons i quali, dovunque andavano, raramente perdevano. Arrivarono, con due giornate d'anticipo, a vincere anche quel campionato con un distacco di quattro punti nei confronti del Celtic.
Nella stagione 1985-86 l'allenatore Alex Ferguson si prese carico di un'ulteriore responsabilità. La Scottish Football Assosation diede l'incarico di guidare anche la nazionale scozzese dal 16 ottobre 1985 al 13 giugno 1986. Partecipò quindi ai Mondiali 1986 ereditando il ruolo di CT scozzese da Jock Stein. La Scozia venne eliminata al primo turno. Tornando, però, all'Aberdeen in quella stagione verrà centrato un altro double. Nella stagione 1985-86 i Dons vinsero la Coppa di Scozia e la Coppa di Lega. La prima venne vinta per 3-0 contro gli Hearts, mentre la seconda fu vinta sempre con lo stesso risultato e sempre contro una squadra di Edimburgo: Hibernian Edinburgh.
L'Aberdeen, ormai, era divenuta una realtà più che nota del calcio scozzese, britannico ed europeo. Diversi club avevano adocchiato molti calciatori di spessore ma la cessione più dolorosa fu quella che avvenne il 6 novembre 1986. Quel giorno l'allenatore e beniamino del popolo di Aberdeen salutò, per sempre, i Dons. Dopo otto anni sulla panchina di Pittodrie, alla guida dei Reds, Alex Ferguson andò nella vicina Inghilterra ad allenare il Manchester United e lì diverrà la leggenda mondiale del calcio per quanto concernono trofei, traguardi e successi.
Nel frattempo al suo posto arrivò Ian Porterfield il quale però deluse le aspettative e l'Aberdeen iniziò ad avere un evidente calo a livello di successi. Per ben tre stagioni rimase a secco di trofei dalle parti del Pittodrie.
L'Aberdeen, però, era sempre un club degno di nota in Scozia ed anche se per tre stagioni non venne alzato alcun trofeo, i suoi piazzamenti in campionato erano sempre tra la seconda e la quarta posizione. Con l'addio di Ferguson qualcosa si era inclinato ma, come detto, rimaneva sempre un club di rilievo nel paese delle Highlands.
Nel 1989-90 i Dons erano guidati da Alex Smith e chiusero questa decade nella maniera in cui iniziò, ossia con il sollevamento di due trofei. Quell'anno vinceranno la Coppa di Scozia, battendo in finale, ai rigori, il Celtic e la Coppa di Lega ai danni dei Rangers.
Bene, ora possiamo riprendere quell'ipotetico aereo citato all'inizio dell'articolo e tornarcene a casa. Si torna casa con la consapevolezza di aver fatto, più che altro, un viaggio nel tempo in quello che fu un periodo d'oro per un club che, troppo spesso, viene messo in disparte in quanto destinato a vivere nell'ombra delle due grandi di Glasgow. Una cosa, però, è certa. L'Aberdeen ha avuto l'onore di essere stata ed essere ancora a tutt'oggi un club che ha scritto pagine memorabili del calcio d'oltremanica e sopratutto di Scozia. Gli anni ottanta sono stati una vetrina sensazionale, per la città, grazie del boom economico dovuto ai giacimenti petroliferi. Stessa cosa si può dire della squadra locale la quale ha, per dieci anni, toccato il cielo con un dito in quegli stessi 80's. Anche una leggenda vivente come Sir Alex Ferguson deve, secondo il mio modesto parere, molto del suo appellativo onorifico “Sir” a quelle imprese compiute ai tempi dei Dons. D'altronde, secondo un articolo della BBC del 2013, il più grande trionfo di Sir Alex Ferguson ebbe luogo in una notte piovosa, in quel di Göteborg, nel 1983. Un trionfo proveniente da una “generazione d'oro” arrivata alla gloria contro ogni pronostico ed ogni probabilità.
di Damiano Francesconi

22 maggio 2025

"DREAM STATION" di Simone Galeotti (Urbone), 2013

Questa nuova raccolta, parte dalle origini del calcio inglese con l’avvento sulla scena di metà ottocento dei primi club che hanno sviluppato il football moderno. E tratteremo quindi della città di Sheffield, che detiene ben due primati riconosciuti. Il club e lo stadio più antico del mondo. Il primo è lo Sheffield FC, e il secondo è l’Hallam FC. Dopo, ci tufferemo completamente nella magia e nel fascino della FA Cup, con le sue sorprese, i giant killing più famosi, e le avventure di piccoli club con il loro carico di piccole e grandi speranze. Tutti orientati verso quella stazione, verso quello stadio che da sempre ha rappresentato il tempio del calcio e dei suoi sogni.

21 maggio 2025

[FOOTBALL AID] FELICI ALLO STAMFORD BRIDGE

Ebbene sì, per un giorno sono stato “traditore“, “traditore“ dei colori che ogni giorno, dal 1977 mi fanno pulsare il cuore, un cuore bianconero, che tifa Juventus.


Ma “galeotta “ è stata la amata fanzine “UK Football, please“, la stessa che circa un anno fa mi ha accompagnato in treno fino a Roma, sede del raduno degli amanti del calcio anglosassone. Il viaggio da Ancona, la mia città, non è molto lungo, per ingannare il tempo mi sono dilettato a leggere gli articoli di amici che parlavano di esperienze vissute “made in Britain“.. Devo ammetterlo, quella mattina il racconto più interessante era stato quello di Roberto Gotta, che come tutti saprete, è una delle penne forti del “Guerin Sportivo“. Già il titolo era premonitore: “Da una vita“….
Chi di voi, compreso me e Roberto, non ha avuto, almeno una volta nella propria vita, il desiderio di calcare i manti erbosi di un campo di calcio famoso e sognare di essere un calciatore miliardario, sì, come quelli che vediamo ogni giorno in tv ??!! 
Roberto ce l’ha fatta, vestendo per un giorno la maglia del Fulham e provando una sensazione unica, irripetibile. “Football Aid“ gli ha permesso tutto questo, un’Associazione creata da Simon Craig, colpito dalla sfortuna di avere un figlio gravemente diabetico, ha creato una società che raccoglie offerte da tutto il mondo e in cambio permette ai donatori di giocare una partita di calcio ufficiale negli stadi più noti del Regno Unito. E’ possibile giocare per il tempo desiderato in impianti più o meno famosi, con tanto di arbitri, cameramen, fotografi, pubblico, celebrità calcistiche e contemporaneamente donare una quota in sterline che andrà ad aiutare tutti i bimbi affetti da questa patologia. 

Quale migliore occasione quindi, anche se onerosa, per realizzare uno dei sogni più sognati della mia vita e nello stesso tempo aiutare chi è in difficoltà ?! A maggior ragione, svolgendo una professione a carattere sanitario, essendo farmacista, mi sono sentito legato fortemente ai destini di queste anime sofferenti: i bambini. Ho iniziato a leggere le parole di Gotta alla stazione ferroviaria di Falconara Marittima..  Beh…a quella di Jesi ero già fortemente convinto di tuffarmi in questa avventura ! Non feci in tempo a rientrare ad Ancona, dopo quella piacevole giornata trascorsa nella Capitale, che subito mi misi davanti al computer e navigai nel sito di “Football Aid“. Pensai che queste sono avventure in cui ci si imbatte una sola volta nella vita, perché non è facile progettare un viaggio all’estero a distanza di un anno, conciliare gli impegni di lavoro, concordare le ferie coi colleghi e investire uno stipendio mensile per concretizzare questa realtà… Ma col cuore tutto si può e ce ne ho messo tanto, sin dall’inizio. Mi sono posto l’obbiettivo di arrivare al 22/5/2007 sostenendo tre allenamenti a settimana tra calcio, calcetto e nuoto, recuperando una forma psicofisica precaria, intaccata da tre anni di inattività causati da infortuni alle caviglie e alla schiena. Non sono più un ragazzino, ho 36 anni, ma la grinta di Gotta, più anziano di me di qualche anno mi aveva incoraggiato. 

Le mie conquiste, i miei traguardi più importanti, nel lavoro, nello studio, nei rapporti interpersonali, nelle passioni, me li sono sempre conquistati con coraggio: anche questa volta ce l’avrei fatta. Ma c’era un problema….: Il “tradimento“, quel tradimento che da un lato mi avrebbe reso entusiasta, dall’altro avrebbe offeso la “Vecchia Signora“ anche solo per un giorno…! E’ chiaro che mi sono sempre visto con la casacca bianconera cucita addosso…Ma qui in Italia, vuoi per ignoranza e violenza calcistica, vuoi per insensibilità verso il “patrimonio tifosi” è impensabile giocare per una volta al “Delle Alpi“ e raccontarlo ai nipotini.. E’ questa la barriera che ci separa dagli anglosassoni: la cultura del calcio in Italia e’ mediocre. Da noi gli stadi sono inviolabili, per visitarne uno e fare il giro del museo ( dove presente…) devi metterti in coda e se ci riesci non puoi fermarti più di due secondi nei vari tratti del percorso. Devi perfino scongiurare i tuoi idoli (se si degnano di calcolarti) di farti uno scarabocchio su di un pezzo di carta.. Allora, visto che “occhio non vede e cuore non duole“ ho deciso di essere per un solo giorno calciatore del Chelsea! Perché, Beh…Dovevo soddisfare alcuni requisti…Prima di tutto, se bisogna fare una follia facciamola alla grande e anche se la squadra del magnate russo Abramovich è diventata famosa solo recentemente, gioca in uno stadio moderno, maestoso e ricco di fascino, fascino da Champions League. In più aggiungeteci che in questa squadra hanno militato Gianluca Vialli, Pierluigi Casiraghi e quindi capirete perché la mia scelta si è indirizzata lì….!! Ovviamente, oltre a motivi passionali si sono aggiunti quelli razionali: la necessità di giocare in una città raggiungibile direttamente da Ancona in aereo e soprattutto rapidamente, quindi Londra e Chelsea, il team dell’insopportabile Jose Mourinho, del disadattato Andrej Shevchenko, dell’altezzoso Michael Ballack, ma anche del lottatore Joe Cole, del monumentale Peter Cech e del tenace Terry Lampard. Per un anno ho sognato di appoggiare i piedi sulle stesse zolle di terreno testate da quei giocatori e ovviamente segnare.. Sono da sempre un attaccante, alla Filippo Inzaghi tanto per intenderci e con la grinta di Vialli (con le dovute proporzioni ovviamente !).. Quante notti ho sognato quel goal, uno almeno, ma il goal della vita. Non mi importava come l’avrei potuto realizzare: di testa, di tacco, di sedere, di schiena.. Ma un goal.. L’ho immaginato per un lungo anno e me lo sono costruito giorno dopo giorno, con gli infortuni dolorosi alle caviglie, coi problemi personali, coi minuti trascorsi sott’acqua in piscina, coi primi allenamenti con una squadra di calcetto per riprendere il ritmo, con le corse in palestra, con l’amore di chi mi vuole bene. 
I mesi sono trascorsi, la forma è progressivamente migliorata e finalmente a Maggio, ero pronto…Ma ecco l’intoppo sbagliato nel momento sbagliato…
Una settimana prima del volo per Londra mi infortunio seriamente, con la Nazionale Italiana Farmacisti (www.nazionaleitalianfarmacisti.com) e mi procuro un versamento alla caviglia destra con interessamento tendineo…Sono colto dallo sconforto più profondo…Ma non c’è stato un attimo, uno solo in cui ho pensato di non farcela. Troppi sacrifici ! Ho stretto i denti, ho accellerrato le terapie e via ! Il giorno del match è soleggiato, bellissimo, una stranezza per Londra…! Appena davanti allo stadio rimango a bocca aperta.. Una struttura eccezionale. All’entrata campeggia il simbolo sociale dei “Blues” e i muri circostanti sono ricoperti da manifesti che ritraggono i fans intenti ad incitare i loro beniamini. Accanto allo stadio, delimitato da un alto muro di cinta, è impossibile non notare subito l’imponente hotel a cinque stelle in cui risiedono giocatori e relative famiglie durante la vigilia delle partite, il ristorante bar, il fans shop, gli uffici amministrativi. Il tutto condito da una pulizia, un ordine e una disciplina impeccabili. La partita è fissata per le ore 15:00, quindi mi fiondo nel negozio ufficiale del Club e lo visito in lungo e largo. Si tratta di un magnifico magazzino a due piani in cui si può trovare dalle pantofole di Didier Drogba ai completini per bimbi !
La varietà degli articoli è così disparata che stento ancora oggi a ricordarmi tutto quello che diamine c’era là dentro ! Tralascio per ritegno la somma in sterline che ho sperperato in quel paradiso…!! Terminata la visita prenoto il tour del museo e dello stadio, con tanto di guida che rende attivi i partecipanti in ogni punto del tragitto, con un’accoglienza veramente gioviale. 
Il manto verde è un campo da biliardo e la prima cosa che lascia allibiti è il fatto che non manchi un seggiolino sugli spalti. Le scritte “Chelsea“ e “Adidas“ impresse nei settori hanno dell’imponente. La guida ci illustra le varie fasi di costruzione di uno stadio che anticamente aveva un aspetto ben più misero rispetto all’attuale. La parte più suggestiva è il muro che delimita l’entrata nelle “terraces” dei tifosi locali, lasciato volutamente intatto dai tempi dei primissimi lavori. Dopo la visita ai bar dello stadio, alla suite d’onore in cui viene offerto champagne agli ospiti, alla sala stampa e agli spogliatoi, eccoci al museo interno: una sorta di eden per tutti gli appassionati di memorabilia calcistiche. Pannelli illustrativi, vetrine colme di sciarpe, programmes, coppe, spille, squadre di subbuteo, postal covers, francobolli. E poi maglie autografate, statue di cera.. 

Ma il tempo stringe.. Sono le 14:00 e l’appuntamento con lo staff di “Football Aid“ davanti l’entrata della tribuna centrale è prossimo. Sono accolto da persone gentilissime che ci convogliano in una sala dello stadio riservata appositamente ai giocatori, parenti e amici. Dopo una breve introduzione gli
stewards ci conducono negli spogliatoi. Ho già il “fiato corto” ! Mi avvolge un colosso di 42.500 posti che non oso pensare quale effetto possa destare quando è al completo ! Negli spogliatoi ci aspettano le nostre divise appese agli attaccapanni con tanto di numeri e nomi e forse quella sarà l’immagine che più di altre mi rimarrà impressa nella memoria. Ogni giocatore dispone del suo kit. Ci vestiamo. E’ in questo momento che socializzo coi miei compagni e mi accorgo di essere l’unico italiano (anche fra gli avversari) fra inglesi, scozzesi, israeliani, indiani e greci, ecc.. 
Sembrerà stupido, ma in quel momento mi sono sentito davvero orgoglioso di rappresentare il mio paese. Pipì di rito nei bellissimi bagni e ironia della sorta incrocio lì Scott Minto, la celebrità calcistica che giocherà col mio team (in maglia bianca, seconda divisa del Chelsea ) e subito mi saluta molto cordialmente. Quello che mi stupisce è che nota subito la mia tensione per l’infortunio e il rischio di non giocare…Mi accompagna subito dallo staff medico e concorda quale fasciatura devono applicarmi per riuscire a farmi correre. Mi pare di vivere un sogno e mentre sono steso sul lettino Scott racconta delle sue esperienze. Appena ultimato il bendaggio mi convince a riscaldarmi sul manto erboso ma subito noto che ho grandi problemi.. Non faccio in tempo a finire il riscaldamento che Scott mi si avvicina e mi dice : “Senti, guardati intorno.. Questo è uno dei giorni più belli della tua vita… Non puoi tirarti indietro ! Ho avuto infortuni ben più seri dei tuoi e se ogni volta che mi fossi tirato indietro avrei giocato 10 partite su 100 !! Adesso tu giochi, non pensi al dolore e dopo 10 minuti ti faccio un cenno con la mano per chiederti come stai…” 
In quel momento fui pervaso da una carica indescrivibile. Rientrato negli spogliatoi mi sono fatto spruzzare una bomboletta intera di ghiaccio secco sulla caviglia ! E il cenno dopo dieci minuti..? Non contemplato.. Come per incanto ho pensato solo e unicamente alla partita e il dolore non l’ho affatto sentito !!! Per la cronaca abbiamo perso 4 a 5, ma durante quella partita il tempo sembrava dilatato.. Ho corso, preso e dato botte, finito svariate volte in fuorigioco e poi…Poi….Il mio goal…Il mio piccolo, insignificante goal.. Quello che ho cercato sempre, sfiorato a cinque minuti dall’inizio e sbattuto dentro di destro su di un cross radente a centro area, da destra verso sinistra, a dieci minuti scarsi dalla fine..!! Non resterà certamente alla onori della cronaca, ma mi ha fatto toccare il cielo con un dito e piangere dalla gioia. Un goal inseguito da 365 giorni e benedetto dall’abbraccio di Scott Minto, il primissimo compagno che mi ha afferrato per le gambe e ha scaraventato a terra per festeggiare. Ad oggi non riesco a ricollegare precisamente i momenti, le emozioni, il profumo dell’erba, gli echi dei pochi spettatori presenti (tra cui un mio amico inglese, tifoso del Fulham e un rappresentante del Juventus Club Londra), i tacchetti del mio marcatore, il tunnel d’entrata.. 
In 90 minuti ho concluso che nulla è impossibile e i limiti sono fatti per essere superati, con tutto quello che hai dentro: sempre!
di Vincenzo Felici da "UK Football please" (Settembre 2007)
da non perdere il libro dove Vincenzo racconta la sua avventura allo Stamford Bridge, "Traditore per un giorno".

20 maggio 2025

"PIONIERI DEL FOOTBALL. Storie di calcio vittoriano 1863-1889" di Simone Cola (Urbone), 2016

Nato come passatempo per i nobili rampolli dell'alta società, il football è diventato il fenomeno di massa che tutti conosciamo alla fine del XIX° secolo, e il suo percorso è stato lungo e travagliato. Dalla fondazione della Football Association alla nascita della Football League, dalle prime pittoresche amichevoli internazionali al Torneo Interbritannico, dai maestri inglesi ai professori scozzesi, “Pionieri del Football” racconta l'evoluzione del calcio nella terra in cui è nato: un viaggio che di anno in anno racconta le idee, gli eroi, le squadre e le partite che hanno segnato la nascita di quello che è sempre stato molto più di un gioco.

19 maggio 2025

"SUBBUTEO. LA' DOVE TUTTO E' COMINCIATO" di Fabio Del Secco

Subbuteisticamente parlando, gli ultimi due anni hanno per me significato il consolidamento di un processo di studio, di approfondimento e di ricerca che si è tradotto in quella che più volte ho definito come la Cultura del Subbuteo, ovvero una consapevolezza storico-cronologica della produzione dell’azienda di Peter Adolph, edificata di pari passo con un’attenta analisi del contesto sociale e del momento epocale in cui le idee di Adolph stesso prendono vita. E proprio a Peter Adolph e al suo mondo ho deciso di dedicare un viaggio, un viaggio con un milione di significati e di implicazioni emotive, fatto però a distanza di sei anni dal ritrovamento del vecchio amico (il Subbuteo), nel momento cioè in cui ho percepito un me diverso, più pronto perché costruito con l’età e con l’esperienza nonché sulle fondamenta di un’identità ben precisa, umanamente riconducibile alla componente anagrafica, Subbuteisticamente alla consapevolezza cui accennavo poco sopra.
Ecco cosa ha significato il viaggio a Tunbridge Wells: la chiusura di un cerchio, una ricongiunzione circolare al punto di partenza, ovvero il Natale del ’77 e il bimbo con i pantaloni a zampa di elefante più volte citato nei miei primi due libri. Questa ricongiunzione circolare ha fatto leva su un sentimento in particolare, la riconoscenza, sviluppatosi nel preciso istante in cui ho cominciato ad accorgermi di trovarmi a vivere una specie di seconda opportunità, la cui presa di coscienza ha finito per indurre quell’istinto allo studio, all’approfondimento e alla ricerca, ovvero alla costruzione di un patrimonio culturale che, in ottica Subbuteistica, mi ha permesso di allenare e di coltivare lo slancio alla gratitudine. E anche se all’apparenza può sembrare una gratitudine forse immaginaria, virtuale, volendo fine a sé stessa laddove intervenga la consapevolezza del fatto che il destinatario non potrà mai veramente apprezzare, l’impulso ha comunque dovuto far fronte all’urgenza dell’istinto emotivo.
Ed è stato a tutti gli effetti un viaggio nel tempo e nelle emozioni, la risposta ad un bisogno, fisico e mentale, di conoscere, di vedere, di vivere e sperimentare quel territorio e quel legame eterno tra la creatura di Adolph e il territorio stesso, un impeto suggestivo e passionale dettato e mosso dal senso di riconoscenza verso l’uomo che con la sua invenzione mi ha messo, non una ma ben tre volte, davanti ad una tastiera e ad un computer con l’intento di scrivere emozioni e sensazioni. Perché forse è proprio questa la chiave di lettura e d’interpretazione di quel sentimento di gratitudine, ovvero la consapevolezza di quanto la più grande invenzione ludica di tutti i tempi mi stia donando e restituendo in termini di riconciliazione con un me sopito da tempo e anestetizzato da ricordi ahimè mai finiti nell’oblio. Certo non nego che l’aver edificato una collezione costruita sull’esplorazione e la ricerca, rimodulando il concetto stesso di slancio collezionistico in una prospettiva sempre più selettiva e sempre più proiettata verso la scelta di pezzi che fossero non solo rari ma anche concettuali, pezzi cioè che sapessero trasmettere un messaggio e raccontare di un tempo lontano e di un mondo che non c’è più, abbia agevolato quel processo in cui la gratificazione collezionistica ha finito per assumere contorni sempre più indirizzati alla metamorfosi culturale, come se la crisalide della conquista appena posizionata sullo scaffale non attendesse altro che trasformarsi in vero e proprio patrimonio di conoscenza e di sperimentazione. È stata ed è indubbiamente una dimensione in cui il dialogare con determinati reperti “archeologici” è essenzialmente ascoltare, e ascoltando percepire come quegli stessi reperti abbiano così tanto da raccontare da poter esser considerati cardini di un processo di comprensione. Ma comprensione di cosa? Nel mio caso sicuramente della produzione Subbuteo dalle origini fino al 1985 (anno al quale mi fermo per i motivi ampiamente spiegati nel mio primo libro), ma soprattutto delle dinamiche imprenditoriali e commerciali che di quella produzione furono il presupposto, e dunque anche della mente che progettò e realizzò la più grande invenzione ludica di tutti i tempi, un’invenzione che ha di fatto rivoluzionato il concetto di intrattenimento casalingo e che oggi rappresenta un clamoroso schiaffo in faccia alla contemporaneità, un’invenzione frutto di una mente che sapeva guardare al presente e proiettarsi al futuro, vivendo e sperimentando il mondo e il momento storico in cui inserì quella produzione, di quel mondo stesso interpretandone la voglia di riscatto e di rinascita che si stava gradualmente trasformando in ritorno allo svago dopo il buio degli anni precedenti.
Non nego che l’intrecciarsi delle mie vicende personali con la presenza del Subbuteo nelle stesse, sia stato e sia tuttora una delle motivazioni più significative, non solo del viaggio stesso ma anche di tutto il processo di approfondimento e di studio di una produzione evolutasi parallelamente al mio stesso processo anagrafico. Nel Natale del 1977 l’invenzione di un ornitologo entrò prepotentemente nella mia vita, vi si soffermò per diverso tempo e poi sparì, per darmi infine appuntamento dopo trent’anni quando ormai “il credito residuo” si sta gradualmente esaurendo e le ferite si ostinano a non risarcirsi, ma al momento giusto per decifrare e capire quella stessa invenzione, e fare di questa decodifica lo strumento per sistemare le cose con il passato, dare un senso alle ferite stesse e accettare la mano portami dal bimbo coi pantaloni a zampa di elefante rimasto, da quel Natale del '77, ad aspettarmi per così tanto tempo.
Che senso ha adesso l'esperienza di questo viaggio in prospettiva futura? A Tunbridge Wells ho parlato con la gente del posto per capire quanto effettivamente sia rimasto dell’eredità culturale lasciata dalla Subbuteo, ho visitato l’edificio che oggi è adibito ad hotel ma che al tempo fu la sede della prima fabbrica di materiale Subbuteo dopo la fuoriuscita della produzione dalla dimensione domestica in cui era iniziata, mi sono recato vedere il Langton Green Lodge dove tutto cominciò e che tanto ha popolato la storiografia e l’iconografia dedicata al Subbuteo, ma soprattutto ho voluto visitare il Tunbridge Wells Cemetery per trovarmi lì, di fronte a lui, e dirgli “grazie”. Non sono stato il primo a farlo, né sarò l’ultimo, anzi spero che chi legge queste righe senta il mio stesso istinto alla gratitudine, ma non è questo il punto giacché, guardando al futuro, forse il vero senso di quel “grazie” è rintracciabile nel sentirmi adesso parte di una consapevolezza a più ampio raggio: tutto esiste ancora, caro Peter, la Tua creatura non solo è ancora viva ma gode anche di ottima salute, anche se qualche timore verso il futuro c’è, inutile negarlo, e se anche il merito non è del sottoscritto, la mia piccola parte credo di averla comunque fatta.

Mi chiedo oggi cosa mi resta di questi quattro giorni al di là della Manica. Beh, sicuramente ho imparato che il Subbuteo è un universo bellissimo se vissuto e sperimentato con superficialità e limitandosi all’incetta collezionistica puramente cumulativa, ma che diviene dimensione ed esperienza strepitosamente completa se esplorata e indagata con spirito di conoscenza e di approfondimento, oltre che con approccio culturale. Ecco, se c’è qualcosa che ho portato veramente con me sul volo di ritorno, oltre che i ricordi e le foto di rito, è proprio la convinzione di come quell’universo bellissimo acquisisca molti più significati se osservato e studiato con gratitudine e con consapevolezza storica, un’interpretazione personale per carità, ma che nel mio caso ha trovato le proprie ragioni di essere attraverso la verifica soggettiva, ovvero il trovarmi lì dove tutto è cominciato e dove è sepolto chi ha fatto in modo che quel tutto cominciasse.
Ovunque Tu sia, ti sarò eternamente grato.
di Fabio del Secco
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