4 dicembre 2025

FIRST Division. Football & cultura britannica. Dove la storia del calcio inglese si scrive tra una pinta al pub, l'odore del Bovril e il brivido delle vecchie terraces.

3 dicembre 2025

RECCOMENDED READING. "IL FOOTBALL NEI '70 & i '70 NEL FOOTBALL" di Fabio Del Secco

"Nonno, com'era il calcio negli anni '70?"

Non sono il nonno cui la domanda viene rivolta ma provo a rispondere: genuino, vero, schietto.
E una risposta prova a darla anche questo libro del 2017, scritto da Richard Crooks (si lui, l'autore di "Wednesday-United: the Sheffield derby", un must have per chi come me ama profondamente il Football Inglese).
Crooks, nato a Sheffield, assiste al suo primo derby dal vivo nel 1965 (e da lì in poi non ne perderà uno), e filtrando le sue emozioni di quel giorno con quelle del nipote Charlie che ha accompagnato ad Hillsborough per la prima volta, prende spunto per una riflessione su se stesso ragazzo nei '70 e se stesso adulto nel presente, una riflessione che però è soprattutto un ricordo del Football in quegli anni: gli stadi, le atmosfere nelle diverse città, il giornalismo dell'epoca, l'incrementarsi della presenza pubblicitaria nel contesto calcistico, le maglie, i palloni ed i calciatori, tutti ingredienti di un mondo che non c'è più.
Ed ovviamente la riflessione finale è in realtà una domanda, che per quanto inflazionata sia, resta secondo me di un'attualità sconcertante: era meglio quel Football o quello moderno/contemporaneo?

Quando mi tuffo nel mio ecosistema Subbuteo in realtà sogno, viaggio con la mente e penso a campi fangosi, maglie prive di scritte e di sponsor, palloni di cuoio marrone in tinta unita che nulla hanno a che fare con i "palloni tazebao" che vediamo rotolare oggi sui campi di tutto il mondo, e calciatori che erano uomini prima ancora che atleti e che uscivano dal campo spolverandosi dal fango, autocompiacendosi per l'ennesima sceneggiata bizzosa con rotolamento a terra chilometrico.

E di quel mondo ci racconta anche questo "Get it on, how the '70s rocked football" di Jon Spurling, insegnante di Storia e di Scienze Politiche, nonché autore di parecchie altre pubblicazioni calcistiche.
"Get it on" è una vera e propria panoramica sui successi e gli eccessi del football inglese anni '70, e su come quel tumultuoso decennio segnò l'inizio dell'era moderna, poi soppiantata dalle ambiguità e dalla fumosità di quella contemporanea.
È un libro che parla di football ma sullo sfondo di un Inghilterra attraversata da profondi cambiamenti sociali ed economici, e non solo (il glam rock, tanto per fare un esempio, che lascia il posto alle prime espressioni punk). Un Football di tanto tempo fa, fatto di campi fangosi e di palloni di cuoio in tinta unita (non i tazebao obbrobriosi di oggi), un Football vero, genuino, schietto, in cui sponsor, marchi e toppe varie non calpestavano la storia e la tradizione dei Club.
Molti dei nomi che il Football di quel decennio espresse non sono più tra noi, ma il merito di questo libro è proprio l'aver registrato le loro memorie prima che ci lasciassero.
Come scrive l'autore stesso nell'introduzione: "godetevi il libro, spero che vi porti là, in quei luoghi e in quegli anni".
Che poi sono quelli di cui sogno quando gioco le mie competizioni.
di Fabio Del Secco

2 dicembre 2025

"PAUL & THE ARSENAL. Storia di una stagione indimenticabile" di Remo Gandolfi (Urbone), 2025


- Il libro "Paul & the Arsenal" è considerato autentico perché racconta la storia vera di Paul Vaessen, un giovane talento dell'Arsenal che ha vissuto una stagione intensa con la squadra nella stagione 1979/80. L'autenticità deriva anche dalla narrazione dettagliata e precisa dell'ambiente calcistico dell'epoca. 
- L'autore Remo Gandolfi dimostra una profonda conoscenza del club e della sua storia, il che contribuisce a rendere l'esperienza di lettura ancora più immersiva e credibile. I dettagli sulla vita dei giocatori e sullo spogliatoio sono particolarmente apprezzati dai lettori che cercano una storia sportiva autentica. 
- La stagione 1979/80 dell'Arsenal fu segnata da eventi importanti, tra cui la finale della Coppa delle Coppe, e "Paul & the Arsenal" offre una prospettiva unica su quel periodo, concentrandosi sulle esperienze dei giocatori giovani come Vaessen all'interno di un ambiente calcistico carico di aspettative.

Paul & the Arsenal è un romanzo sportivo avvincente e autentico che racconta, in forma narrativa, una delle stagioni più intense nella storia dell’Arsenal Football Club: la stagione 1979/80. Il protagonista, Paul Vaessen, giovane talento appena entrato nel mondo professionistico, ripercorre dall’interno la vita dello spogliatoio dei Gunners: allenamenti, sogni, rivalità, paure e vittorie, tra campionato, FA Cup e Coppa delle Coppe. Il lettore viene immerso nella quotidianità di un club leggendario attraverso lo sguardo di un calciatore diciassettenne che si trova improvvisamente catapultato nel grande calcio inglese.
La forza del romanzo sta nell’equilibrio tra storia sportiva reale e racconto umano: non solo il campo, ma anche l’amicizia, l’umorismo dello spogliatoio, le delusioni, le aspettative e il peso di crescere troppo in fretta. Momenti memorabili, aneddoti inediti e scene di vita vissuta rendono la lettura coinvolgente anche per chi non è tifoso dell’Arsenal.
Il volume è impreziosito dalla prefazione di Liam Brady, protagonista di quella stagione, che accompagna il lettore dentro un racconto emozionante e fedele allo spirito dell’epoca.
Un libro che non è soltanto una cronaca sportiva, ma una vera e propria storia di formazione, capace di appassionare chi ama il calcio, la narrativa sportiva e i grandi racconti di crescita personale.

1 dicembre 2025

BRISTOL CITY. "THE EIGHT OF ASHTON GATE" di Simone Galeotti

Prendere o lasciare, sì, ma non è così semplice, perché in mezzo c’è la storia del Bristol City. Ok, mettiamo la puntina del giradischi sul piatto e in sottofondo ascoltiamo “For How Much Longer Do We Tolerate Mass Murder?” dei The Pop Group, la band che più di ogni altra ha tracciato la strada per quel filone sperimentale e un po’ oscuro del “Bristol Sound”
Mark Stewart la voce, John Waddington alla chitarra, Gareth Sager al sassofono, Dan Catsis al basso e Bruce Smith alla batteria. Già Bristol, dove il pirata Long John Silver reclutava marinai sotto l’ombra storta del campanile di Temple Church. Bristol sembra un po’ Amsterdam, un po’ Bombay, persino scorci di Londra, angoli di Genova, qualcosa delle scalinate di Oporto, il calore di Kingston. Una città che si nasconde dietro le anse del canale mentre da est rimonta l’eco delle onde. Gli antichi docks screpolati dal tempo, il nuovo fronte del porto, le case georgiane orgoglio dei mercanti. Gli oltre sessantamila studenti, graffiti. 
Un crogiolo di razze, di colori, di vicende diverse. 
Attraverso questa porta l’Inghilterra ha scoperto il mondo e se lo è portato a casa. Perché ci sono sere che a Bristol, lungo le banchine, riecheggiano racconti su isole dimenticate da Dio usciti dalla bocca screpolata dal sale di vecchi lupi di mare che dovevano accendere la fantasia di Louis Stevenson e Daniel Defoe, che in uno studiolo del centro scrisse il suo "Robinson Crusoe"
Nel 1982 a Bristol successe l’imprevedibile. Il capitano del City Geoff Merrick era costretto a rincasare dopo le partite e gli allenamenti scortato dalla polizia. Non solo lui, molti altri suoi compagni furono sottoposti quotidianamente a una serie di minacce e la situazione, obiettivamente, stava sfuggendo di mano... Facciamo un passo indietro. 
Nel 1976 i “robins” guidati in panchina da Alan Dicks ottennero la promozione in First Division e la società non badò a spese pur di assicurarsi una squadra che gli consentisse la permanenza nel massimo campionato del calcio inglese conquistando una salvezza tranquilla e vincendo nel 1978 la Anglo-Scottish cup che andò a far compagnia a un “inusuale” coppa del Galles datata 1934. Eppure, dopo quattro anni il sogno si interromperà con una brusca retrocessione. Ma il dramma non finirà lì. Sarà infatti il primo di tre declassamenti consecutivi di categoria che porteranno il Bristol City in quarta serie, ovvero quella a contatto pruriginoso con i dilettanti. La situazione economica si rivelò disperata, soprattutto a causa di contratti decennali fatti firmare con troppa enfasi e poca lucidità. 
Fatto sta che in panchina arrivò il giovane Roy Hodgson,deciso a far fruttare in patria l’esperienza maturata in Svezia alla guida dell’Halmstads. Non ne avrà modo né tempo. In quei giorni convulsi lo spettro della scomparsa del club agitava le notti negli uffici di Ashton Gate. Hodgson sarà costretto ad andarsene dopo aver battuto in una partita interna il Chester per 1-0. Il giorno seguente arrivò la dichiarazione di fallimento del Bristol City. In fretta e furia verrà costituita una società (la Bcplc), cui sarà concessa la possibilità di ereditare dal vecchio City, giocatori, diritti sportivi e lo stadio Ashton Gate allo scopo di tenere in vita temporaneamente la società sotto altra forma giuridica. A tirare le fila della situazione sono, Deryn Coller, Ken Sage, Les Kew e Ivor Williams che instancabilmente faranno le ore piccole per tentare il salvataggio di un club nato nel 1894 e che si era innamorato del rosso delle divise garibaldine. I quattro concorderanno un prezzo con il curatore per ricomprare lo stadio a un prezzo fissato intorno alle 600.000 sterline ma nonostante estemporanee lotterie e la vendita di azioni a benefattori vari, nelle casse societarie ne arrivarono a malapena la metà.

Si dice che avrebbero potuto incassare di più, ma quando si sparse la voce di un investitore intenzionato a rilevare la quota per poi abbattere l’impianto e vendere il terreno a una ditta edile decisero di non proseguire capendo l’unica cosa ragionevole, e cioè che per ridare un futuro al Bristol City era necessario che i giocatori più importanti si licenziassero spontaneamente senza la pretesa di un rimborso o di una qualunque sorta di liquidazione. Tuttavia in quarta divisone in quei primi anni ottanta i salari erano bassi, la maggior parte dei calciatori avevano famiglia, figli e mutui insoluti; quel denaro giustamente lo avevano pattuito a suo tempo e ora gli serviva, ed inoltre era chiaramente impensabile collocarli in un’altra squadra a metà stagione alle stesse condizioni economiche. La scadenza, implacabile, si avvicinò. Senza quei maledetti soldi alle 12 in punto del 3 febbraio 1982 il Bristol City avrebbe dato un amarissimo addio al calcio. E a quel punto, quando si delineò netto il confine fra vita e morte sportiva, i tifosi cominciarono nelle forme e nelle maniere più assillanti a chiedere un gesto di amore ai giocatori. I telefoni squilleranno continuamente, le buche delle lettere intasate di richieste di aiuto e comprensione, poi, come detto, si arriverà perfino alle intimidazioni. Tutto però sembrava perduto, finché, a poche ore dall’obbligo finanziario fissato dal tribunale, otto giocatori del Bristol City decideranno di rinunciare ai compensi previsti dai loro contratti salvando di fatto il club.

Quando gli otto entrarono nella sala da pranzo della
Dolman Exhibition Hall, i 275 ospiti riuniti si alzarono all’unisono offrendo una prolungata standing ovation. Per quel gesto, Peter Aitken, Gerry Sweeney, Julian Marshall, Chris Garland, Jimmy Mann, Geoff Merrick, David Rodgers e Trevor Tainton passeranno alla storia come “gli otto di Ashton Gate”
Per alcuni di loro abbandonare la squadra non fu solo un sacrificio economico ma anche sentimentale come quello di Gerry Sweeney. Gerry giocava lì da undici anni: un autentica leggenda protagonista della promozione del ‘76, che non aveva abbandonato la barca nonostante le tre retrocessioni di fila. Oggi non mancano opuscoli commemorativi e una grande targa all’esterno dello stadio perpetua ai posteri il loro sacrificio.

28 novembre 2025

"A BRISTOL CON BANKSY. Segreti e rivoluzioni" di Andrea Lucarini (Perrone Editore), 2025


"Non capita spesso che passeggiando in una città si possa godere di una galleria d’arte moderna a cielo aperto. Succede però a Bristol, dove l’orologio segna un orario diverso da quello di Londra, il quartiere Stokes Croft fa Repubblica a sé, e ci si imbatte nei murales di Banksy in una carrellata che mostra l’evoluzione tecnica dell’artista anonimo. Un passato oscuro mai sottaciuto e un presente fatto di attivismo sociale in ogni contesto e situazione, anche la notte di Capodanno. Le mongolfiere, una delle tante invenzioni locali, volano tra le note dei Massive Attack e della Sarah Records, etichetta che ha creato un mondo solo per dargli fuoco e guardarlo illuminarsi mentre bruciava. Andrea Lucarini, anche tramite interviste esclusive, racconta un luogo originale che ha vissuto e scoperto, dove si agisce non per la fama, ma cercando di non farsi notare."

27 novembre 2025

🇬🇧UK in ITALY. "CALCIOMONDO (Guerin Sportivo), una finestra sul football degli anni '80"

"Calciomondo" non era solo un inserto del Guerin Sportivo, ma una finestra essenziale sul calcio mondiale per gli appassionati italiani degli anni '80. 
In un'epoca priva di internet e con una copertura televisiva estera limitata, l'inserto rappresentava l'unica fonte affidabile e dettagliata per conoscere i campionati stranieri ed i loro protagonisti. Permetteva di scoprire le formazioni del Liverpool o del Flamengo e soprattutto i colori delle maglie, i volti e le storie dei campioni internazionali, e di sognare il calcio oltre la Serie A. Con le sue 40 o più pagine a colori, ricche di statistiche, pagelle, e gli ambitissimi poster, "Calciomondo" offriva un'immersione completa che dissetava la sete di conoscenza del tifoso, trasformando semplici lettori in esperti di calcio mondiale. Era un appuntamento fisso e imperdibile (insieme al Guerino) che colmava un vuoto informativo, diventando un vero e proprio oggetto di culto generazionale.

26 novembre 2025

"IL GIORNO IN CUI GEORGE BEST DIVENNE GEORGE BEST" di Christian Cesarini

Gli ultimi trenta giorni del 1963, in Inghilterra, furono scossi dalla Beatlemania, che esplose delirante e prepotente per non fermarsi mai più.
Il 29 novembre 1963 infatti i “quattro ragazzi che scioccarono il mondo” pubblicarono il singolo “I want to hold your hand”. La canzone, che fu composta al pianoforte da Lennon e McCartney in uno scantinato di Wimpole Street fu un successo di tali proporzioni (quindici milioni di copie vendute!) che i Beatles divennero di lì a breve la band musicale più famosa del pianeta.

In quello stesso periodo, a Manchester, un ragazzino di diciassette anni, originario di Belfast, si apprestava ignaro a diventare celebre quanto i Beatles, destinato ad esser eletto il più grande giocatore di football visto sui campi anglosassoni, icona di un’epoca in cui tutto sembrava possibile, in una nazione, l’Inghilterra, che a metà degli anni Sessanta è l’ombelico del mondo, fonte ed ispirazione di nuove tendenze in moltissimi campi, tra i quali la moda, la musica, la tecnologia e ovviamente il football.
George Best arrivò alla corte di Matt Busby nell'estate del 1961. Celebre il famoso telegramma che l'esperto Bob Bishop, talent scout del Manchester United in Irlanda del Nord, spedì al manager scozzese definendo Best “a genius”
Due timidi anni di apprendistato all'Old Trafford, poi il padre-padrone dei Red Devils fece esordire il Belfast Boy in prima squadra il 14 settembre 1963, in un match vinto 1 a 0 contro il West Bromwich Albion. Il giovane nord-irlandese andò bene, lasciando intravedere alla gente dell'Old Trafford le sue enormi potenzialità tecniche; ma nonostante la buona prestazione il buon Busby, forse nel timore di caricare il ragazzo di troppa pressione psicologica, lo riconsegnò di fatto alla squadra riserve senza concedendogli altre apparizioni in Football League. Geordie, così come era conosciuto familiarmente tra gli amici a Belfast nel suo quartiere di Cregagh, prese la decisione di Busby con relativa filosofia, conscio del fatto che la stagione successiva ci sarebbero state altre opportunità per dimostrare il proprio valore ed entrare così in pianta stabile in prima squadra. L'imprevedibile però era dietro l'angolo e la vita di George, in quei ultimi giorni del 1963 stava cambiando per sempre...
Durante il tradizionale tour de force natalizio il Manchester United ricevette due sonore ed inaspettate sconfitte: la prima, il 21 dicembre per 4 a 0, al Goodison Park contro l'Everton, la seconda nel boxing day del 26 dicembre, quando il Burnley si impose clamorosamente per 6 a 1. Appena quarantotto ore dopo la debacle del Turf Moor il calendario mise nuovamente di fronte ai red devils i claret and blue. Matt Busby, preoccupato della condizione psico-fisica dei suoi giocatori, cercò di dare una scossa positiva all'ambiente e decise, a sorpresa, di inserire tra i titolari due ragazzini senza esperienza: Willie Anderson, 16 anni, all'esordio assoluto e George Best, 17, alla seconda apparizione. George apprese della pesante sconfitta dello United contro il Burnley nella sua casa di Belfast, dove stava passando le feste natalizie con la famiglia. Il 27 dicembre, appena quindici ore prima del match contro il Burnley, al numero 16 di Burren way (casa di Dickie e Anne Best, genitori di George) venne recapitato un telegramma urgente in cui si “richiedeva” l'immediato rientro all'Old Trafford di Geordie. Sulle prime in casa Best ci fu incredulità, poi il padre di George sentenziò che la comunicazione significava che il figlio avrebbe giocato. George invece frenò gli entusiasmi, sostenendo che non voleva lasciare la sua amata famiglia nel bel mezzo delle festività senza peraltro avere la minima certezza di giocare. Si decise così di chiamare il club: George chiese a papà Dickie di telefonare al club trainer Jack Crompton, uno dei fedelissimi assistenti di Busby ed ex glorioso portiere dello United tra il 1944 e il 1956; questi confermò le speranze di veder scendere in campo il ragazzo, aggiungendo anche che dopo la gara George avrebbe potuto tranquillamente far ritorno a casa per festeggiare l'ultimo dell'anno. Sentendo le parole di Crompton il duro Dickie sobbalzò e un po' disorientato sul da farsi rispose: <<Se lei mi dice questo io devo venire a Manchester con il mio ragazzo...Ma...>>.<<Don't worry, Mr.Best...>> lo interruppe il club trainer, <<Rimanga pure con la sua famiglia, ci saranno molte altre gare per vedere suo figlio all'opera>>. Dickie riattaccò la cornetta del telefono e gli vennero in mente in una volta sola tutte le volte che in passato aveva dovuto tranquillizzare l'ansia della moglie mentre si incamminava verso il campetto di calcio vicino casa, ogni volta che il suo ragazzo sembrava sparito nel nulla di Belfast.

28 Dicembre 1963 Manchester - Old Trafford – ore 15:00
Manchester United vs Burnley

Il 28 dicembre 1963, giorno del match contro il Burnley, il Manchester Evening News analizzava a margine della presentazione della gara che Boy Best era si promettente e talentuoso ma troppo giovane per una gara così delicata, avanzando non troppo velatamente i rischi di Busby nello schierare contemporaneamente due giovanissimi senza esperienza. Stesso approccio al match ebbe News of the World, anche se quest'ultimo, dopo gli scontati interrogativi, si augurava un immediato e luminoso futuro per i due ragazzini. Le due squadre scesero regolarmente in campo dinanzi ad un Old Trafford stracolmo (54mila presenti) e pronto a dare il solito caloroso sostegno alla squadra di casa. Matt Busby schierò in attacco lo scozzese David Herd e il gallese Graham Moore, con a sostegno Bobby Charlton e sulle fasce le “new entry” Best e Anderson. Il veterano Paddy Crerand con il solito compito di vigilare in mezzo al campo e Foulkes a guidare la difesa con David Gaskell tra i pali al posto dell'infortunato eroe di Munich 58 Harry Gregg. Il Burnley si presentò con la stessa formazione schierata due giorni prima, con il numero due Elder sulle tracce del giovane Best. Alexander Elder, quasi ventiquattrenne, era all'epoca uno dei più promettenti difensori nel panorama calcistico anglosassone, nord-irlandese proprio come Best e già nel giro della nazionale maggiore, con il quale collezionò in carriera quaranta caps, tre in più dello stesso Best. Curiosamente Elder, originario di Lisburn, era cresciuto calcisticamente nel Glentoran FC, club di famiglia per George, seguito e tifato da bambino grazie soprattutto alla passione dell'amatissimo nonno. Il match non ebbe storia sin dalle primissime battute: segnarono per lo United Herd e Moore, entrambi due volte, e poi proprio Belfast Boy, che quel giorno realizzò la sua prima rete in campionato con un destro fulmineo dal limite dell'area, applaudito a scena aperta dall'intero Old Trafford. 

Finì 5 a 1 per lo United, che vendicò ampiamente la pesante sconfitta del boxing day. Pat Crerand dichiarò poi in seguito ricordando il grande match di Best: <<Elder era un ottimo difensore, così come Angus, ma quel giorno George era velocissimo, imprendibile, sembrava volasse e li annientò completamente>>
Bobby Charlton aggiunse:<<Ricordo che ad un certo punto della gara John Angus fu spostato nella zona di George a dar sostegno difensivo ad Elder, che era in enorme difficoltà su Best. Neanche in due riuscirono a fermarlo...>>
Quel giorno "George Best divenne George Best," il predestinato. La sua fu una partita praticamente perfetta: attaccò con tutte le sue immense qualità tecniche, in maniera potente, veloce, imprevedibile; usò la testa ma anche il cuore e l'istinto tipico degli eletti dal Dio del pallone; corse concentrato senza mai fermarsi, realizzando un gran goal e numerosi cross che sembravano disegnati per quanto erano ben calibrati; non disdegnò neanche i contrasti duri e i rientri difensivi, sovrastando comunque in ogni occasione difensori e centrocampisti avversari. Entusiasmò l'Old Trafford, che quel pomeriggio lo elesse ad unanimità a figlio prediletto. Seduto in panchina, osservando quel ragazzo imprendibile che correva tenendo stretto il polsino della maglia Matt Busby ripensò al telegramma dell'amico Bishop e si convinse di aver veramente trovato un genio. Ben presto tutta la Gran Bretagna si inchinò al talento cristallino di Best rendendolo immortale.
Il giorno dopo la gara, così come gli era stato promesso, Geordie riprese il solito treno per Liverpool e poi il solito traghetto diretto a Belfast. La sua famiglia lo accolse a braccia aperte; l'eco della sua grande partita era giunto fino a Burren way, quel giorno infatti il Belfast Telegraph raccontava con enfasi la nitida vittoria del Manchester United con sullo sfondo la foto in bianco e nero di un sorridente 17enne locale...
di Christian Cesarini

25 novembre 2025

"SEASON. La nuova stagione" di George Harrison (Blu Atlantide), 2025

“Le loro vite si intersecavano solo allo stadio, ed era in queste occasioni che si scambiavano commenti sul tempo e sul calcio. Non consideravano il loro un rapporto d’amicizia. Non si erano mai neanche presentati. Però, ogni tanto, la vita oltre lo stadio aveva preso a insinuarsi nelle loro conversazioni, e in quelle brevi finestre di tempo passato assieme ognuno dei due aveva iniziato a riconoscere aspetti dell’altro riflessi negli occhi, nei discorsi o nei modi… Entrambi anelavano a un senso di appartenenza e a uno scopo che finora soltanto il campo era stato in grado di regalargli”. Due uomini, uno, il Giovane, di poco più di vent’anni, l’altro, il Vecchio, molto più anziano: entrambi tifosi della squadra della loro città, che ogni anno naviga tra la media e la bassa classifica. Entrambi ogni stagione calcistica rinnovano il proprio abbonamento allo stadio, ma per puro caso con l’inizio della nuova stagione si ritrovano vicini di posto. Così man mano che il campionato procede, iniziano a condividere esultanze e delusioni, cominciano a conoscersi e a diventare amici. Nel frattempo la classifica si fa preoccupante e nuovi e vecchi giocatori non sembrano in grado di migliorare la situazione. Da parte loro, sia il Vecchio che il Giovane si trovano ad affrontare problemi personali ed eventi inaspettati, ma nonostante tutto il pensiero della prossima partita, e dello stadio, dà loro un motivo per andare avanti, e sperare. Nella salvezza della propria squadra e, chissà, in giorni migliori. E intanto entrambi non sono più soli.

“Un bellissimo romanzo sul bellissimo gioco” Jonathan Pearce

Per dieci mesi all'anno, due uomini sono attratti dai posti adiacenti in uno stadio, portando il peso della vita e riversando tutte le loro speranze nella loro amata ma malandata squadra. Orfano di padre e irrequieto, il Giovane sta cercando di coltivare una nuova relazione precaria e di trovare il suo posto nel mondo. Il Vecchio, sempre più isolato mentre si prende cura della moglie ormai in fin di vita, sa di avere ben poco da aspettarsi dalla vita. Nessuno dei due tifosi è un gran chiacchierone. Tuttavia, in un lento susseguirsi di cenni, silenzi e conversazioni caute, i due stringono una timida amicizia che supera il divario generazionale. Raccontato attraverso trentotto capitoli, uno per ogni partita della stagione della Premier League, Season è uno studio lirico, ipnotico e delicatamente edificante sulla solitudine e la mascolinità moderna. Molto più che un semplice racconto sul calcio, celebra il ruolo curativo, unificante e esasperante dello sport ritualizzato nella vita della gente comune.

24 novembre 2025

[MISTER FOOTBALL] "Gerry Harrison, il commentatore instancabile di ITV" di Roberto Gotta

Qualche mese fa è scomparso Gerry Harrison, 89 anni, telecronista di vastissima esperienza, attivo soprattutto, nel periodo della maturità, con Anglia Television, la rete locale di Norwich City e Ipswich Town, ma anche commentatore di cinque edizioni dei Mondiali di calcio per la ITV, l’alternativa alla BBC nata nel 1955.

Anche la sua vita, come quelle di tantissime persone che hanno vissuto anni meno comodi e logisticamente meno facili di quelli attuali, è piena di aneddoti e fatti curiosi, che qui riporto proprio come lettura leggera e significativa di un periodo in cui, appunto, ci si doveva arrangiare molto di più e i risvolti curiosi erano dietro l’angolo. Ad esempio, un giorno gli venne chiesto di scrivere l’articolo su una partita della Oxford University, cosa che fece con una certa ansia perché… quella partita la doveva anche giocare, come terzino sinistro, ruolo che ebbe anche nella tradizionale sfida contro Cambridge, giocata a Wembley. Nel periodo di passaggio tra un lavoro e l’altro fu inviato anche dal quotidiano Daily Express a seguire la guerra in… Vietnam , esperienza che - disse - gli fu utile quando per fare telecronache dovette salire scalette a precipizio in mezzo a tifosi ostili.

La sua carriera di telecronista ai Mondiali si aprì nel 1970 in maniera casuale, e le circostanze fanno davvero sorridere. Nel 1969 infatti la BBC aveva organizzato un concorso chiamato ‘Find a commentator’, in pratica un’audizione aperta a chiunque volesse diventare telecronista. L’idea fu di un nome noto, David Coleman, e il testo del bando, pubblicato dal settimanale Radio Times, diceva «pub e circoli sportivi sono pieni di gente che pensa realmente di essere migliore del telecronisti attuali, ma in realtà pochi capiscono il livello di specializzazione richiesto. Ora possono scoprirlo», frase che peraltro sostituendo ‘i social media’ a ‘pub e circoli sportivi’ varrebbe tuttora. 

I quasi 10.000 aspiranti furono sottoposti a una estenuante serie di provini in diverse città (Cardiff, Bristol, Leeds, Birmingham, Newcastle, Belfast, Londra, Manchester) che produssero 30 selezionati, chiamati a fare la telecronaca (fuori onda) di Irlanda del Nord-Inghilterra dell’indimenticabile Torneo Interbritannico, giocata pochi giorni prima. I migliori 12 furono poi portati a Wembley a commentare Inghilterra-Galles: sei fecero il primo tempo e sei il secondo, e i sei finalisti furono presentati la sera del 22 maggio durante un’edizione speciale del programma Sportsnight, condotto proprio da Coleman. Tra i membri della giuria c’era Alf Ramsey, Ct della nazionale, e pensate se accadesse oggi in Italia, con Gennaro Gattuso (o Luciano Spalletti o chiunque sia stato Ct) a giudicare l’operato di un telecronista. 

Pare tra l’altro che Ramsey non gradisse per nulla la presenza tra i sei finalisti di Ian St.John, attaccante scozzese (ahia) del Liverpool e già avviato ad una carriera radio-tv: fu convinto a fatica ad accettarla, dopo aver addirittura minacciato di rinunciare a farsi intervistare dalla BBC ai Mondiali dell’anno successivo. Il vincitore fu un gallese, Idwal Robling, ex nazionale dilettanti, che fu poi parte della squadra BBC a Messico 1970 ed ebbe una bella carriera con la BBC in Galles. E Harrison, da cui è partito questo racconto in attesa del tè? Arrivò terzo, ma presto, grazie alle immagini dello spezzone di partita che aveva commentato, venne chiamato da Anglia Television, branca locale di ITV. E pochi mesi dopo ai Mondiali andò pure lui, perché ITV ottenne i diritti in parallelo alla BBC e lo assegnò alle partite dell’Italia nel girone. 
In Messico, però, rischiò di essere travolto dalla folla, ma non per le sue cronache: un giorno infatti un addetto dell’hotel in cui Harrison soggiornava vide che una stanza era prenotata da ITV a nome di ‘G.Harrison’, pensò che si trattasse di GEORGE Harrison, il batterista dei Beatles invitato speciale dalla rete, lo disse ad alcuni amici e tempo poche ore davanti all’albergo si radunò una folla di fan del gruppo inglese.

Ma non finisce qui, la storia di Harrison, che ha a che fare anche con un cane e un taxi. Ne riparliamo la prossima volta, sempre davanti a un tè.

21 novembre 2025

"A LONDRA CON SHERLOCK HOLMES. Sulle orme del grande detective" di Enrico Franceschini (Ed. Perrone), 2020

Sherlock Holmes, l'uomo che non ha mai vissuto e che mai morirà, e Londra, "quel grande pozzo nero dal quale tutti i perdigiorno e gli sfaccendati dell'Impero vengono irresistibilmente inghiottiti". Enrico Franceschini disegna un itinerario alla scoperta della metropoli seguendo le tracce del padre di tutti i detective, dal 221B di Baker Street per arrivare al Langham Hotel, dove Conan Doyle incontrò Oscar Wilde ed ebbe la prima idea per Uno Studio in rosso, al St. Bartholomew's Hospital, il più antico ospedale di Londra, nel cui laboratorio Holmes incontra il dottor Watson. Quella Londra, tentacolare e multiforme, più di un secolo dopo continua ad ammaliarci, a inghiottirci, nulla è cambiato. Attraversarla significa dilatarne la percezione, moltiplicarne le identità. Comprenderla rivela l'innesto delle storie nella Storia.

20 novembre 2025

RUGBY. "TRA VERITA’ E LEGGENDA" di Giuseppe Lavalle

Era un pomeriggio invernale del 1823, il cielo britannico non prometteva niente di buono e la vita di alcuni ragazzini si stava consumando dietro ad un pallone.
Fuori dal rettangolo di gioco, perso nei suoi tormenti, William Webb Ellis guardava quel gruppo muoversi come uno stormo, come un battaglione in pieno combattimento. La testa andava lì, al padre morto in una delle tante guerre che l’esercito di Sua maestà combatteva in giro per il mondo.
Su quel campetto della Public School Ellis ci era finito grazie ad una borsa di studio per orfani di guerra. Messo lì per decisione di altri, a rispettare regole fatte da altri e ad inseguire quello che altri ritenevano giusto per la sua vita.
Nato a Manchester, di origine irlandese, ora Ellis si trovava nella cittadina di Rugby nel Warwickshire, tra l’indifferenza dei suoi pari età e la sua voglia di esplodere.

“In grave spregio delle regole del football di quel tempo…” come recita ora una lapide affissa su uno dei muri della scuola, Ellis iniziò a correre verso la palla, la prese e la strinse forte al petto, correndo tra i ragazzi che cercavano di fermarlo, arrivò sulla linea di fondo, schiacciò la palla a terra ed alzo le braccia la cielo.

Era nato il rugby!

È sul suo exploit, che ci sarebbero dei forti dubbi, anche perché, sembra che, all’epoca, in Inghilterra, il football fosse praticato in numerose varianti, che cambiavano di scuola in scuola e che venivano modificate, di anno in anno, dagli stessi studenti. In quel periodo, pare che, in alcune scuole, fosse permesso bloccare la palla con le mani. Era il trattenerla e correre, che era proibito. È plausibile, comunque, che all’interno di queste diverse regolamentazioni sia successo, in posti diversi e nel corso degli anni, che qualcuno abbia praticato una variante in cui fosse permesso correre con la palla in mano.

La storia di Ellis comparve per la prima volta nel 1876, quando un certo Bloxan pubblicò un articolo sul “Rugby Meteor”, il giornale locale. L’articolo si rifaceva alla storia raccontata da un testimone anonimo, che avrebbe assistito al gesto eretico di Ellis. Quando la Rugby Football Union decise di indagare, era già il 1895, Bloxam era morto da 7 anni, Ellis da quasi venticinque; gli investigatori della RFU interrogarono tutti quelli che, all’epoca dei fatti, frequentavano la scuola di Rugby.
Pochi però si ricordavano di Ellis. E quei pochi lo dipingevano come un giocatore di cricket. Ma, soprattutto, non avevano mai sentito parlare di quella corsa contro le regole. Quell’articolo, scritto 53 anni dopo quella mitica corsa con il pallone in mano, basato interamente sui ricordi di un misterioso testimone, resta il solo indizio di un qualcosa che forse è accaduto, forse no. Ellis, senza saperlo, aveva dato vita, con il suo gesto, ad uno sport, una passione che oggi vive ancora.
Davanti alla sua tomba, nel Cimitero del Vecchio Castello a Mentone (Francia), di fronte al mare, Ellis ora è lì seduto con un pallone tra le mani e si compiace al pensiero di cosa ha scatenato quella sua corsa contro le regole.
di Giuseppe Lavalle

18 novembre 2025

"COME PICASSO E VAN GOGH. La storia di John Super Tramp Robertson" di Armando Napoletano (Ed. Giacchè), 2025


Due Coppe dei Campioni consecutive conquistate al tramonto degli anni ’70 lasciando il suo marchio indelebile: assist vincente per il gol di Trevor Francis nella finale bavarese contro il Malmö e gol decisivo all’Amburgo di Magath dodici mesi dopo a Madrid.
Bastano questi dati per descrivere in sintesi cosa ha rappresentato lo scozzese John Neilson Robertson, oggi 72enne, nella storia del Nottingham Forest.
Un mancino terribile. Ne raccontiamo la storia seguendo il tracciato disegnato da Brian Clough con il suo Forest, una squadra che resta leggenda.

17 novembre 2025

ARSENAL. "HIGHBURY ROAR" di Simone Galeotti

Charlie George non si reggeva più in piedi. Acciaccato, malconcio. Guardò Mee in panchina e scrollò la testa come per dire, “Dai forza, butta dentro quel ragazzo che tanto qui ci hanno fatto un discreto culo, e la coppa potrebbero già consegnargliela questa sera a Bruxelles”. Mancava più o meno un quarto d’ora alla fine della partita d’andata e i gunners erano sotto 3-0 contro i bianco malva dell’Anderlecht padroni di casa. Ad un tratto Bertram Mee, detto Bertie, allenatore dell’Arsenal, club in secca di vittorie da qualcosa come diciassette anni, si voltò, increspò per un attimo la fronte socchiudendo le palpebre, e fece cenno al diciottenne Ray Kennedy di entrare.
Ray che era nato nel villaggio di Seaton Delaval di cui nemmeno le carte geografiche conoscevano l’esatta l’ubicazione, aveva il naso grosso, gli occhi di un colore indefinito, un bel ributto di capelli scuri e una finestrina fra gli incisivi. Entrò in campo come farebbe una busta di plastica trascinata dal vento, non toccando nemmeno un pallone, anzi no, per tutte le polveri del cannone, uno lo toccò. Di testa, l’unico. Il fatto è che lo metterà in rete, e allora quella benedetta Coppa delle Fiere, non sembrò essere già sciaguratamente persa.

Ma te guarda alle volte i ragazzini.

Sei giorni dopo, le cancellate nere di Islington sgocciolavano acqua. Una pioggia obliqua, sferzante, cadde su Londra per tutta la giornata del 28 aprile 1970. In migliaia si avvicinarono alla grande facciata in Art Decò della East Stand che guarda su Avenell Road. Lucidissima, la grande scritta a caratteri rossi “Arsenal Football Club” pulsava come un cuore sulle sue arterie fatte di piccoli spazi pubblici, pub che si sforzavano di appagare l’occhio fra angoli anneriti, vicoli stretti e vialetti di case a schiera. “Bridge over troubled water” di Simon & Garfunkel stava scalando velocemente la Hit dei singoli più venduti in UK, mentre in 50.000 (stando ai tabellini ufficiali) quella sera scaleranno, ancora più rapidamente, i gradini di Highbury.

Tutto paranoicamente, febbrilmente pieno. Northbank, Clock End, Tribuna Est e Ovest.

Il busto di Herbert Champman nella meravigliosa Marble Hall, pareva aspettare trepidante, custodito in una nicchia dalla possente emanazione sacrale. Uomo fiero, pieno delle sue certezze, forse il più grande allenatore inglese di ogni tempo, di sicuro colui che in quaderno scarabocchiò quel benedetto sistema a cui tutti vorranno dare una sbirciata.
Le bandierine triangolari dei corner con la scritta AFC indicavano senza soluzione di continuità che la brezza quella sera arrivava dalla foce del Tamigi. Roba da libri di Joseph Conrad. Il terreno di gioco apparve subito pesante, inclemente, scomodo, con i bagliori dei riflettori avviluppati da una leggera nebbiolina che inconsciamente aumentarono i sintomi da seduta psichiatrica per un club atteso a rispondere delle sue angosce, dei suoi problemi, e magari provare a risollevarsi almeno per una notte.
L’arbitro? Un tedesco dell’est guardato a vista da eminenze grigie della Stasi di nome Gerhard Kunze.
Sarebbe occorso subito uno di quei tonici ricostituenti tipo quelli alla radice di ginseng. Lo servirà dopo una ventina di minuti Eddie Kelly che oltre la faccia da donnaiolo impenitente, ne mostrò un’altra da monaco abbaziale, e senza pensarci troppo da fuori area riscaldò muscoli e cervello con un corroborante destro che permise all’Arsenal di passare in vantaggio.

“A r se nal, A r se nal, A r se nal”.

Profano eppure seriamente liturgico, incessante preghiera che si riverberava a ondate lungo e oltre lo stadio. Oh, diciamo serviva almeno un altro goal. E’ sarà un capolavoro, come quelli di Pierre Bonnard e Paul Gauguin che saranno rubati poco tempo dopo in un appartamento di Regent’s Park mandando in confusione mezza Scotland Yard.

Uno dei due dipinti, un olio su tela, si chiamava La fanciulla seduta in giardino. La stessa sensazione probabilmente provata da Jean Marie Trappeniers, estremo difensore dell’Anderlecht, dopo che uno scambio fra George Graham e il terzino Bob McNab aveva portato quest’ultimo (restando in tema) a pennellare un cross perfetto per la testa biondiccia e infangata di John Radford bravo a incrociare la palla in rete siglando il raddoppio dei suoi e alzando al massimo i decibel di Highbury. I belgi accusarono il colpo, la pressione di dover reagire per forza. Quando Jan Mulder colpirà il palo, un fremito di paura rapirà gli occhi dei presenti e fu il segnale che il lavoro era ancora da portare a termine.
E quindi giunse il momento di Jon Sammels, uno dalla faccia pulita come un pastore all’alba. D’altro canto veniva dal Suffolk e di campagna, di bella campagna con i cottage in pietra dal comignolo fumante e dagli infissi bianchi da cartolina, se ne intendeva abbastanza. Si intendeva anche di calcio, ovvio. Nel 1965 segnerà una doppietta al Brasile in amichevole seppure vada detto per onor di cronaca che i campioni del mondo erano privi della loro perla nera Pelé. In ogni caso si guadagnerà qualche presenza con le selezioni giovanili dell’Inghilterra. Ci sarà pure un momento difficile per lui con i tifosi ma questa è un’altra storia. Quel giorno lasciò partire un diagonale colto e ordinato da 30 metri che non lasciò scampo ai belgi ormai respinti con perdite.

Arsenal 3 Anderlecht 0. Frank McLintock, il capitano, finirà abbracciato, spinto, sollevato dalla folla e dai compagni, alzando sopra le teste di tutti la Coppa delle Fiere dichiarando che il digiuno era finito. Aveva ragione perché nella stagione successiva Highbury mise su diversi chili… Bumm.

14 novembre 2025

"BOBBY CHARLTON. Leggenda del Calcio Inglese" di Jonathan Reid (Sperling & Kupfer). 2025

Sir Bobby Charlton è una delle figure più iconiche della storia del calcio. Campione del mondo con l’Inghilterra nel 1966 e simbolo indiscusso del Manchester United, la sua carriera ha segnato un’epoca. Questo libro tributo ripercorre la sua straordinaria vita, dagli esordi nei campi polverosi dell’Inghilterra del dopoguerra fino alla consacrazione come uno dei più grandi giocatori di tutti i tempi. Oltre ai successi sportivi, il libro esplora la sua dedizione, il suo spirito di squadra e il ruolo chiave avuto nella ricostruzione del Manchester United dopo la tragedia di Monaco del 1958. Con aneddoti esclusivi, curiosità e dettagli sulla sua incredibile carriera, il lettore scoprirà l’uomo dietro il mito. Un viaggio emozionante che racconta non solo il calciatore, ma anche l’icona che ha ispirato generazioni di appassionati. Dalle vittorie in campo ai riconoscimenti fuori dal rettangolo di gioco, Bobby Charlton ha lasciato un segno indelebile nella storia del calcio.

13 novembre 2025

"LA PRIMA VOLTA" di Stefano Faccendini

In seguito alla pubblicazione del libro “Sogni e realtà” sul calcio inglese e la FA Cup, mi sono trovato a rispondere a qualche domanda relativa a questa mia passione. Quando è iniziata, perché, a quante partite sono stato, quali squadre seguo. 
Le risposte non sono sempre agevoli come sembrano, un po’ perché non ho contato, un po’ perché le ignoro. Una cosa ricordo bene, la mia prima partita dal vivo. Era il dicembre 1989. Stavo passando un mese su questi lidi per imparare la lingua, visto che le poche ore di scuola non mi permettevano di arrivare al livello necessario per leggere Match e Shoot senza vocabolario accanto. Non ricordo bene come ma mi ritrovai in un paesino sulla costa, Lancing, non troppo lontano da Brighton. Fu all’arrivo lì, di notte, con l’ultimo treno, che feci conoscenza con l’apertura esterna delle porte descritta anche nel libro pubblicato qualche mese fa. Tre weekend, tre partite. Chelsea, Spurs, Arsenal. Tre nomi da brivido. Biglietti comprati al botteghino, entusiasmo alle stelle, quello di quando pensi di sognare ad occhi aperti.

La prima partita è a Stamford Bridge. Arrivo la mattina presto. Da Victoria Station me la faccio a piedi, sono quasi cinque Km ma voglio vedere tutto, in metro non vedrei nulla. Camminando in un negozio di libri usati vedo un Rothmans dell’anno prima in vendita per un paio di sterline. La reazione è quella da primo premio nella lotteria di capodanno. Passerò mesi a studiare nomi, soprannomi e record di ogni club delle prime quattro serie del calcio inglese. Fa un freddo cane, sono bardato come si deve ma nei pressi dello stadio vedo gente con la maglia a maniche corte del club e basta. Rimango affascinato. Il programma lo accarezzo come fosse la Sacra Sindone. L’odore degli hot dog cucinati con cipolle talmente grandi che pensavo fossero patate fritte mi riempie le narici e tutt’oggi, ogni volta che lo sento appropinquandomi nei pressi di uno stadio, vengo ricatapultato 30 indietro a quel pomeriggio.

Del Wimbledon non era molto che si parlava ma avevano vinto la FA Cup ai danni del Liverpool un anno prima. Nonostante questo tutti, ogni anno, si aspettavano, e si auguravano, che sparissero dalla First Division
. Erano sempre guardati e giudicati con sufficienza. Io feci lo stesso sbaglio quel due dicembre 89, soprattutto quando Kerry Dixon portò in vantaggio i padroni di casa dopo neanche un minuto. Il Chelsea aveva in squadra, oltre ad uno dei centravanti più in forma del momento, gente come Tony Dorigo, Micky Hazard, Graham Roberts e Ken Monkou. In porta avevano Dave Beasant, il grande ex della partita. Un minuto dopo Terry Gibson aveva ristabilito la parità. A fine primo tempo il risultato era 2-3 ma nella seconda parte non furono i giocatori di casa a farsi onore quanto piuttosto quelli in trasferta a divertirsi. Il punteggio finale fu di 2-5 con una doppietta ciascuno per Gibson e Dennis Wise, anche lui di lì a poco eroe dei Blues, più ciliegina dell’eterno vecchio Alan Cork.

Osservavo tutto, il settore ospiti composto da semplici gradoni scoperti, la famosa Shed, piena, dalla parte opposta. Il resto scarsamente popolato, non si arrivava a 20mila persone, ma mi sembrava il posto più bello del mondo, nonostante le macchine parcheggiate dentro lo stadio, dietro una delle due porte. Cercavo di afferrare i canti, di parlare con chi mi stava a portata di orecchio disperato di non fare la figura di un semplice curioso, magari non ero tifoso del Chelsea ma di sicuro già mi sentivo quasi un esperto di calcio inglese. Dopo 90 minuti.

Difficile descrivere il sentimento di silenziosa euforia, di appagamento, di soddisfazione in quel viaggio di ritorno verso Lancing, consapevole che in una settimana sarei tornato a vedere un’altra partita e che il mistero della maniglia esterna non mi avrebbe fatto più paura.

11 novembre 2025

"FUORI DAL SILENZIO. La Vita Coraggiosa di Justin Fashanu" di Romolo Bruginolfi (Urbone), 2025


La storia di un uomo che ha sfidato tutto: il pregiudizio, la paura, il silenzio.
Justin Fashanu è stato il primo calciatore professionista al mondo ad avere il coraggio di dichiarare pubblicamente la propria omosessualità. In un’epoca in cui il calcio non perdonava la diversità, Fashanu ha scelto la verità, pagando un prezzo altissimo ma lasciando un’eredità immensa. Questa biografia racconta il suo viaggio – dagli esordi nelle giovanili inglesi ai riflettori della Premier League, fino alla solitudine e alla rinascita spirituale – restituendo voce e dignità a un pioniere dimenticato. Un libro che parla di calcio, certo, ma anche di libertà, coraggio e identità. Perché la vera vittoria, a volte, è dire al mondo chi sei.

10 novembre 2025

TRIPS. "FOREVER TRUE" di Stefano Conca

Eccomi qua, sono le tre di mattina e mi trovo seduto all’interno del terminal delle partenze dell’Aeroporto Internazionale di Birmingham. Una poliziotta mi ha appena svegliato dopo un paio di ore di sonno, voleva sapere se stessi bene. Effettivamente dopo una simile batosta non saprei cosa rispondere. Ma vediamo di rimettere insieme i pezzi di quella che è stata una lunghissima giornata.

È martedì, si gioca un turno infrasettimanale e il Millwall, dopo una lunga striscia positiva (quattro vittorie e un pareggio) e ancora imbattuto fuori casa in questa stagione, è impegnato nella difficile trasferta sul campo del Birmingham. Sveglia puntata alle sei del mattino, il volo per l’aeroporto di Manchester parte con un’ora di ritardo e per poco non perdo il bus che mi porta a Birmingham. Pioviggina, il traffico sulla M6 è abbastanza sostenuto ma tuttavia è scorrevole. Lentamente vedo scorrere fuori dal finestrino le uscite di Crewe, Stoke on Trent, Wolverhampton, West Bromwich, intravedo la sagoma del Bescot Stadium, casa del Walsall, e nei pressi di Birmingham riesco anche a distinguere l’inconfondibile profilo del Villa Park. Se allargo leggermente la mappa sul mio telefono cellulare compaiono da Nord a Sud e da Est a Ovest, nel raggio di un centinaio di chilometri, forse due al massimo, le città di Liverpool, Wigan, Bolton, Stockport, Preston, Blackburn, Rochdale, Burnley, Bradford, Leeds, Chester, Wrexham, Sheffield, Derby… Luoghi che trasudano football. E non è un caso che che proprio qui, in quello che è stato il cuore pulsante della rivoluzione industriale, circa centocinquant’anni fa le masse di operai con le loro famiglie hanno pensato di inventarsi un passatempo per tenersi impegnati il sabato pomeriggio. Il bus si ferma a Digbeth dove scendo e incontro la pioggia che scende incessante. Ad accogliermi fuori dalla stazione dei bus di Birmingham c’è un gigantesco murale dedicato ai Black Sabbath, opera dell’artista locale Mr Murals. Non sarà l’unico tributo della città alla band che qui ha avuto i natali. Dello stesso autore, a qualche centinaio di metri, lungo la facciata degli studi cinematografici di Digbeth si trova un altro murale dedicato alla celebre serie TV di Netflix Peaky Blinders che qui è stata girata.

Ma non perdo tempo e mi precipito alla stazione dei treni di New Street al cui interno si trova il Raging Bull, un gigantesco toro di bronzo dalle sembianze meccaniche alto più di dieci metri. Ideato in occasione dei giochi del Commonwealth nel 2022 rappresenterebbe il passato industriale della città in contrasto con il suo carattere animoso e moderno. Oggi il toro è stato rinominato ufficialmente con il nome di “Ozzy” in onore della celebre rock star Ozzy Osbourne. Non è raro incontrare altri tori in giro per Birmingham dal momento che l’animale è il simbolo della città e lo stesso quartiere dove sorge la stazione centrale di Birmingham prende il nome di Bull Ring.

Visto che sono abbastanza in anticipo salgo su un treno che mi porta a Witton nel quartiere di Aston. Qui si trova lo splendido Villa Park, casa dell’Aston Villa. L’impianto, inaugurato nel 1897 e progettato dal celebre architetto Archibald Leitch, è un vero gioiello; sebbene oggi abbia una capacità di poco più di 43.000 posti, in passato poteva ospitare più di 70.000 spettatori. Il record di presenze risale al 2 marzo del 1946, in occasione del match contro il Derby County, a cui assistettero più di 76.000 spettatori. La sola Holte End, di cui rimane la celebre facciata, poteva ospitare più di 30.000 spettatori.

Su un muro nelle vicinanze si trova anche un bellissimo murale, l’ennesimo, dedicato a Ozzy Osbourne, leggenda del rock recentemente scomparsa, grande tifoso dell’Aston Villa e che proprio qui al Villa Park ha tenuto il suo ultimo concerto qualche mese fa, poco prima di lasciarci. Che la terra gli sia lieve, R.i.P. Ozzy!

Continua a piovere e non mi resta che trovare riparo al Witton Arms, storico pub della zona, nonché quartier generale dei tifosi dell’Aston Villa che qui si ritrovano a sorseggiare qualche pinta prima di ogni partita casalinga. Riprendo il treno per New Street, passo di nuovo sotto al toro gigante, e mi incammino verso l’ultima tappa che mi ero prefissato prima di iniziare a incamminarmi verso St. Andrew’s: il Black Sabbath Bridge, ennesimo tributo della città alla celebre band. Vi si trova una panchina su cui sono rappresentati i volti dei quattro musicisti e su cui sono depositate decine e decine di mazzi di fiori, nastri e bandiere di ogni nazionalità per rendere omaggio alla più grande band Metal mai esistita.

Mi incammino lungo il Gas Street Basin, storico bacino fluviale con il suo mix di architettura industriale ed edifici moderni al cui interno si trovano diverse chiatte ormeggiate. Oggi dovrebbe fungere da vivace centro sia per il patrimonio industriale che per il tempo libero ma è già buio e piove che Dio la manda per cui non mi resta che incamminarmi spedito verso St. Andrew’s. Ripasso nuovamente dalla stazione che ormai è disseminata di agenti in vista dell’arrivo di un migliaio di tifosi del Millwall. Prendo al volo il bus n.6 e non c’è bisogno di sapere dove devo scendere, anche se i vetri sono completamente appannati quando si ferma davanti a St. Andrew’s scendono praticamente tutti. Sono fradicio, e penso di avere l’acqua anche nelle mutande ormai. Faccio prima una sosta nel Blues Store per comprare un paio di souvenir come da tradizione, la sciarpa del club locale e la spilla ufficiale sono un cimelio irrinunciabile per un appassionato di una qualsiasi squadra di calcio, la prima volta che si visita uno stadio nuovo.

Manca poco meno di un’ora al calcio d’inizio e la zona dedicata ai tifosi locali nel piazzale antistante lo stadio è già gremita. Scatto un paio di foto alla statua dedicata a Trevor Francis, eroe amato da queste parti e che qui giocò prima di approdare al Nottingham Forest di Clough e successivamente alla Sampdoria. Non lontano, alle spalle della Tilton End c’è anche un murale dedicato al celebre campione scomparso da poco, accanto a lui è raffigurato anche un giovane Jude Bellingham, anche lui cresciuto nelle giovanili dei Blues. Peccato che la vista sia parzialmente coperta da un’ambulanza parcheggiata proprio sul davanti.

Alle 18.55, dopo un’attenta perquisizione da parte degli agenti, faccio ufficialmente il mio ingresso nel settore ospiti del St. Andrew’s dove molti tifosi del Millwall devono ancora arrivare, anche se la zona del bar è già affollata e l’entusiasmo dopo la lunga striscia positiva delle ultime gare è palpabile. Completamente fradicio e infreddolito non me la sento di bere una birra, opto per il famigerato Bovril, accompagnato da una pie a base di carne al cui interno la temperatura raggiunge tranquillamente i centocinquanta gradi celsius anche dopo 20 minuti in uscita dal forno. Un vero toccasana per le giornate fredde e piovose. Poi come al solito mi capita di incontrare il tifoso venuto da Londra, quello venuto dall’Essex, quello nato e cresciuto a South Bermondsey ma che adesso vive a Watford, e inizio a scambiare quattro chiacchiere cercando di sbilanciarmi in un pronostico favorevole. Nonostante l’ottimismo per la quarta posizione in classifica, si percepisce tuttavia anche la sensazione, condivisa da molti che, comunque, nonostante i risultati positivi, il Millwall abbia fin qui ottenuto molto più di quello che avrebbe meritato, dal punto di vista del gioco ma soprattutto, numeri alla mano, per la differenza reti, che se confrontata con quella delle altre squadre, con sedici gol fatti e quindici subiti in tredici incontri disputati, appare piuttosto sconcertante. A pesare è sicuramente la sconfitta interna contro il Coventry capolista, con quattro gol subiti al Den. Le vittorie contro il West Brom in casa e il successo a Loftus Road contro il QPR nonché le due successive vittorie interne contro Stoke e Leicester hanno però permesso di tornare a guardare alla stagione con rinnovato ottimismo. Tuttavia, la mancata vittoria sul terreno dell’Oxford dello scorso fine settimana ci ha riportato con i piedi per terra. Si sa che la stagione è molto lunga e può succedere ancora di tutto. Appunto…

Le due squadre scendono in campo salutate dal boato degli oltre venticinquemila spettatori in un clima incandescente. Quella dei Blues è una tifoseria davvero tosta, tanto che nessuno sembra accorgersi di quello che sta succedendo sul terreno di gioco nei minuti iniziali. L’atmosfera è abbastanza ostile ma nei primi venti minuti non succede molto in campo e i più di mille sostenitori del Millwall si fanno sentire a gran voce con il classico No One Likes Us!” intervallato da insulti e sfottò di ogni tipo.

Al ventottesimo minuto però i Blues scendono sulla fascia destra con troppa facilità e la difesa del Millwall è completamente aperta, Paik Seung-Ho riceve palla all’interno dell’area di rigore, ha tempo di stoppare e di far partire un sinistro che rimbalza a terra e si infila alla sinistra di Crocombe. È un boato, siamo sotto ma è il momento di reagire subito. I tifosi ci credono, la squadra un po’ meno, le tifoserie si rispondono colpo su colpo, in campo invece c’è una sola squadra, i Lions sembrano incapaci di aggredire, la squadra sembra spenta, qualcosa a centrocampo non funziona e dietro si continua a rischiare. Poco prima dell’intervallo, su una ripartenza perdiamo palla a centrocampo, basta un bello scambio tra due attaccanti del Birmingham e i nostri sembrano immobili. Assist a centro area per Grey che la sfiora appena e siamo sul 2-0. Il St. Andrews è una bolgia, noi rispondiamo con gli insulti, proviamo ad incitare i nostri ma si percepisce che le cose si stanno mettendo veramente male. Il momento peggiore è quando tutt’intorno a noi, i venticinquemila iniziano a intonare “Forever True” degli UB40. Per fortuna arriva il fischio dell’arbitro e andiamo tutti a prendere una birra con la speranza di vedere un atteggiamento diverso nella ripresa da parte dei nostri.

Inizia il secondo tempo, passano tre minuti e loro fanno il terzo. A questo punto non conta più quello che succede sul campo. Loro sono al settimo cielo mentre tra di noi serpeggiano tanta amarezza e una certa frustrazione, ma non ci dobbiamo far intimidire. Ormai sono rimasti in pochi ad incitare la squadra, la maggior parte di noi è intenta a gettare occhiate ai tifosi che ci insultano e ci sbeffeggiano, rispondiamo con il più classico “come outside!” e qualche steward è costretto ad intervenire per placcare gli animi. Passano poco più di quindici minuti e loro ne fanno un altro, a questo punto un gruppo numeroso dei nostri prende e se ne va, non è bello, ma vedere che la squadra non tenta nemmeno di salvare la faccia è davvero frustrante. Siamo sul 4-0 ma i gol potrebbero anche essere di più e mentre tutt’intorno esplode la festa, la sensazione è che per noi sarà una serata ancora lunga, umida e fredda. Molti si sono già precipitati ai pullman, qualcuno scriverà che al sessantaseiesimo minuto più di cinquecento tifosi del Millwall venivano scortati fino alla stazione… Rimaniamo in centocinquanta, forse duecento. Solo un padre con il suo figlioletto di dieci anni sono rimasti a fronteggiare gli oltre venticinquemila del St. Andrew’s, tanto che ancora una volta gli steward sono costretti a intervenire, questa volta con l’aiuto anche dalla polizia, scortando all’esterno il signore con il ragazzo in questione, ovviamente sotto una pioggia di insulti. Non succede molto altro fino al novantesimo per fortuna e il fischio finale sembra arrivare come una liberazione.

Gli uomini guidati da Neil provano poi ad avvicinarsi ai pochi dei nostri rimasti ma ricevono una valanga di “boooo”, c’è chi pretende delle scuse ovviamente e io potrei essere tra questi, anche se alla fine preferisco applaudire comunque i ragazzi. Ci sarà tempo per riflettere sulle cause di una simile debacle e soprattutto per metabolizzare la sconfitta, a cominciare da sabato prossimo, in casa contro il Preston, che vincendo domani potrebbe portarsi davanti a noi in classifica. A proposito di classifica, nonostante l’umiliazione di questa sera siamo ancora quarti ma il Coventry di Lampard, nel frattempo, ha vinto (nel primo tempo era sotto) e guarda tutti sempre più dall’alto, il Boro ha pareggiato, mentre il Bristol City ha perso in casa, il Charlton ha battuto il West Brom e lo Stoke è andato a vincere a Oxford. Come se non bastasse, con la vittoria di questa sera al St. Andrews, crescono sempre più anche le ambizioni dei Blues. Con la sola eccezione del Coventry, unici grandi favoriti quest’anno a mio modo di vedere, ci sono molte squadre racchiuse in pochi punti. Questo fa certamente riflettere su quanto sia equilibrata, divertente e allo stesso tempo imprevedibile la Championship.

Mentre esco sento ancora risuonare dagli altoparlanti le note di Forever True”, saluto alcuni tifosi che salgono sui pullman e mi incammino sotto la pioggia tra la moltitudine dei tifosi dei Blues verso la stazione dei bus dove prendo l’X1 diretto a Coventry via Birmingham Airport.

Sono le sei di mattina all’Aeroporto Internazionale di Birmingham, tra poco mi imbarcherò per Milano. Nel frattempo, mi sono quasi asciugato, ho messo sotto carica il cellulare, ho mandato qualche messaggio a casa. Poi ho dormito un paio di ore e sono stato svegliato da una poliziotta che gentilmente mi ha chiesto se stessi bene. Mi sono bevuto un cappuccino caldo e ho scritto queste righe di getto così come veniva, per cercare di tracciare un bilancio di queste ultime ventiquattr’ore e chiedermi se ne sia valsa la pena. Carta di credito alla mano, inizio a scorrere le date del calendario e prenoto i biglietti per la prossima trasferta.
di Stefano Conca

9 novembre 2025

🇬🇧UK in ITALY. MISTER FOOTBALL. Il mensile di calcio inglese del Guerin Sportivo (2007-2009)

"Che cosa vorrebbe essere Mister Football? Un mensile che del calcio britannico vuole raccontare quel che di solito non c'è spazio di narrare ma che ha lassù un importanza notevole, che va conosciuta". 
Cosi Roberto Gotta presentava la nuova rivista del Guerin Sportivo (Direttore di allora Matteo Marani) interamente dedicata al calcio britannico.
Il primo numero è uscito nel febbraio del 2007 fino al marzo 2009 per un totale di 26 uscite mensili. Per chi non lo conosceva, cosa vi siete persi..



7 novembre 2025

"VINTAGE FOOTBALL L’epica del calcio inglese: un racconto in trenta partite" di Alessio Torluccio (Ultrà). 2025


Avete presente lo spettacolo ammaliante della Premier League? Ecco, in Vintage Football non lo troverete. Invece di stadi patinati, telecamere ovunque e giocatori atletici e luccicanti di gel potrete godere del racconto di trenta partite del “vecchio” campionato inglese, quello che si chiamava ancora First Division. Non pensate di sedervi comodi in poltrona, qui si sta in piedi, nelle standing areas, con una birra in mano ad alzare cori per la propria squadra. Qui ogni domenica c’è gente del posto che sostiene i colori locali, non ci sono social media, si tifa allo stadio, non online. Conoscerete storie epiche di piccole compagini che sfidano le grandi e ogni tanto le battono. Non entrerete nei teatri perfetti dell’Old Trafford o di Anfield, ma negli stadi un po’ decadenti di orgogliose società di provincia come il Plymouth, l’Oldham, il Sutton United, il Reading, lo Swansea o il Tranmere, oppure in quelli delle squadre di Londra meno vincenti, come il Millwall, il Wimbledon o il Crystal Palace. Ascolterete aneddoti gustosi e racconti al limite dell’incredibile, incontrerete personaggi genuini di cui troppo presto si è persa memoria. Un libro fuori moda? Certo, o meglio: un libro vintage, uno di quelli buoni per tutte le stagioni. Soprattutto questa.
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