Prendere o lasciare, sì, ma non è così semplice, perché in mezzo c’è la storia del Bristol City. Ok, mettiamo la puntina del giradischi sul piatto e in sottofondo ascoltiamo “For How Much Longer Do We Tolerate Mass Murder?” dei The Pop Group, la band che più di ogni altra ha tracciato la strada per quel filone sperimentale e un po’ oscuro del “Bristol Sound”.
Mark Stewart la voce, John Waddington alla chitarra, Gareth Sager al sassofono, Dan Catsis al basso e Bruce Smith alla batteria. Già Bristol, dove il pirata Long John Silver reclutava marinai sotto l’ombra storta del campanile di Temple Church. Bristol sembra un po’ Amsterdam, un po’ Bombay, persino scorci di Londra, angoli di Genova, qualcosa delle scalinate di Oporto, il calore di Kingston. Una città che si nasconde dietro le anse del canale mentre da est rimonta l’eco delle onde. Gli antichi docks screpolati dal tempo, il nuovo fronte del porto, le case georgiane orgoglio dei mercanti. Gli oltre sessantamila studenti, graffiti.
Un crogiolo di razze, di colori, di vicende diverse.
Attraverso questa porta l’Inghilterra ha scoperto il mondo e se lo è portato a casa. Perché ci sono sere che a Bristol, lungo le banchine, riecheggiano racconti su isole dimenticate da Dio usciti dalla bocca screpolata dal sale di vecchi lupi di mare che dovevano accendere la fantasia di Louis Stevenson e Daniel Defoe, che in uno studiolo del centro scrisse il suo "Robinson Crusoe".
Nel 1982 a Bristol successe l’imprevedibile. Il capitano del City Geoff Merrick era costretto a rincasare dopo le partite e gli allenamenti scortato dalla polizia. Non solo lui, molti altri suoi compagni furono sottoposti quotidianamente a una serie di minacce e la situazione, obiettivamente, stava sfuggendo di mano... Facciamo un passo indietro.
Nel 1976 i “robins” guidati in panchina da Alan Dicks ottennero la promozione in First Division e la società non badò a spese pur di assicurarsi una squadra che gli consentisse la permanenza nel massimo campionato del calcio inglese conquistando una salvezza tranquilla e vincendo nel 1978 la Anglo-Scottish cup che andò a far compagnia a un “inusuale” coppa del Galles datata 1934. Eppure, dopo quattro anni il sogno si interromperà con una brusca retrocessione. Ma il dramma non finirà lì. Sarà infatti il primo di tre declassamenti consecutivi di categoria che porteranno il Bristol City in quarta serie, ovvero quella a contatto pruriginoso con i dilettanti. La situazione economica si rivelò disperata, soprattutto a causa di contratti decennali fatti firmare con troppa enfasi e poca lucidità.
Fatto sta che in panchina arrivò il giovane Roy Hodgson,deciso a far fruttare in patria l’esperienza maturata in Svezia alla guida dell’Halmstads. Non ne avrà modo né tempo. In quei giorni convulsi lo spettro della scomparsa del club agitava le notti negli uffici di Ashton Gate. Hodgson sarà costretto ad andarsene dopo aver battuto in una partita interna il Chester per 1-0. Il giorno seguente arrivò la dichiarazione di fallimento del Bristol City. In fretta e furia verrà costituita una società (la Bcplc), cui sarà concessa la possibilità di ereditare dal vecchio City, giocatori, diritti sportivi e lo stadio Ashton Gate allo scopo di tenere in vita temporaneamente la società sotto altra forma giuridica. A tirare le fila della situazione sono, Deryn Coller, Ken Sage, Les Kew e Ivor Williams che instancabilmente faranno le ore piccole per tentare il salvataggio di un club nato nel 1894 e che si era innamorato del rosso delle divise garibaldine. I quattro concorderanno un prezzo con il curatore per ricomprare lo stadio a un prezzo fissato intorno alle 600.000 sterline ma nonostante estemporanee lotterie e la vendita di azioni a benefattori vari, nelle casse societarie ne arrivarono a malapena la metà.
Per alcuni di loro abbandonare la squadra non fu solo un sacrificio economico ma anche sentimentale come quello di Gerry Sweeney. Gerry giocava lì da undici anni: un autentica leggenda protagonista della promozione del ‘76, che non aveva abbandonato la barca nonostante le tre retrocessioni di fila. Oggi non mancano opuscoli commemorativi e una grande targa all’esterno dello stadio perpetua ai posteri il loro sacrificio.
di Simone Galeotti, da https://lettereinchiaroscuro.blogspot.com



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