Prima di parlare dell'inizio credo sia giusto partire dalla fine.
Dal momento in cui 97 tifosi hanno lasciato questa terra avvolti dai colori di quella bandiera che tante volte ha sventolato per loro a scrivere idealmente nel vento l'orgoglio del popolo che rappresenta.
La bandiera con il “Livebird”, uccello mitologico metà cormorano e metà aquila. Per tutti la fenice della Mersey. Quella fenice che sembrò chiudere le sue ali e posarsi leggera sulle bare di tutte quelle vittime innocenti, come a fermare in un caldo abbraccio la passione di una vita. Ma il legame con la squadra non si spezza neppure nel culto della sepoltura. Chi resta, fissa simboli e momenti come tributo alla memoria per gli sfortunati che non ci sono più. Come elemento identificativo del loro passaggio sulla terra: l'onore di essere appartenuti con intensità al cuore di un club, e un merito terreno che richiede tutta la visibilità possibile, ben oltre la dimensione temporale. Verso l'eternità. Come eterna sarà l'immagine struggente del terreno di gioco dell' Hillsborough completamente ricoperto da un placido mare di mazzi di fiori, di messaggi di dolore. Come i cancelli d' ingresso della maledetta Leppings Lane, su cui saranno addossati cappellini, sciarpe, gagliardetti.
Non solo del Liverpool. Ci saranno tutti, proprio tutti. Edera multicolore sulle rovine del calcio. Santuario improvvisato di un pellegrinaggio continuo. Pellegrinaggio popolare, autenticamente popolare. Dolore, lacrime e rimpianti.
Ma di cosa stiamo parlando? E' giusto fare un piccolo ma doveroso passo indietro per chi non ha ancora capito, per i più giovani o per chi in ogni caso non mastica tutti i giorni pane e football.
E' il 15 aprile 1989. Sheffield.
La città dell'acciaio, costruita su 7 colline nei pressi del fiume Sheaf che a Sheffield ha regalato il nome. La città della squadra di calcio più antica del mondo, lo Sheffield F.C.. Data di fondazione 1857. Notte dei tempi. Dopo, solo dopo, arriveranno lo Wednesday e lo United.
Civette e lame. Hillsbourogh e Bramall lane.
E' un pomeriggio insolitamente soleggiato nel South Yorkshire. In aprile generalmente la pioggia non fa mistero di essere particolarmente generosa in quelle terre. Nel sobborgo di Owlerton, pochi km a nord ovest dal centro cittadino c'è la casa dello Sheffield Wednesday. Hillsbourogh appunto. Ad essere esatti la seconda casa delle civette, inaugurata il 2 settembre 1899 dopo l'abbandono dell' Olive Grove.
C'è da giocare la semifinale di F.A. Cup, la celeberrima coppa d'Inghilterra che nel periodo dell'isolamento continentale, dovuto ai fatti dell'Heysel ha assunto un importanza e un valore ancora maggiore. E ciò è tutto dire....
Come da tradizione la partita deve svolgersi in campo neutro e a giocarsi l'accesso ai fasti di Wembley arrivano due club che se non sono formalmente acerrimi rivali sicuramente non nutrono l'un per l'altro grandi simpatie. Liverpool e Nottingham Forest.
Per il Liverpool in quegli anni è diventata una piacevole abitudine arrivare alle fasi finali della manifestazione, e spesso anche di aggiudicarsi l'ambito trofeo. I tricky trees del City Ground invece non salgono i 39 gradini del royal box per ricevere la “coppa” dal 1959. Trenta anni esatti.
Ho accennato prima all' Heysel. Finale della coppa dei campioni 1985 a Bruxelles, di fronte Liverpool e Juventus. Trentanove morti. Una tragedia in proporzioni umane. Una mazzata in provvedimenti disciplinari. Il movimento calcistico inglese è escluso dalle competizioni europee per cinque anni.
Le ripercussioni interne sono altrettanto pesanti. In quello stesso anno la Lady di Ferro al secolo Margareth Thatcher approva lo “Sporting Event Act” dove si ratifica l'abolizione della vendita di alcolici negli stadi e nei parcheggi limitrofi. Nel 1986 arriva un'altra ingiunzione. Si tratta del “Public order act”, ovvero, guai a comportarsi in maniera non consona anche se non violenta. Ai tribunali viene conferita ampia autonomia in merito. Non sarà sufficiente. Non perché si tratti di prescrizioni inutili, ma perché se per prime vengono a mancare le capacità organizzative tutto il resto sono solo inutili dettagli.
Quel 15 aprile incomincia male sin dalle prime ore del mattino. Lavori in corso sulla M62 ostruiscono e ritardano l'afflusso del pubblico, segnatamente quello proveniente da Liverpool. Ma la contingenza viaria del traffico che scorre a rilento non è niente di fronte alla leggerezza con cui viene deciso di distribuire i settori dello stadio alle due squadre e ai rispettivi tifosi. Non ci scordiamo che otto anni prima sempre a Hillsborough, e sempre per una semifinale di coppa d'Inghilterra avvennero incidenti in occasione di Tottenham-Wolverhampton. Fortunatamente non gravi nel bilancio, ma che comunque obbligarono il club tenutario dell'impianto ad intervenire sulla struttura.
Ma tutto sembrava dimenticato. Tutto pareva rimosso dalla memoria. Chi non guarda agli errori del passato è destinato a ripeterli in futuro. E “Cassandra” aveva già lanciato la sua profezia. Derisa. Inascoltata.
La capiente “Spion Kop End” che conteneva all'incirca 21.000 spettatori viene assegnata alla “Travelling Kop” del Nottingham Forest, squadra che notoriamente ha un seguito di pubblico meno numeroso del Liverpool, mentre al club di Anfield Road sarebbe spettata la dirimpettaia “Leppings Lane” con i suoi 14000 posti. Piccola e angusta.
Basti pensare poi che in totale gli ingressi riservati ai tifosi dei reds saranno solo sei, contro i sessanta dei supporters del Forest. A poco più di mezz'ora dall'inizio del match la situazione in curva appare relativamente tranquilla. Ci sono famiglie intere con bambini molti dei quali alla loro prima trasferta. Si parla di come farà giocare la squadra Dalglish, di come si comporterà il “redento” Ian Rush reduce dalla penosa esperienza italiana.
Qualcuno discute se ci sarà intesa fra Ronnie Whelan e John Barnes. Altri scommettono che il goal decisivo lo segnerà Aldrige. Tutti sognano di andare a Wembley.
I problemi iniziano a manifestarsi quando cessa l'intasamento stradale e la M62 riversa sullo stadio tutti i sostenitori del Liverpool, e improvvisamente ci si rese conto della marea umana che stazionava all'esterno della Leppings Lane. Si presume approssimativamente 5000 persone. Iniziò a salire la tensione.
All'interno dello stadio nel frattempo si incominciano a scandire cori, a cantare “You'll never walk alone”. Fuori montava l'impazienza, c'era chi iniziava a spingere, chi a lamentarsi della calca eccessiva. Una pressione enorme. La polizia andò letteralmente in corto circuito non aspettandosi di dover gestire una situazione così complicata. E qui scattò una decisione. Terribile e fatale. Per smaltire la congestione le forze dell'ordine decidono di aprire un grosso cancello d'acciaio posto nei pressi di un tunnel che conduce all'interno della curva. Il “Gate C”. Sarà come aprire le porte dell'inferno. In genere, in questi casi, ufficiali di polizia a cavallo si sistemano all'ingresso con la funzione di avvisare ed evitare pericolosi sovraccarichi. Per motivi ancora ignoti ciò non successe quel pomeriggio. Entrano tutti. Con e senza biglietto Il gate scarica una quantità di tifosi di gran lunga superiore alla capienza, e in breve non avendo nessuna via di fuga gli spettatori a ridosso del terreno di gioco vengono spinti verso le recinzioni. Le famigerate “Fences”. Fu un massacro.
Calpestati, spinti, soffocati. Un olocausto di ferro e corpi. Di morte. E altra morte colpisce gli sventurati rimasti schiacciati nel tunnel. Il tutto mentre l'incontro è già cominciato da sei minuti. Lunghi, interminabili, paradossali. Perché nessuno si era accorto delle dimensioni di quello che stava accadendo a pochi passi dal rettangolo verde, se non purtroppo i diretti interessati. Poi un funzionario di polizia capisce che c'è qualcosa che non va e richiama l'attenzione dell'arbitro. Per la cronoca il signor Ray Lewis. E arriva un fischio anomalo. Tanto insolito da sembrare quasi triste. Stridulo complemento sonoro in mezzo a urla e invocazioni. La partita viene interrotta. Ma la polizia commette uno sbaglio. Un altro. Non si renderà immediatamente conto del problema, ma anzi tenterà goffamente di respingere coloro che reputa invasori e non sopravvissuti. Intanto i più fortunati troveranno scampo sulla West Stand tratti in salvo da mani misericordiose. Chi perdeva l'equilibrio o cedeva alla paura era perduto. Quando ci si rende conto del disastro la tragedia si è già consumata. I morti in totale a fine giornata saranno 93 e oltre 200 i feriti. Fra scene di panico e pianto c'è anche chi con abnegazione e grande coraggio cerca di aiutare e rincuorare i contusi. I cartelloni pubblicitari verranno usati come barelle di fortuna, mentre le sirene delle ambulanze urlano nel limpido sabato di Sheffield. Fra le vittime anche John Paul Gilhooley 10 anni, cugino del futuro capitano Steven Gerrard. E' crudele il destino. Sarah e Victoria Hicks sono due sorelle di Pinner sobborgo londinese, entrambe fanatiche del Liverpool. Per Sarah 19 anni il tagliando della semifinale era il regalo di compleanno. Travolta e uccisa. Victoria invece spirerà fra le braccia del padre che inutilmente cercherà di rianimarla. Tony Bland 22 anni rimarrà in stato di coma vegetativo fino al 1993. Fino a quando i genitori Allan e Barbara non decideranno di farlo morire con “dignità” interrompendo la terapia. “Non è cosciente non soffrirà”, dissero i medici. I familiari delle vittime si costituiranno parte civile.
Ci sarà un processo che avrebbe dovuto essere esemplare ma che in sostanza non ha mai fatto piena luce sull'attribuzione delle colpe.
Ci sarà un giornale, il “Sun” che getterà sporcizia spacciandola per verità.
Ci sarà un orologio ad Anfield che segnerà per sempre le 15:06 del 15 aprile 1989. Lest we forget.
di Simone Galeotti
Nessun commento:
Posta un commento