4 dicembre 2025

FIRST Division. Football & cultura britannica. Dove la storia del calcio inglese si scrive tra una pinta al pub, l'odore del Bovril e il brivido delle vecchie terraces.

3 dicembre 2025

RECCOMENDED READING. "IL FOOTBALL NEI '70 & i '70 NEL FOOTBALL" di Fabio Del Secco

"Nonno, com'era il calcio negli anni '70?"

Non sono il nonno cui la domanda viene rivolta ma provo a rispondere: genuino, vero, schietto.
E una risposta prova a darla anche questo libro del 2017, scritto da Richard Crooks (si lui, l'autore di "Wednesday-United: the Sheffield derby", un must have per chi come me ama profondamente il Football Inglese).
Crooks, nato a Sheffield, assiste al suo primo derby dal vivo nel 1965 (e da lì in poi non ne perderà uno), e filtrando le sue emozioni di quel giorno con quelle del nipote Charlie che ha accompagnato ad Hillsborough per la prima volta, prende spunto per una riflessione su se stesso ragazzo nei '70 e se stesso adulto nel presente, una riflessione che però è soprattutto un ricordo del Football in quegli anni: gli stadi, le atmosfere nelle diverse città, il giornalismo dell'epoca, l'incrementarsi della presenza pubblicitaria nel contesto calcistico, le maglie, i palloni ed i calciatori, tutti ingredienti di un mondo che non c'è più.
Ed ovviamente la riflessione finale è in realtà una domanda, che per quanto inflazionata sia, resta secondo me di un'attualità sconcertante: era meglio quel Football o quello moderno/contemporaneo?

Quando mi tuffo nel mio ecosistema Subbuteo in realtà sogno, viaggio con la mente e penso a campi fangosi, maglie prive di scritte e di sponsor, palloni di cuoio marrone in tinta unita che nulla hanno a che fare con i "palloni tazebao" che vediamo rotolare oggi sui campi di tutto il mondo, e calciatori che erano uomini prima ancora che atleti e che uscivano dal campo spolverandosi dal fango, autocompiacendosi per l'ennesima sceneggiata bizzosa con rotolamento a terra chilometrico.

E di quel mondo ci racconta anche questo "Get it on, how the '70s rocked football" di Jon Spurling, insegnante di Storia e di Scienze Politiche, nonché autore di parecchie altre pubblicazioni calcistiche.
"Get it on" è una vera e propria panoramica sui successi e gli eccessi del football inglese anni '70, e su come quel tumultuoso decennio segnò l'inizio dell'era moderna, poi soppiantata dalle ambiguità e dalla fumosità di quella contemporanea.
È un libro che parla di football ma sullo sfondo di un Inghilterra attraversata da profondi cambiamenti sociali ed economici, e non solo (il glam rock, tanto per fare un esempio, che lascia il posto alle prime espressioni punk). Un Football di tanto tempo fa, fatto di campi fangosi e di palloni di cuoio in tinta unita (non i tazebao obbrobriosi di oggi), un Football vero, genuino, schietto, in cui sponsor, marchi e toppe varie non calpestavano la storia e la tradizione dei Club.
Molti dei nomi che il Football di quel decennio espresse non sono più tra noi, ma il merito di questo libro è proprio l'aver registrato le loro memorie prima che ci lasciassero.
Come scrive l'autore stesso nell'introduzione: "godetevi il libro, spero che vi porti là, in quei luoghi e in quegli anni".
Che poi sono quelli di cui sogno quando gioco le mie competizioni.
di Fabio Del Secco

2 dicembre 2025

"PAUL & THE ARSENAL. Storia di una stagione indimenticabile" di Remo Gandolfi (Urbone), 2025


- Il libro "Paul & the Arsenal" è considerato autentico perché racconta la storia vera di Paul Vaessen, un giovane talento dell'Arsenal che ha vissuto una stagione intensa con la squadra nella stagione 1979/80. L'autenticità deriva anche dalla narrazione dettagliata e precisa dell'ambiente calcistico dell'epoca. 
- L'autore Remo Gandolfi dimostra una profonda conoscenza del club e della sua storia, il che contribuisce a rendere l'esperienza di lettura ancora più immersiva e credibile. I dettagli sulla vita dei giocatori e sullo spogliatoio sono particolarmente apprezzati dai lettori che cercano una storia sportiva autentica. 
- La stagione 1979/80 dell'Arsenal fu segnata da eventi importanti, tra cui la finale della Coppa delle Coppe, e "Paul & the Arsenal" offre una prospettiva unica su quel periodo, concentrandosi sulle esperienze dei giocatori giovani come Vaessen all'interno di un ambiente calcistico carico di aspettative.

Paul & the Arsenal è un romanzo sportivo avvincente e autentico che racconta, in forma narrativa, una delle stagioni più intense nella storia dell’Arsenal Football Club: la stagione 1979/80. Il protagonista, Paul Vaessen, giovane talento appena entrato nel mondo professionistico, ripercorre dall’interno la vita dello spogliatoio dei Gunners: allenamenti, sogni, rivalità, paure e vittorie, tra campionato, FA Cup e Coppa delle Coppe. Il lettore viene immerso nella quotidianità di un club leggendario attraverso lo sguardo di un calciatore diciassettenne che si trova improvvisamente catapultato nel grande calcio inglese.
La forza del romanzo sta nell’equilibrio tra storia sportiva reale e racconto umano: non solo il campo, ma anche l’amicizia, l’umorismo dello spogliatoio, le delusioni, le aspettative e il peso di crescere troppo in fretta. Momenti memorabili, aneddoti inediti e scene di vita vissuta rendono la lettura coinvolgente anche per chi non è tifoso dell’Arsenal.
Il volume è impreziosito dalla prefazione di Liam Brady, protagonista di quella stagione, che accompagna il lettore dentro un racconto emozionante e fedele allo spirito dell’epoca.
Un libro che non è soltanto una cronaca sportiva, ma una vera e propria storia di formazione, capace di appassionare chi ama il calcio, la narrativa sportiva e i grandi racconti di crescita personale.

1 dicembre 2025

BRISTOL CITY. "THE EIGHT OF ASHTON GATE" di Simone Galeotti

Prendere o lasciare, sì, ma non è così semplice, perché in mezzo c’è la storia del Bristol City. Ok, mettiamo la puntina del giradischi sul piatto e in sottofondo ascoltiamo “For How Much Longer Do We Tolerate Mass Murder?” dei The Pop Group, la band che più di ogni altra ha tracciato la strada per quel filone sperimentale e un po’ oscuro del “Bristol Sound”
Mark Stewart la voce, John Waddington alla chitarra, Gareth Sager al sassofono, Dan Catsis al basso e Bruce Smith alla batteria. Già Bristol, dove il pirata Long John Silver reclutava marinai sotto l’ombra storta del campanile di Temple Church. Bristol sembra un po’ Amsterdam, un po’ Bombay, persino scorci di Londra, angoli di Genova, qualcosa delle scalinate di Oporto, il calore di Kingston. Una città che si nasconde dietro le anse del canale mentre da est rimonta l’eco delle onde. Gli antichi docks screpolati dal tempo, il nuovo fronte del porto, le case georgiane orgoglio dei mercanti. Gli oltre sessantamila studenti, graffiti. 
Un crogiolo di razze, di colori, di vicende diverse. 
Attraverso questa porta l’Inghilterra ha scoperto il mondo e se lo è portato a casa. Perché ci sono sere che a Bristol, lungo le banchine, riecheggiano racconti su isole dimenticate da Dio usciti dalla bocca screpolata dal sale di vecchi lupi di mare che dovevano accendere la fantasia di Louis Stevenson e Daniel Defoe, che in uno studiolo del centro scrisse il suo "Robinson Crusoe"
Nel 1982 a Bristol successe l’imprevedibile. Il capitano del City Geoff Merrick era costretto a rincasare dopo le partite e gli allenamenti scortato dalla polizia. Non solo lui, molti altri suoi compagni furono sottoposti quotidianamente a una serie di minacce e la situazione, obiettivamente, stava sfuggendo di mano... Facciamo un passo indietro. 
Nel 1976 i “robins” guidati in panchina da Alan Dicks ottennero la promozione in First Division e la società non badò a spese pur di assicurarsi una squadra che gli consentisse la permanenza nel massimo campionato del calcio inglese conquistando una salvezza tranquilla e vincendo nel 1978 la Anglo-Scottish cup che andò a far compagnia a un “inusuale” coppa del Galles datata 1934. Eppure, dopo quattro anni il sogno si interromperà con una brusca retrocessione. Ma il dramma non finirà lì. Sarà infatti il primo di tre declassamenti consecutivi di categoria che porteranno il Bristol City in quarta serie, ovvero quella a contatto pruriginoso con i dilettanti. La situazione economica si rivelò disperata, soprattutto a causa di contratti decennali fatti firmare con troppa enfasi e poca lucidità. 
Fatto sta che in panchina arrivò il giovane Roy Hodgson,deciso a far fruttare in patria l’esperienza maturata in Svezia alla guida dell’Halmstads. Non ne avrà modo né tempo. In quei giorni convulsi lo spettro della scomparsa del club agitava le notti negli uffici di Ashton Gate. Hodgson sarà costretto ad andarsene dopo aver battuto in una partita interna il Chester per 1-0. Il giorno seguente arrivò la dichiarazione di fallimento del Bristol City. In fretta e furia verrà costituita una società (la Bcplc), cui sarà concessa la possibilità di ereditare dal vecchio City, giocatori, diritti sportivi e lo stadio Ashton Gate allo scopo di tenere in vita temporaneamente la società sotto altra forma giuridica. A tirare le fila della situazione sono, Deryn Coller, Ken Sage, Les Kew e Ivor Williams che instancabilmente faranno le ore piccole per tentare il salvataggio di un club nato nel 1894 e che si era innamorato del rosso delle divise garibaldine. I quattro concorderanno un prezzo con il curatore per ricomprare lo stadio a un prezzo fissato intorno alle 600.000 sterline ma nonostante estemporanee lotterie e la vendita di azioni a benefattori vari, nelle casse societarie ne arrivarono a malapena la metà.

Si dice che avrebbero potuto incassare di più, ma quando si sparse la voce di un investitore intenzionato a rilevare la quota per poi abbattere l’impianto e vendere il terreno a una ditta edile decisero di non proseguire capendo l’unica cosa ragionevole, e cioè che per ridare un futuro al Bristol City era necessario che i giocatori più importanti si licenziassero spontaneamente senza la pretesa di un rimborso o di una qualunque sorta di liquidazione. Tuttavia in quarta divisone in quei primi anni ottanta i salari erano bassi, la maggior parte dei calciatori avevano famiglia, figli e mutui insoluti; quel denaro giustamente lo avevano pattuito a suo tempo e ora gli serviva, ed inoltre era chiaramente impensabile collocarli in un’altra squadra a metà stagione alle stesse condizioni economiche. La scadenza, implacabile, si avvicinò. Senza quei maledetti soldi alle 12 in punto del 3 febbraio 1982 il Bristol City avrebbe dato un amarissimo addio al calcio. E a quel punto, quando si delineò netto il confine fra vita e morte sportiva, i tifosi cominciarono nelle forme e nelle maniere più assillanti a chiedere un gesto di amore ai giocatori. I telefoni squilleranno continuamente, le buche delle lettere intasate di richieste di aiuto e comprensione, poi, come detto, si arriverà perfino alle intimidazioni. Tutto però sembrava perduto, finché, a poche ore dall’obbligo finanziario fissato dal tribunale, otto giocatori del Bristol City decideranno di rinunciare ai compensi previsti dai loro contratti salvando di fatto il club.

Quando gli otto entrarono nella sala da pranzo della
Dolman Exhibition Hall, i 275 ospiti riuniti si alzarono all’unisono offrendo una prolungata standing ovation. Per quel gesto, Peter Aitken, Gerry Sweeney, Julian Marshall, Chris Garland, Jimmy Mann, Geoff Merrick, David Rodgers e Trevor Tainton passeranno alla storia come “gli otto di Ashton Gate”
Per alcuni di loro abbandonare la squadra non fu solo un sacrificio economico ma anche sentimentale come quello di Gerry Sweeney. Gerry giocava lì da undici anni: un autentica leggenda protagonista della promozione del ‘76, che non aveva abbandonato la barca nonostante le tre retrocessioni di fila. Oggi non mancano opuscoli commemorativi e una grande targa all’esterno dello stadio perpetua ai posteri il loro sacrificio.
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