31 agosto 2024

TEMPI MODERNI (part 1).

Si stava meglio quando si stava peggio? 
Non si sa, ma a volte sembra proprio di si: quando c'erano il mistero e il dubbio, quando c'era d'attendere per sapere notizie che oggi ti si sviluppano davanti. Bisognava muoversi, darsi da fare, agitarsi, e spesso non era sufficiente. Fili tesi attraverso una stanza, appoggiati al televisore, tragitti supplementari in autobus e malintesi telefonici, tutto per arrivare a sfiorare qualcosa e a sentirsi coinvolti, anche con modalità postdatata. Oggi accendiamo il televisore al sabato pomeriggio e piombiamo direttamente al Villa Park o ad Highbury (finchè ce lo lasciano), ci appiccichiamo ad Internet e seguiamo la partita controllando ogni aggiornamento in tempo reale, tanto che l'ultimo spettatore allo stadio non si è ancora seduto che noi abbiamo già appreso, dal salotto, autore della rete e modalità. Compri Four Four Two e persino le sicofantesche riviste delle varie società all'edicola in centro, e ti piace e ne godi, ma a volte sembra tutto così facile che non c'è gusto e allora ti chiedi davvero se non si stesse meglio quando si stava peggio, quando andavi all'aeroporto (di Bologna, nel mio caso) alla domenica ora di pranzo, appena arrivava il volo da Londra, sperando che gli addetti della British Airways si impietosissero e ti lasciassero - invece di buttarlo nel bidone - un Sunday Mirror, un Sunday Times, un Sunday qualcosa che ti permettesse di leggere le cronache delle partite nello stesso giorno - mio Dio! - di quando lo potevano fare gli inglesi. A volte andava buca, a volte non ce n'era (ma figurati...) una copia salvabile o decente, a volte arrivava lo straccetto di fogli ed andavi subito a cercare le pagine dello sport, ma se ti capitava l'occhio su qualcos'altro rischiavi di soffermarti lì, tanta era la fame di ambiente britannico. Adesso su Internet si leggono ogni giorno quotidiani inglesi a non finire, nello stesso giorno e nelle stesse ore di lassù, anzi prima perchè alle 2.30 della mattina il The Times è già online e non so quanti londinesi l'abbiano già letto, in quel momento. Ma non è un male, non vogliamo trasformarci in vecchi lamentosi, è l'evoluzione dei tempi, e se abbiamo rimpianti è meglio che ce li teniamo per noi - o su una fanzine, o in un libro - e non rompiamo le scatole a chi ha tutto il diritto di appassionarsi al calcio inglese e rimane incredulo quando gli si racconta cosa si faceva una volta per arrivarci. Si usciva da scuola, alle medie appena oltre metà anni Settanta, ed invece di dirigersi verso la fermata dell'autobus si andava a piedi - dieci minuti, pieno centro ma in zona che per me non esisteva neppure, tutto casa e scuola com'ero - all'unica edicola che forse aveva qualcosa. Qualcosa che poteva essere un quotidiano di cui non ricordo il nome, forse The Times stesso, qualcosa che ogni tanto poteva essere acquistato centellinando i denari, per scorgere i risultati scritti come ancora mi piace tanto, tipo:

Arsenal 2 (1) Tottenham 0 (0)
Sunderland 33 44,578
Price 56

Oppure, ma questa è una storia lunga, si bramava addirittura una rivista, addirittura il mitico Shoot che in realtà era molto infantile ma per me era come un dono dal cielo. Scoprii Shoot un giorno del 1976, credo, arrivato per misteriosi motivi all'edicola di Piazza Maggiore, e mi ci tuffai sopra prima che qualcuno potesse rubarmelo. C'erano addirittura foto a colori, poche, ma quella carta interna tipo giornale aveva un profumo inconfondibile e io l'adoravo. Chiesi all'edicolante come l'avesse e lui - credo, ma mica ricordo le parole - disse che era arrivata per caso, mi disse anche che se la volevo ogni settimana dovevo ordinarla ad un'agenzia e mi diede il numero. Telefonai, sorprendentemente lucido pensai che sarebbe stato meglio farla arrivare alla mia solita edicola vicino alla scuola, e dalla Inter... qualche cosa mi dissero che era possibile, quasi non ci credevo. Dopo tre settimane l'edicolante, quello vicino, delle figurine e non di Piazza Maggiore, mi diede la copia ed il pensiero che io potessi comprare, anche in ritardo di dieci giorni, un settimanale di calcio mi pareva un sogno. Infatti crollò presto: dopo tre numeri non arrivò più nulla, io feci passare qualche giorno - non ho mai avuto un grande coraggio nelle proteste - poi chiamai la Interqualcosa e chiesi docilmente spiegazioni. Caddero dalle nuvole e mi ferirono con la loro antipatia, facendomi probabilmente compiere il mio ingresso nel mondo dei "grandi", della gente che se ne strafrega dei sogni: finsero di non avere mai portato a Bologna alcuna copia di Shoot, ed addirittura il mio interlocutore mi disse "ma guardi che è una rivista porno!", e allora probabilmente le tre copie di Shoot che avevo in casa non le avevo lette bene, perchè io avevo trovato solo il Luton Town e lo Shrewsbury, non qualche donnina che in quel momento - vero, vero - mi interessava certamente di meno. Dopo un paio d'anni a Shoot mi abbonai addirittura, mi facevo inviare ogni fine mese le quattro copie settimanali, tutte assieme per risparmiare, tanto a me bastava leggere e guardare le foto, non certo avere quell'attualità che mi dava la radio, la BBC con il suo World Service, le dirette delle partite rovinate dal fruscio del sabato pomeriggio, una routine che mentre gli altri adolescenti uscivano mi teneva - volentieri - appiccicato al tavolo dalle 15.45 alle 18.30 ed
anche più, con il quaderno dei compiti davanti così non stavo a correre il giorno dopo. Era un'esperienza bellissima e terrificante: bastava che passasse qualcuno e il segnale si indeboliva, ma la radio era in cucina e non potevo certo costringere genitori e fratelli a non frequentarla, mi mettevo la cuffia con le "orecchie" imbottite e speravo di sentire tutto quello che mi serviva, anche se dopo le 18, quando i risultati erano definitivi, il segnale si indeboliva e dovevo spostarmi su un'altra frequenza, a volte incerta, a volte accavallata ad altri linguaggi astrusi che non capivo, a volte sparita del tutto, e allora dovevo attendere le 23.45 (ricordo bene?) per il notiziario definitivo, e lo era sul serio perchè non si giocava alla domenica, sabato alle 18 era tutto finito. E potevo spostare i cartoncini con i simboli delle squadre nel "portaclassifica" che Shoot regalava, e che a fine anno era rovinato dal troppo uso.
Naturalmente, come vadano ora le cose lo sanno tutti, ma era semplicemente una scusa per parlare del passato e gettare sale nelle ferite, le stesse che con il loro dolore permanente - ogni volta che uno stadio inglese viene chiuso, ogni volta che un calciatore mediterraneo veste la maglia di una squadra britannica (gli scandinavi no, loro vanno bene) - ci fanno continuamente chiedere se si stia meglio ora, in diretta da Goodison Park e subito dopo via la linea e spazio alla pallavolo (non è una critica a Tele+, sia chiaro, che sul calcio inglese ha benemerenze infinite), che non una volta, quando c'erano l'ansia della scoperta e il mistero della trasmissione radiofonica. Mi astengo dal giudizio, però, perchè io e gli altri nostalgici non abbiamo alcun diritto di impedire alle nuove leve della passione inglese di avvicinarsi alle partite e alla loro atmosfera attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e i viaggi a basso costo (che belli!): oppure mi trasferisco a fare il cane da slitta in Antartide, così gli uomini della base McMurdo mi fanno leggere il quotidiano solo una volta alla settimana, quando arriva il cargo con i giornali, e la tempesta di neve che fa friggere il segnale di BBC Antarctica mi ricorderà di quando mia mamma passava davanti al forno e faceva sparire il risultato di Carlisle-Hull City.
di Roberto Gotta, da UKPF (dicembre 2002)

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