Ricordarsi il calcio degli anni ’80 è sempre piacevole per il sottoscritto. Essendo nato all’inizio di quel decennio, ho avuto modo di crescere con un pallone in cui tutti potevano competere e vincere un trofeo attraverso la costruzione della squadra che doveva partire non solo dalla scelta di giocatori stranieri di qualità ma anche da una base nazionale importante, meglio se costruita dalle proprie giovanili.
L’esempio che mi piace sempre fare è quello dell’Aberdeen, realtà scozzese molto piccola ma che raggiunse picchi altissimi grazie al lavoro di Alex Ferguson che fece capire come mai, negli anni successivi, sarebbe entrato nella Storia del calcio in quel di Old Trafford.
A Liverpool, sponda Everton, fu il momento del rilancio del club che arrivava da decenni in cui la bacheca di Goodison Park rimase tristemente vuota. Terminata l’epopea di Harry Catterick, i “Toffeemen” furono guidati da Billy Bingham e Gordon Lee i quali non riuscirono a portare la squadra a traguardi importanti nonostante l’arrivo di giocatori che segnarono un’epoca del calcio inglese come, ad esempio, il centravanti Bob Latchford; ma ciò che creava più malcontento era l’ottimo rendimento dei cugini del Liverpool che raccoglievano trofei e consensi sia in patria che in Europa grazie al lavoro dei loro Manager; i vari Bill Shankly, Bob Paisley e Joe Fagan riuscirono a creare una continuità di risultati che, automaticamente, creò una vera e propria “dinastia vincente” costruendo il mito di Anfield che ancora oggi è bene impresso nella mente dei tifosi dei Reds e non solo. L’Everton doveva rilanciarsi e la dirigenza prese una decisione coraggiosa ma che si rivelò vincente.
Nel 1981, dai Blackburn Rovers dove si stava affermando nella antica e romantica figura del Player/Manager (allenatore/giocatore attivo), fu chiamato l’amato Howard Kendall, membro della “Holy Trinity” famosa in quel di Goodison Park insieme ad Alan Ball e Joe Royle. Kendall fu ben visto dai tifosi, inizialmente, sia per quello che stava facendo (con i Rovers aveva centrato la promozione nell’allora Second Divison, l’attuale Championship, nella stagione 1979/80) che per i trascorsi in campo con il Royal Blue di cui era riconosciuto essere anche tifoso.
L’inizio fu contraddistinto dalla costruzione di un gruppo di giocatori giovane e di talento tra cui Neville Southall, portiere gallese proveniente dal Bury che diventò tra i migliori del panorama mondiale nel ruolo, Trevor Steven, ala dal talento cristallino ed in grado di fare la differenza grazie alla tecnica e al dribbling fulmineo, e Peter Reid, centrocampista che associava qualità e quantità in campo. I primi due anni della gestione Kendall videro i Toffeemen terminare sempre all’ottavo posto mancando di un soffio la qualificazione all’allora Coppa UEFA, ma l’inizio della stagione 1983/84 fu disastrosa con sole 6 vittorie nelle prime 21 partite di campionato con la squadra che si ritrovò nei bassifondi della classifica; con il Manager vicino all’esonero, due furono i momenti chiave per cui la situazione cambiò in maniera improvvisa: il pareggio dell’attaccante Adrian Heath nella sfida contro l’Oxford United e l’arrivo dai Wolves del centravanti scozzese Andy Gray.
Con un cambio di marcia repentino, l’Everton raggiunse il 7° posto in classifica e le finali nelle due coppe nazionali, quella di Lega dove perse in finale nel Merseyside derby contro i Reds e quella d’Inghilterra che lo vide trionfare contro il Watford.
Finalmente, i tifosi poterono tornare ad esultare per la conquista di un trofeo importante che mancava dalla bacheca di Goodison Park da 18 anni ma non si aspettavano certamente ciò che accadde l’anno successivo. I ragazzi di Kendall erano cresciuti tantissimo trovando un equilibrio che li aveva portati a diventare una delle squadre più forti del panorama inglese. Con una stagione a dir poco fantastica, Southall e compagni vinsero il campionato e raggiunsero per il secondo anno consecutivo la finale della coppa nazionale dove, però, vennero sconfitti dal Manchester United. Fu in Europa, però, l’exploit più rilevante con la conquista del primo trofeo continentale grazie alla vittoria dell’allora Coppa delle Coppe, a Rotterdam, contro il Rapid Vienna per 3 a 1.
L’Everton era pronto ad iniziare un ciclo vincente con un gruppo maturo a cui era stato aggiunto, nell’estate del 1985, uno dei giovani attaccanti più forti e promettenti del panorama inglese e non solo: Gary Lineker. Acquistato dal Leicester City, Lineker confermò le aspettative segnando 30 reti in 41 partite di quella stagione che, ahimè, fu segnata da una tragedia che coinvolse indirettamente il club di Goodison Park: l’Heysel.
A causa di quanto accadde durante la finale della Coppa dei Campioni del 1985 dove i tifosi del Liverpool causarono la morte di 39 tifosi dei campioni della Juventus, la UEFA in accordo col governo britannico bannò le squadre inglesi dalle competizioni continentali impedendo ai Toffeemen di partecipare all’edizione 1985/86 della Coppa dei Campioni dove erano tra i favoriti alla vittoria finale. Questo portò a delle decisioni importanti da parte di alcuni membri della squadra tra cui la sua guida. Al termine del campionato 1986/87 concluso con la vittoria del campionato, Howard Kendall decise di lasciare l’Everton per allenare in Spagna, all’Athletic Bilbao, così da poter continuare a disputare le competizioni UEFA; la stessa decisione fu presa da Lineker che cedette alle lusinghe del Barcellona e, a poco a poco, da altri giocatori importanti come Steven e Gary Stevens che approdarono in Scozia, sponda Rangers di Glasgow. La squadra fu affidata al vice di Kendall, Colin Harvey, il quale non riuscì a ripetere le gesta del predecessore e l’Everton tornò a disputare stagioni al di sotto dello standard raggiunto solo qualche anno prima. Nonostante questo, i ragazzi degli anni ’80 sono ancora presenti nei ricordi non solo dei tifosi Blue Noses ma anche degli appassionati di calcio britannico che ancora ricordano quanto era difficile affrontarli soprattutto quando erano spinti dal calore della loro gente in quel tempio del calcio, Goodison Park, al quale dovremo dire addio al termine della stagione in corso.
di Davide Ghilardi
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