28 settembre 2024

"IL CALCIO A LONDRA" di Antonio Marchese (Edizione Efesto), 2022

"Avventure Illustrate" è un libro che racchiude vite, sogni e illusioni di persone che in un modo o nell'altro si legano alla squadra di calcio del loro quartiere. Se le quarantacinque di cui narrerò vi sembrano tante, pensate a quante ne ho lasciate indietro. Magari ci sarà una prossima volta. Il mio viaggio illustrato è pregno di emozioni contrastanti che, come nelle belle avventure, attraversa attimi di felicità pura mischiati a momenti di tristezza, un sentimento da tenere sempre in considerazione. Gioie e dolori si alternano perché il viaggio è reale.

27 settembre 2024

COVENTRY CITY. Magie di FA Cup.


























L'Inghilterra è considerato il paese con la più famosa, bella e tradizionale coppa nazionale che, molto spesso, ha regalato sorprese uniche, grandi partite e replay storici. Secondo alcuni dati della Football Association, la FA Cup è il trofeo che, per almeno una volta, è stato vinto da quasi tutte le squadre di categorie differenti e città (o contee) differenti.
Una famosa cavalcata storica, in questo ambita competizione anglosassone, fu quella del Coventry City che, nella stagione 1986-87, alzò al cielo dell'Empire Stadium (Wembley).
Il Coventry City è un squadra di calcio originaria del distretto cittadino di Coventry, appunto, sito nelle West Middlands. Storicamente parte del Warwickshire, Coventry è la decima città più popolosa d'Inghilterra e la tredicesima dell'intero Regno Unito.
Il club calcistico fu fondato nel 1883 per diventare, nel 1892, un club professionistico a tutti gli effetti. La sua storia non è mai stata del tutto avvincente, ha spesso militato il categorie inferiori alla First Division (oggi Premier League) e vanta, nel suo palmares, un sola Coppa d' Inghilterra.
Questo articolo tratta proprio di quella corsa a quell'unico trofeo presente in bacheca degli “Sky Blues”.
Nella stagione calcistica 1986-87, il Coventry City militava nella First Division ma, ovviamente, non rientrava tra le favorite e, di fatto, concluse il campionato con uno scialbo decimo posto in classifica. Il club di Coventry, però, prese sul serio la FA Cup in quanto non lo riteneva un trofeo impossibile da vincere.
Al sorteggio del Terzo Turno di coppa d'Inghilterra, l'urna mise di fronte agli Sky Blues il Bolton Wanderers che, all'epoca, vacillava in fondo alla Terza Divisione. 
La vittoria al Highfield Road fu uno schiacciante 3-0 per il Coventry City.
Nel Quarto Turno, però, sembrava che tutto potesse svanire in quanto, il City, si trovò a dover affrontare un test molto importante in quel di Manchester, per la precisione ad Old Trafford. Davanti a sé non vi era un Manchester United grandioso (che oltretutto terminò la stagione sotto al Coventry) ma erano sempre i Red Devils. Il team del West Middlands, però, riuscì ad espugnare la tana dello United per 0-1.
Negli ottavi di finale vi fu la trasferta in casa del Stoke City dove, ancora una volta, il Coventry City vinse con un risultato di 0-1.
Ormai tutti i tifosi della cittadine credevano nell'impresa dei loro beniamini ed il sorteggio, per i quarti, diede un agguerrito Sheffield Wednesday che però venne schiacciato, in casa, da un Coventry City che vinse per 1-3. Dopo questa vittoria, c'era fiducia nei propri mezzi e il club ed i loro supporters credevano nella speranza di portare l'ambita FA Cup nelle West Middlands.
In semifinale, l'avversario fu un Leeds United che si trovava in Second Division ma, visto che si trovava in semifinale, non avrebbe ceduto di un centimetro agli assalti del Coventry. Si giocò ad Hillsborough. Passò in vantaggio il Leeds United con Ronnie ma poi vi fu una rimonta per 2-1 da parte del Coventry con le reti di Gynn ed Houchen ma, quando sembrava fatta, al 83esimo il Leeds United pareggiò con Edwards. Sarà il goal di Bennett ai tempi supplementari che permise l'accesso alla finalissima.
La finale fu giocata, ovviamente, a Wembley contro i londinesi del Tottenham Hotspurs che batterono, in semifinale il Watford.
L'Empire Stadium raccolse a sè ben 96.000 spettatori, l'arbitro di gara fu il mancuniano Neil Midgley che diede il fischio alle ore 15:00 del 16 Maggio 1987.
Alla prima azione buon per il Tottenham , la difesa del Coventry si fece trovare impreparata e, su un cross dalla destra di Waddle, Clave Allen bucò, di testa, la porta degli Sky Blues difesa da Ogrizovic. Questo, però, non abbattè il Coventry City che che reagì subito e, dopo soli sei minuti arrivò alla rete del pareggio grazie al solito Barnett. L'azione ebbe inizio da centrocampo, zone metà campo degli Spurs, e Greg Downs fece un lancio verso l'area di rigore avversaria, Houchen giocò di sponda e, un rapido Bernett, agganciò il pallone nei pressi dell'arietta piccola, smarcò il portiere avversario andando a rete. 1-1. Da lì il Coventry City prese coraggio e macinò molto gioco ed arrivò al goal anche con Regis ma venne subito annullato per presunto fallo da parte del numero 9 degli Sky Blues. Verso il terminare del primo tempo il portiere del Coventry Ogrizovic si avventurò fuori dall'area di rigore di competenza e, quando rinviò, colpì un giocatore del Tottenham rischiando di combinare la frittata visto che che poi i londinesi sprecarono l'occasione.
Al 40esimo, però, gli Spurs tornarono in vantaggio grazie ad un colpo di testa di Mabbutt. Anche qui il portiere del Coventry non fu incolpevole, visto che prima uscì poi tornò indietro tra i pali. Il primo tempo terminò così con il Tottenham in vantaggio. Nella ripresa si vide un Coventry City molto più agguerrito che lottava su ogni pallone e, al 62esimo, un cross dalla destra di Barnett attraversò l'area di rigore degli Spurs e sbucò indisturbato Houchen che, in tuffo di testa, concluse a rete per il goal del pareggio. Sugli spalti ci credevano i supporters degli Sky Blues mentre, in campo, il team allenato, all'epoca, da Sillett iniziò anche a giocare più duro mettendo sempre la gamba; clamoroso fu il contrasto, sul finire di gara, tra Klicline (Coventry City) e Mabbutt (Tottenham) dove, quest'ultimo, spiccò letteralmente il volo dopo il contrasto con l'avversario.

























Si andò ai supplementari ed entrambi i team volevano chiudere la pratica il prima possibile. A chiuderla è, al 95esimo, il Coventry City con la complicità del Tottenham. McGrath del Coventry si avventurò, sulla fascia di destra, in una corsa fino al fondo tentò un cross potente terra-aria che, però, venne intercettato da Mabbutt. Sfortuna, per il numero 6 del Tottenham, volle che la palla prendesse uno strano effetto e sorprese con una “palombella” il portiere degli Spurs: Clemence.
E' 3-2, è, goal, anzi autogoal, è Coventry City in vantaggio, è delirio sugli spalti (settore Coventry) dell'Empire Stadium di Wembley. Nel resto dei tempi supplementari, il Tottenham provò, come potè, a rimontare ma sbatteva con un muro celeste. Al momento del triplice fischio da parte di Midgley, lo stadio scoppiò in una festa tutta a tinte celesti, era fatta: il Coventry City conquistò il suo primo (unico a tutt'oggi) trofeo prestigioso. I tifosi Sky Blues erano al settimo cielo la festa continuò per giorni. Oggi, se si va a visitare il Museo dei Trasporti di Coventry, vi è esposto il bus Double-Decker con la quale il team sfilò per le strade della città del West Middlands
La FA Cup ha regalato, regala e regalerà sempre romantiche storie di calcio la magie ed il fascino che possiede è tutta raccolta in un'antica tradizione che non va mai snobbata, anzi, è da considerata, spesso, molto più importante di un campionato vinto, di una salvezza raggiunta o una qualificazione europea.
di Damiano Francesconi

26 settembre 2024

"GOD SAVE THE STADIUMS. Racconti, leggende e personaggi da 45 stadi del Regno Unito" di Cristiano Cinacchio (Urbone), 2023


Se si può facilmente sostenere che oggi la Premier League sia il campionato più bello, affascinante e seguito al mondo, ciò non è dovuto solo ai miliardi di pounds che finanziano ogni stagione il mondo del football d’Oltremanica. Molto è dovuto ai giocatori, ai personaggi ed alle leggende che ammantano la memoria storica delle squadre di questo paese. 
E gli stadi sono il luogo di collezione ideale di tutte queste figure.

Cristiano Cinacchio, dopo Il Diario delle Canchas Argentine e Bucarest – tra Football e Politica ci porta questa volta nel Regno Unito, a conoscere le storie narrate da 45 teatri calcistici, tra Inghilterra e Scozia. Un’opera che come sempre per l’autore vuole essere una via di mezzo tra un libro di storiografia calcistica e una guida sul groundhopping, tra storie di dirigenti, calciatori, leggende … ed una appassionata lettera d’amore calcistico ad un suo idolo d’infanzia che ci ha prematuramente lasciato ad inizio 2023.
Con la preghiera al Dio del Football che salvi i nostri catini dei sogni: God Save the Stadiums!

LA FARSA DI ALLY e L'EPICA DI ARCHIE. Una rievocazione della Scozia al Mondiale del ‘78.

























Il calcio può essere epica, poesia, commedia, tragedia oppure farsa. Generi diversi che in alcuni rari casi riescono a mescolarsi così profondamente da formare un tutt’uno difficile da scindere, e ancora meno da dimenticare. La prima volta della nazionale scozzese alla fase finale di un mondiale di calcio rappresenta uno degli esempi più eclatanti. 
Tutto iniziò da una frase pronunciata all’Hampden Park di Glasgow il 25 maggio del 1978: “Mi chiamo Ally MacLeod, e sono un vincente”.
Poi, tanto per aggiungere la classica ciliegina su una torta che tutti non vedevano l’ora di gustare, ecco una Promessa di quelle con la P maiuscola. “La Scozia vincerà la coppa del mondo”. 
E il tripudio fu totale. Quella sera si celebrava la partenza della Tartan Army verso l’Argentina, e nulla era stato lasciato al caso; almeno 20mila erano le persone accorse per applaudire i giocatori in parata a bordo di un bus a due piani dal tetto scoperto, pronti a salire a bordo del DC10 che li avrebbe condotti verso la Grande Impresa. Orgoglio era la parola chiave; orgoglio di rappresentare non solo la propria nazione ma anche l’intero Regno Unito, dal momento che Galles, Irlanda del Nord e Inghilterra si erano perse per strada lungo le qualificazioni. Gli inglesi avevano dovuto arrendersi alla differenza reti lasciando primo posto del girone, e il conseguente biglietto per l’Argentina, all’Italia, mentre gli irlandesi non avevano avuto scampo contro l’Olanda di Cruijff. A lasciare a casa il Galles ci avevano invece pensato direttamente gli uomini di MacLeod in un tiratissimo incontro disputato ad Anfield il 17 ottobre 1977.
La Federcalcio gallese aveva scelto Liverpool a scapito di Wrexham per fini puramente economici (Anfield poteva contenere 51mila spettatori, l’impianto della capitale gallese solo poco più di 15mila), azzerando così il fattore campo per quello che era una sorta di spareggio per il definitivo primato del girone (che come terza e ultima squadra comprendeva i campioni d’Europa in carica della Cecoslovacchia). Gli scozzesi ringraziarono e passarono all’incasso, anche se con più difficoltà del previsto, dal momento che ci volle un rigore molto dubbio (mani in area di Joey Jones, ostacolato però irregolarmente da Joe “Squalo” Jordan) fischiato a undici minuti dalla fine per spezzare l’equilibrio. Don Masson, centrocampista del Derby County, centrò il bersaglio, imitato una manciata di minuti dopo da Kenny Daglish con un bel colpo di testa in tuffo. Il sogno poteva avere inizio.

La parata dell’Hampden Park (con tanto di canzone scritta appositamente da un Rod Stewart per nulla timoroso di sprofondare nel ridicolo cantando versi quali “Ole ola, ole ola / we’re gonna bring that World Cup back from over tha”) fu fonte di lazzi e scherni da parte della stampa inglese, che accusarono i colleghi di essere semplici tifosi dotati di macchina da scrivere. Critiche senza dubbio dettate dalla gelosia di gente con la bile grossa come un melone in quanto costretti a guardarsi la competizione dal divano di casa propria; critiche che però nascondevano un fondo di verità ben evidenziato da quel tifoso che, in mezzo al tripudio di Croci di Sant’Andrea, si chiese se non era meglio imbastire celebrazioni dopo aver vinto il trofeo, e non prima. 
Il gruppo in cui era stata sorteggiata incitava però all’ottimismo; c’era l’Olanda del Calcio Totale ormai sul viale del tramonto, per di più senza Cruijff e Van Hanegem, c’era un Perù “accozzaglia di veterani e vecchie glorie” (così disse un membro dello staff tecnico di Ally MacLeod), e infine c’era un Iran già inopinatamente ribattezzato squadra materasso. Alla fase successiva si qualificano le prime due, ragion per cui l’agenzia di scommesse Ladbrokes azzardò una quota 8-1 per la Scozia campione del mondo.




















Il Sierras Hotel, piccolo complesso nella cittadina di Alta Gracia, fu l’alloggio scelto per gli scozzesi. Non era certo un Movenpick a cinque stelle, quanto piuttosto un tugurio con le camere da letto più simili a dormitori per homeless e una piscina in cui sguazzavano beatamente decina di blatte, il tutto condito dall’onnipresente presenza, al di fuori del perimetro dell’hotel, dei militari della giunta di Videla, grilletto facile e simpatia direttamente proporzionale al tasso di democrazia che regnava nel paese, e da una scossa tellurica che aveva interessato le colline circostanti, “la più forte registrata negli ultimi cinquant’anni”, almeno così scrisse la stampa locale. Circostanze malaugurati a parte, Macleod era già proiettato alla partita d’esordio contro il Perù, ma si rifiutò di andare a visionare un loro allenamento dal vivo in quanto, a suo dire, li conosceva già bene grazie a una mezza dozzina di videocassette recentemente visionate. E poi cosa c’era da temere da una squadra che molti giornali europei definivano alla stregua di un’armata brancaleone un po’ in avanti con gli anni? La risposta arrivò sabato 3 luglio 1978 allo stadio Chateau Carreras di Cordoba davanti a 37792 spettatori. La Scozia doveva rinunciare a buona parte della difesa titolare, con i due terzini Willie Donachie e Danny McGrain più il centrale Gordon McQueen fuori causa per infortunio. La scelta di Macleod cadde rispettivamente su Stuart Kennedy, Martin Buchan e Kenny Burns, con i primi due posizionati in un ruolo di fascia che non era il loro. In più lasciò in panchina il talento di Graeme Souness a favore dei polmoni dell’ormai stagionato Masson, l’eroe di Liverpool, escludendo anche il bomber dei Rangers Glasgow Derek Johnstone, che aveva appena chiuso la stagione con un bottino di 41 reti, per lasciar posto a Jordan. Una mossa quest’ultima che lasciò perplessi parecchi osservatori ma che, almeno inizialmente, diede i suoi frutti quando al minuto 19 proprio lo Squalo raccolse una respinta difettosa del portiere peruviano Ramon Quiroga su tiro di Bruce Rioch e portò in vantaggio la Tartan Army. Ma il Perù non era quella banda di sprovveduti che molti credevano; a centrocampo dettava legge Teofilo Cubillas, uno dei reduci del Mexico 70 ma tutt’altro che un talento in pensione (del resto aveva poi 29 anni), mentre sulle fasce Kennedy e Buchan arrancavano dietro i tacchetti di Oblitas e Munante, ali piccole e leggere tutte dribbling e scatti. Prima dell’intervallo Cueto aveva pareggiato la rete di Jordan, ma ciò che preoccupava di più i tifosi scozzesi sugli spalti era l’incapacità dei propri beniamini di prendere le misure agli scatenati peruviani. Un bandolo delle matassa che Macleod non aveva la minima idea di come sbrogliare, e infatti una volta rientrato negli spogliatoi le uniche parole che disse ai suoi esterrefatti giocatori fu di “calciare la palla più lontano e più forte possibile”. Al rientro in campo la Tartan Army tentò con una reazione d’orgoglio di invertire l’inerzia della partita, ma quel giorno la dea bendata aveva deciso di non accettare la corte degli uomini di Macleod, per cui il colpo di testa di Jordan finì sul palo e Masson si vide respingere un calcio di rigore da “El Loco” Quiroga. Poi iniziò il Cubillas show e per gli scozzesi fu notte fonda; doppietta del mago peruviano per il 3-1 finale e giocatori in maglia blu fuori dal campo a testa bassa, morale sotto i tacchi e il ricordo dei festeggiamenti dell’Hampden Park evaporato come se fosse lontano intere decadi piuttosto che poche settimane.
L’indomani Macleod ordinò alle proprie truppe di serrare le fila e di pensare esclusivamente alla prossima partita, avversario l’Iran. Pura illusione; subito dopo il fischio finale l’ala del West Bromwich Albion Willie Johnstone, uno dei pochi elementi positivi nella disfatta peruviana, venne sottoposto a un controllo antidoping a sorpresa risultando positivo a uno stimolante. Il giocatore ammise di aver preso il Reactivian, farmaco permesso dalla Federcalcio inglese ma vietato dalla Fifa. Scoppiò un polverone, che andò a sommarsi alle già copiose critiche provenienti da una stampa inglese che se la rideva sotto i baffi e a non meglio precisate accuse di sbronze e sesso a go-go nelle notti antecedenti la partita. Johnstone, ingenuo più che imbroglione, venne dato in pasto all’opinione pubblica dal segretario della Federcalcio scozzese Ernie Walker, che lo rispedì a casa su due piedi. Poi fu di nuovo calcio, e nuovamente di pessima fattura. Anche contro l’Iran gli scozzesi palesarono gravi carenze tattico-organizzative, trovando la rete del vantaggio solo grazie a una comica autorete del difensore Eskandarian. Nel secondo tempo arrivò però la rete del pareggio degli asiatici, triste anticipazione del coro di fischi e urla (“ridateci i nostri soldi” il refrain più gettonato) che piombarono dalle gradinate occupate dai tifosi della Tartan Army. Si era decisamente lontani dal concetto di cavalcata verso la coppa espresso alla vigilia. Il giorno seguente alla conferenza stampa ad Alta Gracia l'atmosfera era plumbea, anche se Macleod tentò di rasserenarla avvicinandosi a un cane e cominciando ad accarezzarlo. "Almeno è rimasto questo cane a volermi bene", disse. La bestia si girò di scatto e gli morse il dito.
Il terzo e ultimo atto del girone eliminatorio prevedeva l'Olanda, che aveva vinto contro l'Iran e pareggiato con il Perù portandosi il testa al gruppo. Per qualificarsi alla fase successiva gli scozzesi dovevano battere i tulipani con almeno tre reti di scarto. Il teatro non era più il Chateau Carreras di Cordoba bensì il San Martin di Mendoza, città ai piedi delle Ande. Macleod, ai minimi storici in termini di popolarità, scese un ulteriore scalino verso il fondo accettando un'offerta di 25mila sterline da parte dello Scottish Daily Express (giornale che al termine del pareggio con l'Iran, tanto per dare le giuste proporzioni al disastro, era uscito con il titolo “The end of the world”) per un'intervista esclusiva, quando fino al giorno prima la linea adottata era quella di parlare con tutti i giornalisti senza favoritismi di sorta. Il tecnico decise però di cambiare le proprie abitudini anche riguardo l’undici titolare, schierando in campo Greame Souness fin dal primo minuto. Con un stadio per due terzi dalla propria parte (i neutrali erano tutti per gli scozzesi) Souness e compagni cominciarono ad attaccare a testa bassa; se fallimento doveva essere, almeno sarebbe arrivato senza perdere la dignità. Ma la prima rete a gonfiarsi fu proprio quella difesa da Alan Rough, battuto al minuto 34 da un calcio di rigore di Rob Rensenbrink per quello che era il gol numero 1000 nella storia della Coppa del Mondo. Sotto il cumulo di cenere dove si trovavano sepolti i sogni di gloria della Scozia ardevano però ancora diversi tizzoni, i cui nomi rispondevano a quelli di Greame Souness, Kenny Daglish (fino a quel momento deludente) e Archie Gemmill. L'1-1 partì proprio dai piedi del primo, il cui cross venne girato di testa da Jordan verso Daglish, che con una terrificante botta al volo ristabilì la parità. A inizio ripresa Willy van der Kerkhoff stese l'incontenibile Souness in area, e Gemmil trasformò il penalty del vantaggio. Gli olandesi, perso per infortunio il proprio motore di centrocampo, Johan Neeskens, tentennavano e arretravano di fronte alla ritrovata carica scozzese, con un Macleod risorto a vita nuova in panchina che si sbracciava incitando costantemente i suoi uomini. Al minuto 68, con la Scozia di nuovo in attacco, tre difensori olandesi accerchiarono Daglish sottraendogli la palla, che però finì sui piedi di Gemmill al limite dell'area. Fu l’inizio dell’Archie show; un primo dribbling su Wim Jansen, un secondo su Ruud Krol e un terzo su Jan Poortvliet prima di scagliare un rasoterra all’angolino imprendibile per il numero uno degli oranje Jan Jongbloed. Un gol fantastico, eletto poco tempo dopo il più bello di tutto il Mondiale, sicuramente uno dei migliori nella storia della Tartan Army. La Scozia cominciò a intravedere la luce alla fina del tunnel, dopotutto alla grande impresa mancava solo una rete. Che arrivò 4 minuti più tardi, ma nella porta sbagliata. Fu ancora una volta un gran gol, ma lo segnò Johnny Rep con una bordata dalla trequarti che non lasciò scampo a Rough. Fine del sogno, per la vittoria della coppa del mondo si prega di ripassare prossimamente.
Sull’avventura scozzese al Mondiale del 1978 sono stati versati fiumi di inchiostro, ma non solo; a distanza di vent’anni il Fringe Festival di Edimburgo è stato aperto con due film dedicati all’evento, il primo, The Game, incentrato sui tifosi che avevano sofferto da casa per i propri beniamini impegnati oltreoceano, il secondo, Argentina 78 – The Director’s Cut, maggiormente focalizzato sugli eventi calcistici, senza dimenticare una buona dose di ironia (non poté quindi mancare la più gettonata barzelletta scozzese post-Mondiale su Micky Mouse che girava per le strade di Glasgow con al polso un orologio raffigurante Macleod). Il momento mai dimenticato è però quello della rete di Gemmill, citata dal film Trainspotting (nella scena della camera da letto) ma soprattutto al centro di una ballata scritta dal poeta Alastair Mackie dal titolo The Nutmeg Suite. Versi che meritano di essere riproposti:
di Alec Cordolcini, da UKFP (dicembre 2007)

25 settembre 2024

BACK TO THE "SIXTIES" - Football League Review.

Dopo alcuni pezzi dedicati agli stadi torno a proporre uno scritto dedicato alla Golden Age del football andando a scoprire la “Football League Review”
Durante la stagione 65/66 il Management Committee della Football League diede il via ad un esperimento commerciale. Rilevarono la pubblicazione “Soccer Review” allora usata da 34 clubs di Football League come un extra per il club programme, la trasformarono in “Football League Review” e decisero di investirvi sia graficamente sia a livello di contenuti in modo di fare si che nel giro di 2/3 anni tutte le squadre di F.L. l’avrebbero accolta nel proprio programme. La Football League infatti voleva dare vita ad un mezzo che arrivasse a più tifosi possibili, dove si spiegavano i programmi, le idee, le attività dell’organo calcistico oltre a coinvolgere gli appassionati con varie rubriche.
La rivista, che tanti collezionisti avranno trovato all’interno di molti programmi tra il 1966 ed il 1975, migliorò anno dopo anno aumentando le rubriche, la grafica, i servizi ed il colore. Punti fissi erano gli articoli dedicati ad arbitri, managers, giocatori ma anche al “tifoso della settimana” o alla visita ad un club (la rubrica si chiamava “Club call”) con presentazione del board, dello stadio, storia dello stemma. La posta dei lettori (rubrica “Post bag”) arrivò a ricevere migliaia di lettere settimanalmente mentre rubriche fisse come “League view” o “Editor’s view” alternavano prestigiose firme con articoli e commenti dei Directors della federazione. Dalla fine della stagione 66/67 il giornalista Bryon Butler (autore di molti libri sul football) iniziò a scrivervi regolarmente, la copertina divenne a colori ed all’interno aumentarono le foto di squadre o giocatori.
Proprio il materiale fotografico fu un cavallo di battaglia della “F.L.R.” che assegnò il compito di fotoreporter a colui che ritengo un genio della fotografia calcistica ovvero Peter Robinson (autore del meraviglioso volume “Football days” che raccoglie immagini di 30 anni della sua carriera). Robinson girava in lungo ed in largo l’Inghilterra catturando immagini dentro e fuori gli stadi con una originalità ed una innovazione unica per quei tempi; le squadre venivano immortalate sedute in tribuna o negli spogliatoi invece che sulla tradizionale panca, i managers mentre palleggiavano o mentre giocavano a golf invece che rigidi con le braccia conserte. Non mancavano gli scatti dedicati a fasi di gioco o ai singoli giocatori ma anche i tifosi con Robinson diventavano protagonisti meritando curiose immagini così come i “Bobbies” in servizio o i raccattapalle. Il pubblico era affascinato dalla veste grafica e le foto delle squadre, sia che fossero in 3a o 4a copertina che nella pagina centrale, venivano collezionate come mini posters. La F.L. vendeva la rivista ai clubs a prezzo di costo e copriva le altre uscite grazie alle aziende che vi facevano pubblicità come Park Drive, Player’s, Woodbine, Wills per sigari e sigarette, Ford UK e Vauxhall automobili, Bell’s whisky, Watney e Double Diamond birre, Texaco ed Esso, Gillette e Wilkinson. 
Durante il periodo di massimo splendore la “F.L.R.” riuscì a collaborare con una ottantina di clubs e si stima che i lettori regolari superassero i 300.000.
All’inizio della stagione 1971/72 cambiò il nome in “League Football” pur mantenendo impostazione contenuti della precedente testata ma già dalla stagione successiva si iniziarono a sentire i sintomi di una certa “stanchezza” che porterà la rivista a chiudere nel 1975 la collaborazione con i clubs che ancora la ospitavano. Le cause principali furono un sostanziale calo degli sponsors, l’inizio della diffusione di programmi di varie dimensioni tipico della prima metà dei 70’s (ricordate l’effimera, per fortuna, moda dei progs tipo tabloids lanciata dal Derby County?) e quindi non più capaci di ospitare all’interno la “F.L.R.”, la diffusione di varie riviste sul football. Resta comunque un bel pezzo di memorabilia (ne posseggo un centinaio), discretamente reperibile, il costo è quello dei programmes del periodo o anche meno se ci si imbatte in blocchi e personalmente la ritengo validissima soprattutto per le foto a colori di squadre, giocatori, stadi, protagonisti vari eseguite da quel genio di Robinson.
di Gianluca Ottone, da UKFP (dicembre 2005)

24 settembre 2024

"BRIAN CLOUGH il più grande" di Remo Gandolfi (Urbone), 2022

Quella di Brian Clough è una storia unica che occorre maneggiare con cura e Remo Gandolfi c’è riuscito, eccome! Remo ha avuto la capacità di rendere così fluido il racconto che al lettore sembra di cavalcare le onde dell’oceano su una tavola di surf. Da sempre conosciuto per il suo ego spropositato, tra le pagine di questo libro scopriremo un Clough che, pur rimanendo fedele alla sua immagine, sa essere diverso, sa essere sensibile, attento e sa riconoscere i propri errori. Il doppio racconto (la narrazione dei fatti e la versione di Clough) arricchisce ulteriormente l’opera che percorre l’intera vita del protagonista, dagli inizi di grande attaccante, al terribile infortunio che ne ha interrotto la carriera, alle varie esperienze in panchina, dai trionfi con Derby County e Nottingham Forest, alla cocente umiliazione dei famosi “44 giorni” di Leeds e agli ultimi anni passati a combattere i problemi con l’alcol. Questo e molto altro vi aspetta in ciascuna delle pagine di questa biografia. Che amiate o non amiate il football d’oltremanica qui si parla di calcio, di uomini, di sentimenti, di valori e di imprese. Prefazione di Filippo Galli.

TOP Lads. Un hammer a Crema, Danilo Perolini.

Ciao, sono Danilo Perolini ho 49 anni, vivo a Crema e sono appassionato di calcio inglese dai primi anni ’90, da quando è entrato nelle case degli italiani attraverso la Pay Tv (Tele +).


-Di quale squadra britannica sei tifoso e per quale motivo?
Sono tifoso del West Ham United. 
Tutto è iniziato seguendo le partite di Paolo Di Canio per gli hammers. 
Lui e Matthew Le Tissier erano i miei giocatori preferiti. 
Col tempo mi sono appassionato alle sorti di questa squadra, della sua storia, della sua tifoseria turbolenta, del fascino della working class londinese, dei martelli incrociati, e di quei colori di maglia tanto inusuali per i confini italiani. Ho avuto la fortuna e il privilegio di seguire gli hammers per un paio di volte nel vecchio Upton Park prima che lo demolissero anche se il ricordo più bello che ho è riferito a Wembley, Maggio 2012, finale di playoff di Championship contro il Blackpool. Viaggio e partita indimenticabili suggellati dal gol di Vaz Te al novantesimo che ci ha riportati in Premier League. Il West Ham poi mi ha permesso di stringere grandi amicizie in giro per l’Italia. Tanti amici e birre assicurate quasi in ogni città….il mio West Ham è proprio questo più che i risultati sportivi della squadra

-Come è iniziata la tua passione per il calcio britannico e quali sono le caratteristiche che piu' ti piacciono?
Come ti dicevo la mia passione è iniziata seguendo il campionato inglese su Tele + ed in poco tempo è stata una passione che mi ha travolto. 
Sono stato abbonato fin dai primi numeri alla fanzine “UK Football Please”, fanzine che conservo ancora con cura in una scatola ermetica nel soppalco del garage. 
Era un periodo in cui mi stavo stufando del calcio italiano per mille motivi. Il calcio inglese è arrivato nel momento giusto. Mi è sempre piaciuto l’attaccamento viscerale alla squadra del cuore, gli stadi pieni, le birre al pub dopo il match, il far finire le partite al triplice fischio senza polemiche inutili per una settimana, certe tradizioni come il replay di FA CUP (sigh!) o il sorteggio integrale nella stessa, le maglie e certi gruppi musicali che si abbinavano in modo deciso a certe squadre (Oasis, Blur, Booze and Glory). Insomma la cultura inglese mi ha sempre affascinato e purtroppo la globalizzazione sta rendendo sempre più il calcio inglese un prodotto di plastica….ma si cerca di resistere!

-Danilo, raccontaci com'è nata l'idea del libro in memoria di Christian LaFauci, ed ora che sta uscendo anche il secondo avete altre iniziative legate a questo progetto?
Ti ringrazio per la domanda che mi da la possibilità di parlare di un persona a me cara. Ho conosciuto Christian per via del libro che aveva scritto su Matthew Le Tissier ed è stato subito feeling intenso. 
Abbiamo creato “Radio Cruijff” un programma radiofonico in streaming che raccontava di calcio passato, musica e strada. Purtroppo Christian e la madre sono venuti a mancare in modo tragico nel Luglio di 3 anni fa e da allora il suo ricordo e certe esigenze impellenti sono presenti in maniera costante. 
Abbiamo raccolto delle storie di calcio fra i suoi amici di penna e stampato un libro all’indomani della sua morte. I proventi sono serviti per pagare uno spazio e una lapide al cimitero di Genova (visto che la situazione economica di Christian non era delle più ottimali). 
Ora uscirà un secondo volume in sua memoria (il titolo è "La mia passione, Il mio calcio).
Il libro è edito da Urbone Publishing (costo 15 euro) e ancora una volta raggrupperà 25 storie di calcio scritte o concesse da alcuni suoi amici. I proventi andranno alla Band degli Orsi, un’associazione di Genova (città di Christian) che si occupa di dare sostegno logistico ai parenti dei bambini ricoverati all’ospedale Gaslini di Genova. 
Per il futuro l’obiettivo è di ricordare Christian con iniziative in sua memoria e di farci trovare pronti economicamente fra qualche anno (2030) ad affrontare le spese di rinnovo del posto al cimitero di Genova.

23 settembre 2024

FA Cup Final 1973. The scratch of the cat.

Quando il signor Ken Burns da Stourbridge fischia la fine dell'incontro, lo spicchio di Wembley colorato di biancorosso esplode in un boato di gioia. 
E Bob Stokoe, si alza dalla panchina e corre. Il Sunderland ha appena conquistato la sua seconda FA Cup battendo in una finale palpitante di emozioni, il Leeds United di Don Revie.

























Lo ha fatto non solo da sfavorito ma anche da compagine di seconda divisione. Era la prima volta dal dopoguerra che un team “cadetto” saliva i gradini del royal box per ricevere il trofeo. Accadde anche nel 1931 con il WBA. Accadrà di nuovo nel 1980 quando un frizzante e irrispettoso West Ham befferà l'Arsenal detentore. Anche quel 5 maggio 1973 i bianchi di Elland Road si inchineranno al Sunderland da campioni uscenti. Corsi e ricorsi storici. Poesia e bellezza della coppa più antica del mondo. E intanto, Bob Stokoe continua a correre. Bob Stokoe è il manager dei black cats da cinque mesi. Ha raccolto una squadra che navigava nelle torbide acque dei bassifondi di classifica dell'ostica second division. Con lui al timone il Sunderland virerà decisamente verso posizioni di classifica di tutto rispetto e sopratutto raggiungerà l'atto finale della coppa. Corre impazzito di felicità. Corre verso Jim Montgomery. Verso quel portiere che con due parate strepitose ha consentito al club del nord est d'Inghilterra di mantenere la rete di vantaggio e aggiudicarsi la coppa. La sua corsa a braccia aperte, cappello marrone a nascondere una calvizie incipiente, impermeabile trench beige sopra la tuta d'ordinanza rossa, resterà nella memoria come uno dei momenti più carichi di entusiasmo e commozione di sempre. Ad immortalarlo in quell'attimo, saranno non solo le riprese televisive e i flash dei fotografi, ma anche una statua che oggi campeggia all'esterno dello Stadium of Light. Omaggio e tributo all'uomo. Ricordo e testimonianza per chi quel giorno l'ha vissuto. Ma anche per chi non c'era. Per chi ci sarà, e vorrà capire la magia di certe emozioni. Per lui la vittoria sarà doppia. Racconterà che un giorno quando era alla guida del Bury, Don Revie cercò di corromperlo per favorire il successo dei suoi. L'incrocio di destini è straordinario se si pensa che Brian Clough forse il maggior nemico giurato di Revie si infortunò giocando per il Sunderland proprio contro il Bury di Stokoe, per poi prendere il posto di Donald George Revie al Leeds quando quest'ultimo assunse la guida della nazionale. Come detto in precedenza c'era già una coppa d'Inghilterra nella vetrina dell'argenteria del Roker Park, il vecchio e glorioso stadio del Sunderland. Costruito per rivaleggiare in grandezza con gli odiati vicini di Newcastle ed inaugurato nel 1898. Fu abbandonato nel 1997 a favore di un complesso di case residenziali e far posto al nuovo Stadium of Light. Un gioiello. Moderno e confortevole. Ma il cuore di tanti tifosi pulsa ancora sotto inclementi colate di cemento. 


Quella coppa, la prima, era datata 1937. Per gli annali, il Sunderland si impose 3-1 sul Preston di fronte a 121.919 spettatori. Per la statistica andarono a segno Gurney, Carter, e Burbanks. Per i romantici, un ragazzino di dodici anni, Billy Morris, entra a Wembley con un gattino nero in tasca. Un portafortuna. Sarà uno dei motivi (ma non l'unico) per cui nel 2000 quando il club decise di indire un referendum per eleggere definitivamente il nick name della squadra l'appellativo “Black Cats” vincerà con largo margine. La FA Cup 1973 inizia nel tradizionale “terzo turno” di gennaio dove entra in scena la nobiltà vecchia e nuova di prima e seconda divisione. Inizia a Nottingham, sponda Notts County. Al Meadow Lane finirà 1-1, ma nel replay giocato in casa tre giorni dopo il Sunderland si imporrà per 2-0. Al quarto turno servirà ancora una ripetizione per decidere chi potrà accedere al turno successivo. Dopo che il Reading ha imposto il pareggio per 1-1 al Roker Park i biancorossi vanno a vincere in trasferta 3-1. Negli ottavi o se preferite al quinto turno l'abbonamento al replay del Sunderland prosegue. E questa volta il club di Stokoe fa una vittima illustre. Il Manchester City che aveva eliminato il Liverpool. Al Maine Road è un autentica battaglia che terminerà sul 2-2. Ma in casa il Sunderland non fa sconti e i Citizens si arrendono. 3-1!. La coppa entra nel vivo e sabato 17 marzo nei quarti di finale, l'occasione è troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire. I Black cats pescano il Luton Town e lo affrontano fra le mure amiche. Finirà 2-0 e per il club di Roker park si aprono le porte di Hillsborough. Si aprono le porte della semifinale, preludio agli sfarzi di Wembley. Ma l'impresa è ardua. C'e da battere l'Arsenal e l'emozione di certe serate. In quelle semifinali ad eccezione del Sunderland che come detto militava in seconda divisione, gli altri tre team erano tutte squadre di massima serie e tra le altre cose anche le migliori visto e considerato che al termine del campionato l'Arsenal giunse secondo alle spalle del Liverpool campione, il Leeds United si classificò terzo e il Wolverhampton Wanderers finì la stagione al quinto posto. Sunderland- Arsenal, dunque. 
E' il 7 aprile 1973. La muraglia umana dei tifosi è impressionante su tutti i lati dello stadio. Ci saranno in totale oltre 55.000 spettatori. Per la città di Sunderland è già un evento. Si muoveranno in 23.000, fra treni, autobus, e mezzi privati. I gunners scendono in campo con la maglia da trasferta gialla su pantaloncini blu, come al solito un effetto cromatico straordinario sul rettangolo verde. Il Sunderland opta per un impeccabile tenuta completamente bianca. Come una damigella debuttante al gran ballo dell'aristocrazia. Su Hillsborough tira un vento insidioso. I centrali dell'Arsenal commettono un errore sulla ribattuta dei centrocampisti avversari e Vic Halom ne approffitta per battere Wilson con un mezzo pallonetto. Alla fine del primo tempo i ragazzi di Stokoe sono avanti 1-0. Nella ripresa la convinzione di potercela fare cresce con il passare dei minuti e diventa quasi una certezza quando Hughes di testa raddoppia per i suoi su una rimessa in gioco di Bobby Kerr spizzicata leggermente da Dennis Tueart. L'Arsenal proverà a rientrare in partita ma il goal di Charlie George nel finale di gara non sarà sufficiente. Il Sunderland andrà a Wembley a giocarsi la finale con il Leeds United che intanto nell'altra semifinale, ha battuto i Wolves 1-0 a Maine Road con una rete di Billy Bremner. Immediatamente si scatenò un autentica corsa al biglietto. Tutta Sunderland avrebbe voluto scendere a Londra. Una Sunderland quella dei primi anni settanta che ancora vantava uno dei cantieri navali più importanti del mondo, gli shipyards, dove generazioni di operai piegavano l’acciaio sotto cieli perennemente grigi, ma almeno con una busta paga a fine mese. Dove ancora le miniere non risentivano della crisi e degli scioperi degli anni ottanta.
Dove il Wearmouth Bridge accoglieva il sempre maggiore volume di traffico cittadino. Il 5 maggio 1973, mentre il presidente della Federcalcio Inglese e il Duca di Kent salutavano le due squadre sotto le torri dell' Empire Stadium, Sunderland era deserta. Coloro che erano rimasti a casa si incollarono a radio e tv per seguire la partita. Per le agenzie di scommesse non ci sarebbe stata partita. Troppo più forte il Leeds United. Troppo più smaliziata ed esperta la squadra di Don Revie che per ogni ruolo poteva permettersi di schierare un nazionale. Uno squadrone stellare temuto ovunque e che se nel campionato appena concluso era arrivato solo terzo, aveva raggiunto non solo questa finale di FA Cup ma anche l'atto finale della Coppe delle Coppe. Avrebbe sfidato il Milan di Rocco e Rivera a Salonicco, in una partita i cui echi risuonarono per molto tempo. Al 30° della prima frazione di gioco David Harvey il portiere del Leeds, alza sopra la traversa un pallonetto da quasi metà campo di Kerr. Dalla bandierina Billy Hughes scodella un pallone che carambola maldestramente sulle gambe di Halom, ma quel controllo approssimativo permetterà allo scozzese Ian Porterfield di battere violentemente a rete il goal dell' 1-0. Sarà la rete che deciderà l'incontro, ma il momento decisivo è senza dubbio quello avvenuto a venti minuti dalla fine. Reaney mette in mezzo un pallone che Cherry gira verso la porta, ma Montgomery con un tuffo prodigioso dice di no deviando il pallone però nei piedi dell'accorrente Peter Lorimer. Sembra fatta per il Leeds, sembra che quel meraviglioso pallone color ocra debba placidamente terminare la sua corsa nelle capienti reti di Wembley. Ma il destino di quella partita è già stato scritto a favore del Sunderland e Montgomery riesce miracolosamente a intercettare la sfera che come impazzita carambola solo sulla traversa. E l'episodio che permetterà a capitan Kerr di alzare orgogliosamente la coppa d'Inghilterra mentre nel cielo di Londra esplode l'urlo dei supporters biancorossi, e a Sunderland è festa grande.
Al ritorno in città un autobus scoperto portò in parata gli eroi di Wembley da Carville a Roker Park, fra scene di genuino entusiasmo popolare. Ci riproveranno diciannove anni dopo. Ancora da squadra di seconda divisione.
Ma il 9 maggio 1992 il Liverpool di Greame Souness si imporrà per 2-0 spegnendo i nuovi sogni di gloria dei black cats.
di Simone Galeotti, https://lettereinchiaroscuro.blogspot.com

21 settembre 2024

THE "SECOND CITY" DERBY di Di Lullo, Alfonsi & Scialonga (Urbone), 2023

“The Second City” Derby: una definizione apparentemente riduttiva ma che, in realtà, non lo è. Stiamo parlando pur sempre di Birmingham, ossia della seconda città d’Inghilterra e della sua posizione cruciale nel cuore delle Midlands, una città ricca di storia e di fascino ma anche il nucleo dell’Inghilterra commerciale ed industriale. 
Ma Birmingham è anche una città che vive e respira calcio 365 giorni l’anno con i suoi club che hanno fatto la storia, sin dalla fondazione, della English Football League. C’è l’Aston Villa di Shaw e Withe, ma anche il Birmingham di Trevor Francis, ci sono i tanti derby disputati, alcuni dai risvolti tragici per fattori extracampo ma ci sono anche favole calcistiche da tramandare ai nipoti e tradimenti da sopportare. 
E poi ci sono i colori, il claret&blue del Villa contrapposto al biancoblu del Birmingham City, e gli stadi che, inevitabilmente, sono molto più di un semplice contorno alle gesta delle relative squadre.

MEMORABILIA. Squelchers!



















In una delle mie solite incursioni nei mercatini di antiquariato e chincaglierie che tanto adoro frequentare, mai e poi mai mi sarei immaginato di imbattermi in un oggetto appoggiato su un impolverato comò inglese dell' '800, all'interno di una anonima bancarella.. 
Si tratta di un astuccio molto simile a quello che i gioiellieri utilizzano per custodire i monili di valore da mostrare ai propri clienti. In questo caso non si tratta di un panno ripiegabile in velluto, ma in plastica, suddiviso in ben sedici spazi e prodotto da uno dei più grandi colossi della industria petrolifera mondiale, la "ExxonMobil", più facilmente conosciuta da tutti noi come "ESSO". In ognuno delle apposite sezioni custodisce dei meravigliosi, libricini, ( conservati in condizioni perfette ) dedicati ai vari ambiti del "UK Football", con precisazioni, aneddoti da interpretare come "squelchers", cioè degli ammutolimenti inferti ai male informati in materia.. 
C'è poco da stupirsi.. D'altra parte la "ESSO" non era nuova a sfornare chicche di questo tipo, avendo ideato a cavallo degli anni '70 e '80 del materiale calcistico di assoluto rilievo, costituito soprattutto da una raccolta di monete dedicate ai protagonisti del Campionato Mondiale di calcio del 1970, disputatosi in Messico. Di seguito la lista delle agendine descritte:

1) I più significativi portieri britannici: da Peter Bonetti ( Chelsea ) a Gary Sprake ( Leeds Utd )
2) I più efficienti arbitri britannici: Peter Walters, David Smith, Maurice Fussey, Pat Partridge
3) La storia dei Campionati Mondiali di calcio fino all'edizione del 1970, attraverso i protagonisti
4) Le squadre più vincenti del Regno Unito
5) I pazzi geni del calcio anglosassone: da Peter Marinello ( Arsenal ) a Denis Law ( M. United )
6) I leaders del calcio inglese: da Alan Evans ( Liverpool ) a Tony Hateley ( Birmingham City )
7) I colori delle squadre di calcio inglesi e i loro ricercati soprannomi
8) Il linguaggio del "British Football"
9) Gli attaccanti più forti: da Martin Peters ( Tottenham Hotspur ) a Bobby Lennox ( Celtic )
10) La nazionale inglese: da Bobby Moore ( West Ham United ) a Jackie Charlton ( Leeds United )
11) La nazionale Nord irlandese: da Liam O'Kane ( Nottingham Forest ) a George Best ( United )
12) La nazionale scozzese: da John Greig ( Glasgow R. ) al celebre manager Jock Stein
13) La nazionale gallese: da Wyn Davies ( Newcastle United ) a Ron Davies ( Southampton )
14) Le squadre più vincenti d' Europa
15) I maestri della difesa: da Brian Labone ( Everton ) a Terry Hennessey ( Derby County )
16) Le stelle più brillanti delle nazionali del Regno Unito

Insomma una mini enciclopedia o per meglio dire un "Bignami" del calcio dalle caratteristiche uniche, farcito di notizie utili e pertinenti. 
Questo pezzo ricopre un discreto valore collezionistico e ribadisce per l'ennesima volta l'amore che i britannici ripongono nel football.
Attraverso delle idee originali che spaziano dalle già citate monete alle figurine, alle cards, agli stemmi, fino ai set di carte il tifoso anglosassone mantiene la leadership nel campo calcistico, dimostrando una preparazione che passa attraverso cimeli storici di tutto rispetto. 
Le "Esso Squelchers " Football cards venivano distribuite ai fortunati passanti delle stazioni "ESSO" dal 1970 al 1978..
di Vincenzo Felici

20 settembre 2024

STADIA - Gli stadi di Bristol: Bristol Rovers.

Ora ci spostiamo verso sud-ovest per giungere a Bristol. 
Per rispetto di anzianità inizieremo il nostro viaggio dal Bristol Rovers FC fondato nel 1883.


























I “pirates” hanno sempre avuto un rapporto piuttosto movimentato con i campi di gioco. Prima di giungere al Bristol Stadium (meglio noto a tutti come Eastville) loro casa dal 1897 al 1986, i biancoblu fecero prima tappa in ben altri 4 campi, tutti con facilities piuttosto modeste sino a quando decisero di acquistare il terreno di Eastville per 150 Sterline.
La proprietà restò del club sino al 1940 quando, in seguito a necessità finanziarie, lo stadio fu venduto ad una locale società di greyhound racing. Nonostante ciò i pirates ottennero di continuare a giocarvi pagando ai nuovi proprietari un affitto annuale. Eastville era uno dei pochi impianti britannici con forma ellissoidale per via della presenza della pista per le corse dei cani, e quindi presentava alle estremità due curve anziché le classiche ends, mentre lungo i due rettilinei facevano bella presenza due tribune coperte con la parte più bassa riservata ai posti in piedi. La capacità totale superava i 40.000 posti. Su uno dei due tetti spiccava un TV gantry ovvero una struttura che ospitava la telecamera per le riprese televisive e la postazione dei radio e telecronisti.
Nel 1986, in seguito ad un costante aumento dei debiti e dell’affitto, il BRFC decise con rammarico di lasciare Eastville (nella foto l'ultima partita) ed accasarsi provvisoriamente presso il Twerton Park di Bath, stadio della locale squadra non league del Bath City.
I sostenitori accettarono questa soluzione pur tra mille proteste ma mai si sarebbero immaginati che per loro iniziava una vita da pendolari che durò ben 10 anni. Quindi molto più dura di quella che fecero i fans del Charlton o del Wimbledon in occasione della loro migrazione forzata e temporanea a Selhurst Park. 
Inoltre Twerton Park aveva dei requisiti che andavano bene appena per la terza e quarta divisione con una capienza inferiore ai 10.000 posti di cui solo 1.066 a sedere, che pregiudicavano anche l’eventuale possibilità di crescita del club.
A nulla valsero ripetuti tentativi di ottenere il permesso per edificare un nuovo stadio così come fallirono, per un mancato accordo sul costo dell’affitto, le trattative con i cugini del Bristol City per condividere la casa dei Robins ovvero Ashton Gate. 
Finalmente nel 1987 la questione si risolse con un ritorno a Bristol; infatti il management si accordò con il Bristol Rugby Union Club per condividere il Memorial Ground e alcuni anni dopo si riuscì addirittura a rilevare anche la quota dei cugini della palla ovale tornando ad essere proprietari di un impianto.
L’attuale stadio è composto da quattro tribune ognuna diversa dall’altra, frutto di interventi fatti in periodi diversi ma il colpo d’occhio finale è comunque piacevole e la presenza in media di 7.000 spettatori crea un buon ambiente. 
Il record di presenze al vecchio Eastville si registrò nel 1960 per un quarto round di FA cup contro il Preston North End quando furono presenti 38.472 spettatori mentre al provvisorio Twerton Park di Bath si staccarono 9.646 tagliandi sempre per un quarto round di FA cup nel 1990, avversario il Liverpool. 
di Gianluca Ottone, da UKFP (giugno 2005)

18 settembre 2024

IL GIORNO DEL CAPPELLAIO MATTO.






















Tranquilli amanti del calcio inglese, in questo pezzo non si faranno analisi psicologiche sui personaggi del celebre libro di Carrol “Alice nel paese delle meraviglie”, qui si parla di calcio inglese, di quello un po’ datato, in sostanza di quello che in fine amiamo di più.

Sembra di stare a parlare di epoche lontanissime eppure poco più di 40 fa il nostro amato football viveva una dimensione enormemente diversa rispetto a quella odierna. Il calcio inglese, esiliato dal resto d’Europa dalla vigliacca sentenza post-Heysel che colpi tutto il movimento calcistico di sua maestà e non solo il Liverpool come giustizia avrebbe voluto, era un calcio autarchico snobbato da investitori e campioni esteri e per questo con il livello medio più equilibrato. In questo contesto storico il Luton Town, piccola squadra della cintura londinese, visse il suo moneto di gloria massima. Dicevamo che erano altri tempi, in quei tempi là succedeva che i “cappellai” di Luton ( il soprannome The Hatters era dato dal fatto che il distretto di Luton fin dal diciassettesimo secolo era il maggior produttore di cappelli di paglia e non ) erano da tempo frequentatori dell’allora first division inglese, nella stagione 86/87 addirittura centrarono il settimo posto, e quindi si erano ritagliati una credibilità notevole ma nessuno avrebbe scommesso su una loro vittoria nella finale di Coppa di Lega del 1988.
In un Wembley gremito, di fronte a 96.000 il persone il 24 aprile dell’88 l’Arsenal di George Graham affronta il piccolo Luton Town guidato da Ray Harford. Sulla carta i gunners partono con il favore del pronostico anche se come accennato poco fa negli anni 80 i giant killing erano molto più frequenti, si pensi solamente che due anni prima, nel 1986, la Coppa di Lega fu alzata in cielo dal capitano dell’Oxford United. In campo 22 giocatori di cui 21 inglesi e uno ( il portiere del Luton Dibble ) gallese, erano proprio altri tempi. I Gunners partono forte e menano le danze ma già al 13’ si hanno le avvisaglie che sarà un pomeriggio storico; Brian Stein sfrutta al meglio un assist di Steve Foster e taglia fuori tutta la difesa dell’Arsenal battendo Lukic da pochi metri: 1-0 tra l’incredulità generale. Il club di Highbury si lancia al contrattacco, le giocate di Rocastle, Michael “history man” Thomas, i guizzi del leggendario attaccante Alan Smith sbattono però contro la diga eretta dal Luton a difesa della porta di Andy Dibble. La sensazione generale è quella che una volta trovato il gol del pari l’Arsenal possa far sua la gara. Nel secondo tempo accade ciò che tutti si aspettavano, in soli 5 minuti i gunners ribaltano la situazione:al 71’ gol del pari in mischia di Hayes, subentrato ad uno spento Groves, ed al 74’ il bomber Smith come da prassi timbra il cartellino a seguito di una rocambolesca azione che dimostra come la difesa degli Hatters fosse ancora in tilt dopo il aver subito il gol del pari. A questo punto i Gunners dilagano, Rocastle porta a spasso il pallone in area avversaria, Donaghy ingenuamente lo tocca ( ma forse no, probabilmente stiamo parlando di uno dei primi grandi tuffi in area di rigore che la mia memoria di appassionato di brit-football ricordi ) , rigore. Dal dischetto la leggenda Nigel Winterburn si appresta a dare il colpo di grazia al Luton, succede però che Dibble sventa la minaccia con un gran balzo sulla sua sinistra tenendo in gioco gli Hatters per gli ultimi leggendari dieci minuti. Chi ha letto Febbre a 90 di Hornby sa di cosa sto parlando: arriva puntuale in area Gunners il disastro di Gus Ceasar, centrale non nuovo a leggerezze leggendarie, che cicca il rinvio su retropassaggio di testa di Sansom innescando una azione confusa che dopo tiri e rimpalli porta al gol del pari di Danny Wilson al 82’. Sconcerto tra i gunners, difesa storicamente solida che già aveva in Tony Adams la sua colonna. Lo stesso Adams, già capitano all’epoca, al 90’ stende da par suo Mark Stein, punizione ineccepibile battuta da Danny Wilson, Adams libera di testa ma il nuovo entrato Grimes scodella di nuovo in area, è il 90’, e Brian Stein, ancora lui brucia tutti in anticipo e trasforma il sogno in realtà, 3-2 ed il Luton Town è nella storia. Le parabole dei 2 club saranno opposte, quell’Arsenal sotto la sapiente guida di Graham vincerà il campionato l’anno seguente dopo anni di digiuno e da quel momento inizierà una escalation poderosa mentre il piccolo Luton dopo questo trionfo atteso ben 103 anni arriverà di nuovo in finale di Coppa di Lega l’anno successivo perdendo però contro il Forest 3-1. Dopo questo meraviglioso biennio inizia la lunga caduta all’Inferno dei “cappellai” che culmina con la retrocessione l’anno scorso stagione 2008/09 dalla 4 divisione(a noi vecchi piace ancora chiamarla cosi)alla Conference. Un grande rammarico per il Luton Town sarà non disputare alcuna competizione europea per via del noto bando alle squadre inglesi, rammarico che nel tempo colpirà pure Oxford Utd e Wimbledon ma questa è un’altra pagina di un calcio che non c’è quasi più: il calcio dei piccoli miracoli, dei clamorosi giant-killing, il calcio delle squadre inglesi con giocatori britannici, il calcio dei cari vecchi tempi e a quello spirito ormai quasi scomparso a cui questo piccolo articolo vuol rendere omaggio.
di Charlie Del Buono

17 settembre 2024

"LET'S SPEAK FOOTBALL!. Viaggio nel mondo del calcio inglese e il suo gergo" di Claudio Damiani (Ed. indipendente), 2024

Un Viaggio nel Cuore del Calcio Inglese.
Let's Speak Football! non è solo una guida tecnica, ma un viaggio attraverso la cultura, le tradizioni e le complessità del calcio inglese. È pensato per coloro che si avvicinano a questo sport per la prima volta, per chi vuole migliorare il proprio inglese calcistico e per tutti i curiosi che desiderano esplorare il gergo e le usanze delle tifoserie inglesi.Capitoli Dettagliati e Approfonditi

Linguaggio da Campo Il libro inizia con una dettagliata esplorazione del linguaggio da campo. Questo capitolo è fondamentale per comprendere i termini tecnici e le frasi utilizzate durante le partite. Imparerai a conoscere espressioni come "offside" (fuorigioco), "clean sheet" (porta inviolata) e "through ball" (passaggio filtrante), ottenendo una solida base per seguire le partite in inglese.
Strategie e Tattiche Proseguendo, la guida si addentra nelle strategie e nei movimenti tattici. Qui, Damiani esplora le tattiche utilizzate dalle squadre inglesi, dai sistemi di gioco come il 4-4-2 ai termini come "high press" (pressing alto). Questo capitolo è ideale per allenatori, analisti e tifosi che vogliono comprendere meglio le strategie che determinano le partite.
Terminologie da Spogliatoio e Addetti ai Lavori Un altro capitolo chiave è dedicato alla terminologia utilizzata nello spogliatoio e tra gli addetti ai lavori. Imparerai a conoscere i termini e le frasi che definiscono le dinamiche interne di un club, dalle routine pre-partita ai discorsi motivazionali degli allenatori, offrendo una visione privilegiata delle interazioni dietro le quinte.
Gestione e Organigramma dei Club La guida esplora anche la struttura dirigenziale e la gestione finanziaria dei club inglesi. Questo capitolo è cruciale per chi desidera comprendere come vengono gestiti i club, dalle politiche di mercato alle strategie finanziarie. Termini come "financial fair play" e "release clause" (clausola di rilascio) vengono spiegati in modo chiaro e accessibile.
Slang e Usanze delle Tifoserie. Non poteva mancare un capitolo dedicato al gergo e alle tradizioni delle tifoserie. Scopri i canti, i cori e le usanze che rendono unica l’esperienza del calcio inglese. Questo capitolo ti permetterà di immergerti completamente nell’atmosfera degli stadi inglesi e di comprendere meglio la cultura dei tifosi.Perché Leggere Let's Speak Football!
Questo libro è un compagno indispensabile per chiunque voglia avvicinarsi al calcio inglese con una comprensione più profonda e autentica. Che tu sia un tifoso appassionato, un professionista del settore o semplicemente curioso, Let's Speak Football! ti fornirà gli strumenti e le conoscenze necessarie per apprezzare ogni aspetto di questo sport meraviglioso.
Grazie alla competenza e all’esperienza di Claudio Damiani, la guida non solo ti insegnerà il linguaggio e le tecniche del calcio inglese, ma ti offrirà anche un'immersione nella cultura e nelle tradizioni che rendono il calcio in Inghilterra così speciale. Non perdere l'opportunità di scoprire tutto ciò che c'è da sapere sul calcio inglese con Let's Speak Football!.

L'IMPERO DEI VILLANS.

Un tributo quello di Danilo Perolini a Gary Shaw e a quella grandissima squadra che arrivò a vincere la Coppa dei Campioni, l'Aston Villa.


Una squadra straordinaria. A 40 anni di distanza non ci sono altri aggettivi per definire l’Aston Villa del biennio 1980-1982.
In due stagioni si prese tutto, Campionato e Coppa Campioni, lasciando dietro di se una scia di onnipotenza che ancora oggi viene celebrata dai tifosi claret and blue con dvd e libri celebrativi. La grandezza di questa squadra si potrebbe misurare con un solo dato statistico.
Vinse il campionato inglese 1980-1981 utilizzando per le 42 partite del torneo solo 14 giocatori, di cui 7 le giocarono tutte. Il Chelsea 2004-2005 per fare un paragone ne utilizzò 30 per diventare campione d’Inghilterra…
La squadra non dispose di campioni di prim’ordine, spesso giocò un calcio ruvido ma efficace. Il risultato prima di tutto. Uno dei principali artefici di quel miracolo fu senz’altro il manager Ron Saunders arrivato alla corte dei villans nel 1973. Un uomo molto duro e dai pochi peli sulla lingua che credeva fortemente nel lavoro quotidiano. Le sue squadre furono sempre le più allenate in Inghilterra, predisposte a durare tutta la stagione senza cali di forma.
C’erano poi il capitano Dennis Mortimer, capelli lunghi e dinamismo straordinario, il fantasista Gordon Cowans (visto poi in Italia nelle file del Bari) grande visione di gioco e tiro da fuori, l’ala sinistra Tony Morley personaggio bizzarro in campo e fuori.

Ma la vera forza di quella squadra furono i due attaccanti.
Il rude Peter Withe, già campione d’Inghilterra con il Nottingham Forest nel 1978, polsini di spugna e grande abilità aerea. Quando non spizzava per i compagni, la spediva direttamente in porta (19 reti quell’anno).

























E Gary Shaw “il Bambino”, 19 anni e capelli a caschetto biondi, cresciuto nelle giovanili dei Villa di cui era tifoso. Si trovò a sostituire il suo idolo Little (danneggiato da parecchi infortuni), segnando la bellezza di 17 gol, molti dei quali nella prima parte della stagione dando la convinzione alla squadra di poter competere per il titolo al cospetto di squadre come Liverpool, Arsenal e Ipswich Town.

Non venne considerata però una squadra simpatica. L’opinione pubblica e i giornali preferivano di gran lunga l’Ipswich Town, squadra allenata da Bobby Robson, che giocava un calcio migliore.
Proprio con l’Ipswich il testa a testa durò fino all’ultima giornata.
I villans, seguiti da 20mila tifosi fino ad Highbury, persero per 2-0 contro l’Arsenal giocando una partita scadente. L’Ipswich due punti indietro ma con una migliore differenza reti non approfittò della situazione pareggiando per 1-1 sul campo del Boro.
La stagione successiva non fu meno leggendaria. Il manager Saunders abbandonò la squadra nel Febbraio del 1982 per gli scarsi risultati ottenuti in campionato. Subentrò il suo assistente Tony Barton che porto la squadra sul tetto d’Europa.
Dopo aver eliminato i tedeschi dell’est della Dinamo Berlino negli ottavi di finale, i villans si sbarazzarono nei quarti e in semifinale della Dinamo Kiev di Blochin e dell’Anderlecht.
Ad aspettare i debuttanti inglesi in finale a Rotterdam si presentò il Bayern Monaco di Rummenigge e Breitner. I tedeschi fecero la partita, sfiorarono più volte il gol ma vennero puniti dal primo vero attacco inglese. Al 67° minuto Morley in contropiede offri sul piatto di Peter White il pallone che valse la Coppa dei Campioni. Fu il sesto successo consecutivo per una squadra inglese. Raggiunto l’apice i villans cominciarono lentamente a perdere colpi.
Nella stagione seguente persero 2-0 dagli uruguaiani del Penarol nella finale di coppa Intercontinentale, si consolarono parzialmente nel Gennaio del 1983 conquistando la Supercoppa Europea ai danni del Barcellona ma il loro dominio europeo fu interrotto dalla Juventus di Platini che nei quarti di finale di Coppa dei Campioni eliminò i villans vincendo sia al Villa Park che al ritorno al Comunale.
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