28 novembre 2025

"A BRISTOL CON BANKSY. Segreti e rivoluzioni" di Andrea Lucarini (Perrone Editore), 2025


"Non capita spesso che passeggiando in una città si possa godere di una galleria d’arte moderna a cielo aperto. Succede però a Bristol, dove l’orologio segna un orario diverso da quello di Londra, il quartiere Stokes Croft fa Repubblica a sé, e ci si imbatte nei murales di Banksy in una carrellata che mostra l’evoluzione tecnica dell’artista anonimo. Un passato oscuro mai sottaciuto e un presente fatto di attivismo sociale in ogni contesto e situazione, anche la notte di Capodanno. Le mongolfiere, una delle tante invenzioni locali, volano tra le note dei Massive Attack e della Sarah Records, etichetta che ha creato un mondo solo per dargli fuoco e guardarlo illuminarsi mentre bruciava. Andrea Lucarini, anche tramite interviste esclusive, racconta un luogo originale che ha vissuto e scoperto, dove si agisce non per la fama, ma cercando di non farsi notare."

27 novembre 2025

🇬🇧UK in ITALY. "CALCIOMONDO (Guerin Sportivo), una finestra sul football degli anni '80"

"Calciomondo" non era solo un inserto del Guerin Sportivo, ma una finestra essenziale sul calcio mondiale per gli appassionati italiani degli anni '80. 
In un'epoca priva di internet e con una copertura televisiva estera limitata, l'inserto rappresentava l'unica fonte affidabile e dettagliata per conoscere i campionati stranieri ed i loro protagonisti. Permetteva di scoprire le formazioni del Liverpool o del Flamengo e soprattutto i colori delle maglie, i volti e le storie dei campioni internazionali, e di sognare il calcio oltre la Serie A. Con le sue 40 o più pagine a colori, ricche di statistiche, pagelle, e gli ambitissimi poster, "Calciomondo" offriva un'immersione completa che dissetava la sete di conoscenza del tifoso, trasformando semplici lettori in esperti di calcio mondiale. Era un appuntamento fisso e imperdibile (insieme al Guerino) che colmava un vuoto informativo, diventando un vero e proprio oggetto di culto generazionale.

26 novembre 2025

"IL GIORNO IN CUI GEORGE BEST DIVENNE GEORGE BEST" di Christian Cesarini

Gli ultimi trenta giorni del 1963, in Inghilterra, furono scossi dalla Beatlemania, che esplose delirante e prepotente per non fermarsi mai più.
Il 29 novembre 1963 infatti i “quattro ragazzi che scioccarono il mondo” pubblicarono il singolo “I want to hold your hand”. La canzone, che fu composta al pianoforte da Lennon e McCartney in uno scantinato di Wimpole Street fu un successo di tali proporzioni (quindici milioni di copie vendute!) che i Beatles divennero di lì a breve la band musicale più famosa del pianeta.

In quello stesso periodo, a Manchester, un ragazzino di diciassette anni, originario di Belfast, si apprestava ignaro a diventare celebre quanto i Beatles, destinato ad esser eletto il più grande giocatore di football visto sui campi anglosassoni, icona di un’epoca in cui tutto sembrava possibile, in una nazione, l’Inghilterra, che a metà degli anni Sessanta è l’ombelico del mondo, fonte ed ispirazione di nuove tendenze in moltissimi campi, tra i quali la moda, la musica, la tecnologia e ovviamente il football.
George Best arrivò alla corte di Matt Busby nell'estate del 1961. Celebre il famoso telegramma che l'esperto Bob Bishop, talent scout del Manchester United in Irlanda del Nord, spedì al manager scozzese definendo Best “a genius”
Due timidi anni di apprendistato all'Old Trafford, poi il padre-padrone dei Red Devils fece esordire il Belfast Boy in prima squadra il 14 settembre 1963, in un match vinto 1 a 0 contro il West Bromwich Albion. Il giovane nord-irlandese andò bene, lasciando intravedere alla gente dell'Old Trafford le sue enormi potenzialità tecniche; ma nonostante la buona prestazione il buon Busby, forse nel timore di caricare il ragazzo di troppa pressione psicologica, lo riconsegnò di fatto alla squadra riserve senza concedendogli altre apparizioni in Football League. Geordie, così come era conosciuto familiarmente tra gli amici a Belfast nel suo quartiere di Cregagh, prese la decisione di Busby con relativa filosofia, conscio del fatto che la stagione successiva ci sarebbero state altre opportunità per dimostrare il proprio valore ed entrare così in pianta stabile in prima squadra. L'imprevedibile però era dietro l'angolo e la vita di George, in quei ultimi giorni del 1963 stava cambiando per sempre...
Durante il tradizionale tour de force natalizio il Manchester United ricevette due sonore ed inaspettate sconfitte: la prima, il 21 dicembre per 4 a 0, al Goodison Park contro l'Everton, la seconda nel boxing day del 26 dicembre, quando il Burnley si impose clamorosamente per 6 a 1. Appena quarantotto ore dopo la debacle del Turf Moor il calendario mise nuovamente di fronte ai red devils i claret and blue. Matt Busby, preoccupato della condizione psico-fisica dei suoi giocatori, cercò di dare una scossa positiva all'ambiente e decise, a sorpresa, di inserire tra i titolari due ragazzini senza esperienza: Willie Anderson, 16 anni, all'esordio assoluto e George Best, 17, alla seconda apparizione. George apprese della pesante sconfitta dello United contro il Burnley nella sua casa di Belfast, dove stava passando le feste natalizie con la famiglia. Il 27 dicembre, appena quindici ore prima del match contro il Burnley, al numero 16 di Burren way (casa di Dickie e Anne Best, genitori di George) venne recapitato un telegramma urgente in cui si “richiedeva” l'immediato rientro all'Old Trafford di Geordie. Sulle prime in casa Best ci fu incredulità, poi il padre di George sentenziò che la comunicazione significava che il figlio avrebbe giocato. George invece frenò gli entusiasmi, sostenendo che non voleva lasciare la sua amata famiglia nel bel mezzo delle festività senza peraltro avere la minima certezza di giocare. Si decise così di chiamare il club: George chiese a papà Dickie di telefonare al club trainer Jack Crompton, uno dei fedelissimi assistenti di Busby ed ex glorioso portiere dello United tra il 1944 e il 1956; questi confermò le speranze di veder scendere in campo il ragazzo, aggiungendo anche che dopo la gara George avrebbe potuto tranquillamente far ritorno a casa per festeggiare l'ultimo dell'anno. Sentendo le parole di Crompton il duro Dickie sobbalzò e un po' disorientato sul da farsi rispose: <<Se lei mi dice questo io devo venire a Manchester con il mio ragazzo...Ma...>>.<<Don't worry, Mr.Best...>> lo interruppe il club trainer, <<Rimanga pure con la sua famiglia, ci saranno molte altre gare per vedere suo figlio all'opera>>. Dickie riattaccò la cornetta del telefono e gli vennero in mente in una volta sola tutte le volte che in passato aveva dovuto tranquillizzare l'ansia della moglie mentre si incamminava verso il campetto di calcio vicino casa, ogni volta che il suo ragazzo sembrava sparito nel nulla di Belfast.

28 Dicembre 1963 Manchester - Old Trafford – ore 15:00
Manchester United vs Burnley

Il 28 dicembre 1963, giorno del match contro il Burnley, il Manchester Evening News analizzava a margine della presentazione della gara che Boy Best era si promettente e talentuoso ma troppo giovane per una gara così delicata, avanzando non troppo velatamente i rischi di Busby nello schierare contemporaneamente due giovanissimi senza esperienza. Stesso approccio al match ebbe News of the World, anche se quest'ultimo, dopo gli scontati interrogativi, si augurava un immediato e luminoso futuro per i due ragazzini. Le due squadre scesero regolarmente in campo dinanzi ad un Old Trafford stracolmo (54mila presenti) e pronto a dare il solito caloroso sostegno alla squadra di casa. Matt Busby schierò in attacco lo scozzese David Herd e il gallese Graham Moore, con a sostegno Bobby Charlton e sulle fasce le “new entry” Best e Anderson. Il veterano Paddy Crerand con il solito compito di vigilare in mezzo al campo e Foulkes a guidare la difesa con David Gaskell tra i pali al posto dell'infortunato eroe di Munich 58 Harry Gregg. Il Burnley si presentò con la stessa formazione schierata due giorni prima, con il numero due Elder sulle tracce del giovane Best. Alexander Elder, quasi ventiquattrenne, era all'epoca uno dei più promettenti difensori nel panorama calcistico anglosassone, nord-irlandese proprio come Best e già nel giro della nazionale maggiore, con il quale collezionò in carriera quaranta caps, tre in più dello stesso Best. Curiosamente Elder, originario di Lisburn, era cresciuto calcisticamente nel Glentoran FC, club di famiglia per George, seguito e tifato da bambino grazie soprattutto alla passione dell'amatissimo nonno. Il match non ebbe storia sin dalle primissime battute: segnarono per lo United Herd e Moore, entrambi due volte, e poi proprio Belfast Boy, che quel giorno realizzò la sua prima rete in campionato con un destro fulmineo dal limite dell'area, applaudito a scena aperta dall'intero Old Trafford. 

Finì 5 a 1 per lo United, che vendicò ampiamente la pesante sconfitta del boxing day. Pat Crerand dichiarò poi in seguito ricordando il grande match di Best: <<Elder era un ottimo difensore, così come Angus, ma quel giorno George era velocissimo, imprendibile, sembrava volasse e li annientò completamente>>
Bobby Charlton aggiunse:<<Ricordo che ad un certo punto della gara John Angus fu spostato nella zona di George a dar sostegno difensivo ad Elder, che era in enorme difficoltà su Best. Neanche in due riuscirono a fermarlo...>>
Quel giorno "George Best divenne George Best," il predestinato. La sua fu una partita praticamente perfetta: attaccò con tutte le sue immense qualità tecniche, in maniera potente, veloce, imprevedibile; usò la testa ma anche il cuore e l'istinto tipico degli eletti dal Dio del pallone; corse concentrato senza mai fermarsi, realizzando un gran goal e numerosi cross che sembravano disegnati per quanto erano ben calibrati; non disdegnò neanche i contrasti duri e i rientri difensivi, sovrastando comunque in ogni occasione difensori e centrocampisti avversari. Entusiasmò l'Old Trafford, che quel pomeriggio lo elesse ad unanimità a figlio prediletto. Seduto in panchina, osservando quel ragazzo imprendibile che correva tenendo stretto il polsino della maglia Matt Busby ripensò al telegramma dell'amico Bishop e si convinse di aver veramente trovato un genio. Ben presto tutta la Gran Bretagna si inchinò al talento cristallino di Best rendendolo immortale.
Il giorno dopo la gara, così come gli era stato promesso, Geordie riprese il solito treno per Liverpool e poi il solito traghetto diretto a Belfast. La sua famiglia lo accolse a braccia aperte; l'eco della sua grande partita era giunto fino a Burren way, quel giorno infatti il Belfast Telegraph raccontava con enfasi la nitida vittoria del Manchester United con sullo sfondo la foto in bianco e nero di un sorridente 17enne locale...
di Christian Cesarini

25 novembre 2025

"SEASON. La nuova stagione" di George Harrison (Blu Atlantide), 2025

“Le loro vite si intersecavano solo allo stadio, ed era in queste occasioni che si scambiavano commenti sul tempo e sul calcio. Non consideravano il loro un rapporto d’amicizia. Non si erano mai neanche presentati. Però, ogni tanto, la vita oltre lo stadio aveva preso a insinuarsi nelle loro conversazioni, e in quelle brevi finestre di tempo passato assieme ognuno dei due aveva iniziato a riconoscere aspetti dell’altro riflessi negli occhi, nei discorsi o nei modi… Entrambi anelavano a un senso di appartenenza e a uno scopo che finora soltanto il campo era stato in grado di regalargli”. Due uomini, uno, il Giovane, di poco più di vent’anni, l’altro, il Vecchio, molto più anziano: entrambi tifosi della squadra della loro città, che ogni anno naviga tra la media e la bassa classifica. Entrambi ogni stagione calcistica rinnovano il proprio abbonamento allo stadio, ma per puro caso con l’inizio della nuova stagione si ritrovano vicini di posto. Così man mano che il campionato procede, iniziano a condividere esultanze e delusioni, cominciano a conoscersi e a diventare amici. Nel frattempo la classifica si fa preoccupante e nuovi e vecchi giocatori non sembrano in grado di migliorare la situazione. Da parte loro, sia il Vecchio che il Giovane si trovano ad affrontare problemi personali ed eventi inaspettati, ma nonostante tutto il pensiero della prossima partita, e dello stadio, dà loro un motivo per andare avanti, e sperare. Nella salvezza della propria squadra e, chissà, in giorni migliori. E intanto entrambi non sono più soli.

“Un bellissimo romanzo sul bellissimo gioco” Jonathan Pearce

Per dieci mesi all'anno, due uomini sono attratti dai posti adiacenti in uno stadio, portando il peso della vita e riversando tutte le loro speranze nella loro amata ma malandata squadra. Orfano di padre e irrequieto, il Giovane sta cercando di coltivare una nuova relazione precaria e di trovare il suo posto nel mondo. Il Vecchio, sempre più isolato mentre si prende cura della moglie ormai in fin di vita, sa di avere ben poco da aspettarsi dalla vita. Nessuno dei due tifosi è un gran chiacchierone. Tuttavia, in un lento susseguirsi di cenni, silenzi e conversazioni caute, i due stringono una timida amicizia che supera il divario generazionale. Raccontato attraverso trentotto capitoli, uno per ogni partita della stagione della Premier League, Season è uno studio lirico, ipnotico e delicatamente edificante sulla solitudine e la mascolinità moderna. Molto più che un semplice racconto sul calcio, celebra il ruolo curativo, unificante e esasperante dello sport ritualizzato nella vita della gente comune.

24 novembre 2025

[MISTER FOOTBALL] "Gerry Harrison, il commentatore instancabile di ITV" di Roberto Gotta

Qualche mese fa è scomparso Gerry Harrison, 89 anni, telecronista di vastissima esperienza, attivo soprattutto, nel periodo della maturità, con Anglia Television, la rete locale di Norwich City e Ipswich Town, ma anche commentatore di cinque edizioni dei Mondiali di calcio per la ITV, l’alternativa alla BBC nata nel 1955.

Anche la sua vita, come quelle di tantissime persone che hanno vissuto anni meno comodi e logisticamente meno facili di quelli attuali, è piena di aneddoti e fatti curiosi, che qui riporto proprio come lettura leggera e significativa di un periodo in cui, appunto, ci si doveva arrangiare molto di più e i risvolti curiosi erano dietro l’angolo. Ad esempio, un giorno gli venne chiesto di scrivere l’articolo su una partita della Oxford University, cosa che fece con una certa ansia perché… quella partita la doveva anche giocare, come terzino sinistro, ruolo che ebbe anche nella tradizionale sfida contro Cambridge, giocata a Wembley. Nel periodo di passaggio tra un lavoro e l’altro fu inviato anche dal quotidiano Daily Express a seguire la guerra in… Vietnam , esperienza che - disse - gli fu utile quando per fare telecronache dovette salire scalette a precipizio in mezzo a tifosi ostili.

La sua carriera di telecronista ai Mondiali si aprì nel 1970 in maniera casuale, e le circostanze fanno davvero sorridere. Nel 1969 infatti la BBC aveva organizzato un concorso chiamato ‘Find a commentator’, in pratica un’audizione aperta a chiunque volesse diventare telecronista. L’idea fu di un nome noto, David Coleman, e il testo del bando, pubblicato dal settimanale Radio Times, diceva «pub e circoli sportivi sono pieni di gente che pensa realmente di essere migliore del telecronisti attuali, ma in realtà pochi capiscono il livello di specializzazione richiesto. Ora possono scoprirlo», frase che peraltro sostituendo ‘i social media’ a ‘pub e circoli sportivi’ varrebbe tuttora. 

I quasi 10.000 aspiranti furono sottoposti a una estenuante serie di provini in diverse città (Cardiff, Bristol, Leeds, Birmingham, Newcastle, Belfast, Londra, Manchester) che produssero 30 selezionati, chiamati a fare la telecronaca (fuori onda) di Irlanda del Nord-Inghilterra dell’indimenticabile Torneo Interbritannico, giocata pochi giorni prima. I migliori 12 furono poi portati a Wembley a commentare Inghilterra-Galles: sei fecero il primo tempo e sei il secondo, e i sei finalisti furono presentati la sera del 22 maggio durante un’edizione speciale del programma Sportsnight, condotto proprio da Coleman. Tra i membri della giuria c’era Alf Ramsey, Ct della nazionale, e pensate se accadesse oggi in Italia, con Gennaro Gattuso (o Luciano Spalletti o chiunque sia stato Ct) a giudicare l’operato di un telecronista. 

Pare tra l’altro che Ramsey non gradisse per nulla la presenza tra i sei finalisti di Ian St.John, attaccante scozzese (ahia) del Liverpool e già avviato ad una carriera radio-tv: fu convinto a fatica ad accettarla, dopo aver addirittura minacciato di rinunciare a farsi intervistare dalla BBC ai Mondiali dell’anno successivo. Il vincitore fu un gallese, Idwal Robling, ex nazionale dilettanti, che fu poi parte della squadra BBC a Messico 1970 ed ebbe una bella carriera con la BBC in Galles. E Harrison, da cui è partito questo racconto in attesa del tè? Arrivò terzo, ma presto, grazie alle immagini dello spezzone di partita che aveva commentato, venne chiamato da Anglia Television, branca locale di ITV. E pochi mesi dopo ai Mondiali andò pure lui, perché ITV ottenne i diritti in parallelo alla BBC e lo assegnò alle partite dell’Italia nel girone. 
In Messico, però, rischiò di essere travolto dalla folla, ma non per le sue cronache: un giorno infatti un addetto dell’hotel in cui Harrison soggiornava vide che una stanza era prenotata da ITV a nome di ‘G.Harrison’, pensò che si trattasse di GEORGE Harrison, il batterista dei Beatles invitato speciale dalla rete, lo disse ad alcuni amici e tempo poche ore davanti all’albergo si radunò una folla di fan del gruppo inglese.

Ma non finisce qui, la storia di Harrison, che ha a che fare anche con un cane e un taxi. Ne riparliamo la prossima volta, sempre davanti a un tè.

21 novembre 2025

"A LONDRA CON SHERLOCK HOLMES. Sulle orme del grande detective" di Enrico Franceschini (Ed. Perrone), 2020

Sherlock Holmes, l'uomo che non ha mai vissuto e che mai morirà, e Londra, "quel grande pozzo nero dal quale tutti i perdigiorno e gli sfaccendati dell'Impero vengono irresistibilmente inghiottiti". Enrico Franceschini disegna un itinerario alla scoperta della metropoli seguendo le tracce del padre di tutti i detective, dal 221B di Baker Street per arrivare al Langham Hotel, dove Conan Doyle incontrò Oscar Wilde ed ebbe la prima idea per Uno Studio in rosso, al St. Bartholomew's Hospital, il più antico ospedale di Londra, nel cui laboratorio Holmes incontra il dottor Watson. Quella Londra, tentacolare e multiforme, più di un secolo dopo continua ad ammaliarci, a inghiottirci, nulla è cambiato. Attraversarla significa dilatarne la percezione, moltiplicarne le identità. Comprenderla rivela l'innesto delle storie nella Storia.

20 novembre 2025

RUGBY. "TRA VERITA’ E LEGGENDA" di Giuseppe Lavalle

Era un pomeriggio invernale del 1823, il cielo britannico non prometteva niente di buono e la vita di alcuni ragazzini si stava consumando dietro ad un pallone.
Fuori dal rettangolo di gioco, perso nei suoi tormenti, William Webb Ellis guardava quel gruppo muoversi come uno stormo, come un battaglione in pieno combattimento. La testa andava lì, al padre morto in una delle tante guerre che l’esercito di Sua maestà combatteva in giro per il mondo.
Su quel campetto della Public School Ellis ci era finito grazie ad una borsa di studio per orfani di guerra. Messo lì per decisione di altri, a rispettare regole fatte da altri e ad inseguire quello che altri ritenevano giusto per la sua vita.
Nato a Manchester, di origine irlandese, ora Ellis si trovava nella cittadina di Rugby nel Warwickshire, tra l’indifferenza dei suoi pari età e la sua voglia di esplodere.

“In grave spregio delle regole del football di quel tempo…” come recita ora una lapide affissa su uno dei muri della scuola, Ellis iniziò a correre verso la palla, la prese e la strinse forte al petto, correndo tra i ragazzi che cercavano di fermarlo, arrivò sulla linea di fondo, schiacciò la palla a terra ed alzo le braccia la cielo.

Era nato il rugby!

È sul suo exploit, che ci sarebbero dei forti dubbi, anche perché, sembra che, all’epoca, in Inghilterra, il football fosse praticato in numerose varianti, che cambiavano di scuola in scuola e che venivano modificate, di anno in anno, dagli stessi studenti. In quel periodo, pare che, in alcune scuole, fosse permesso bloccare la palla con le mani. Era il trattenerla e correre, che era proibito. È plausibile, comunque, che all’interno di queste diverse regolamentazioni sia successo, in posti diversi e nel corso degli anni, che qualcuno abbia praticato una variante in cui fosse permesso correre con la palla in mano.

La storia di Ellis comparve per la prima volta nel 1876, quando un certo Bloxan pubblicò un articolo sul “Rugby Meteor”, il giornale locale. L’articolo si rifaceva alla storia raccontata da un testimone anonimo, che avrebbe assistito al gesto eretico di Ellis. Quando la Rugby Football Union decise di indagare, era già il 1895, Bloxam era morto da 7 anni, Ellis da quasi venticinque; gli investigatori della RFU interrogarono tutti quelli che, all’epoca dei fatti, frequentavano la scuola di Rugby.
Pochi però si ricordavano di Ellis. E quei pochi lo dipingevano come un giocatore di cricket. Ma, soprattutto, non avevano mai sentito parlare di quella corsa contro le regole. Quell’articolo, scritto 53 anni dopo quella mitica corsa con il pallone in mano, basato interamente sui ricordi di un misterioso testimone, resta il solo indizio di un qualcosa che forse è accaduto, forse no. Ellis, senza saperlo, aveva dato vita, con il suo gesto, ad uno sport, una passione che oggi vive ancora.
Davanti alla sua tomba, nel Cimitero del Vecchio Castello a Mentone (Francia), di fronte al mare, Ellis ora è lì seduto con un pallone tra le mani e si compiace al pensiero di cosa ha scatenato quella sua corsa contro le regole.
di Giuseppe Lavalle

18 novembre 2025

"COME PICASSO E VAN GOGH. La storia di John Super Tramp Robertson" di Armando Napoletano (Ed. Giacchè), 2025


Due Coppe dei Campioni consecutive conquistate al tramonto degli anni ’70 lasciando il suo marchio indelebile: assist vincente per il gol di Trevor Francis nella finale bavarese contro il Malmö e gol decisivo all’Amburgo di Magath dodici mesi dopo a Madrid.
Bastano questi dati per descrivere in sintesi cosa ha rappresentato lo scozzese John Neilson Robertson, oggi 72enne, nella storia del Nottingham Forest.
Un mancino terribile. Ne raccontiamo la storia seguendo il tracciato disegnato da Brian Clough con il suo Forest, una squadra che resta leggenda.

17 novembre 2025

ARSENAL. "HIGHBURY ROAR" di Simone Galeotti

Charlie George non si reggeva più in piedi. Acciaccato, malconcio. Guardò Mee in panchina e scrollò la testa come per dire, “Dai forza, butta dentro quel ragazzo che tanto qui ci hanno fatto un discreto culo, e la coppa potrebbero già consegnargliela questa sera a Bruxelles”. Mancava più o meno un quarto d’ora alla fine della partita d’andata e i gunners erano sotto 3-0 contro i bianco malva dell’Anderlecht padroni di casa. Ad un tratto Bertram Mee, detto Bertie, allenatore dell’Arsenal, club in secca di vittorie da qualcosa come diciassette anni, si voltò, increspò per un attimo la fronte socchiudendo le palpebre, e fece cenno al diciottenne Ray Kennedy di entrare.
Ray che era nato nel villaggio di Seaton Delaval di cui nemmeno le carte geografiche conoscevano l’esatta l’ubicazione, aveva il naso grosso, gli occhi di un colore indefinito, un bel ributto di capelli scuri e una finestrina fra gli incisivi. Entrò in campo come farebbe una busta di plastica trascinata dal vento, non toccando nemmeno un pallone, anzi no, per tutte le polveri del cannone, uno lo toccò. Di testa, l’unico. Il fatto è che lo metterà in rete, e allora quella benedetta Coppa delle Fiere, non sembrò essere già sciaguratamente persa.

Ma te guarda alle volte i ragazzini.

Sei giorni dopo, le cancellate nere di Islington sgocciolavano acqua. Una pioggia obliqua, sferzante, cadde su Londra per tutta la giornata del 28 aprile 1970. In migliaia si avvicinarono alla grande facciata in Art Decò della East Stand che guarda su Avenell Road. Lucidissima, la grande scritta a caratteri rossi “Arsenal Football Club” pulsava come un cuore sulle sue arterie fatte di piccoli spazi pubblici, pub che si sforzavano di appagare l’occhio fra angoli anneriti, vicoli stretti e vialetti di case a schiera. “Bridge over troubled water” di Simon & Garfunkel stava scalando velocemente la Hit dei singoli più venduti in UK, mentre in 50.000 (stando ai tabellini ufficiali) quella sera scaleranno, ancora più rapidamente, i gradini di Highbury.

Tutto paranoicamente, febbrilmente pieno. Northbank, Clock End, Tribuna Est e Ovest.

Il busto di Herbert Champman nella meravigliosa Marble Hall, pareva aspettare trepidante, custodito in una nicchia dalla possente emanazione sacrale. Uomo fiero, pieno delle sue certezze, forse il più grande allenatore inglese di ogni tempo, di sicuro colui che in quaderno scarabocchiò quel benedetto sistema a cui tutti vorranno dare una sbirciata.
Le bandierine triangolari dei corner con la scritta AFC indicavano senza soluzione di continuità che la brezza quella sera arrivava dalla foce del Tamigi. Roba da libri di Joseph Conrad. Il terreno di gioco apparve subito pesante, inclemente, scomodo, con i bagliori dei riflettori avviluppati da una leggera nebbiolina che inconsciamente aumentarono i sintomi da seduta psichiatrica per un club atteso a rispondere delle sue angosce, dei suoi problemi, e magari provare a risollevarsi almeno per una notte.
L’arbitro? Un tedesco dell’est guardato a vista da eminenze grigie della Stasi di nome Gerhard Kunze.
Sarebbe occorso subito uno di quei tonici ricostituenti tipo quelli alla radice di ginseng. Lo servirà dopo una ventina di minuti Eddie Kelly che oltre la faccia da donnaiolo impenitente, ne mostrò un’altra da monaco abbaziale, e senza pensarci troppo da fuori area riscaldò muscoli e cervello con un corroborante destro che permise all’Arsenal di passare in vantaggio.

“A r se nal, A r se nal, A r se nal”.

Profano eppure seriamente liturgico, incessante preghiera che si riverberava a ondate lungo e oltre lo stadio. Oh, diciamo serviva almeno un altro goal. E’ sarà un capolavoro, come quelli di Pierre Bonnard e Paul Gauguin che saranno rubati poco tempo dopo in un appartamento di Regent’s Park mandando in confusione mezza Scotland Yard.

Uno dei due dipinti, un olio su tela, si chiamava La fanciulla seduta in giardino. La stessa sensazione probabilmente provata da Jean Marie Trappeniers, estremo difensore dell’Anderlecht, dopo che uno scambio fra George Graham e il terzino Bob McNab aveva portato quest’ultimo (restando in tema) a pennellare un cross perfetto per la testa biondiccia e infangata di John Radford bravo a incrociare la palla in rete siglando il raddoppio dei suoi e alzando al massimo i decibel di Highbury. I belgi accusarono il colpo, la pressione di dover reagire per forza. Quando Jan Mulder colpirà il palo, un fremito di paura rapirà gli occhi dei presenti e fu il segnale che il lavoro era ancora da portare a termine.
E quindi giunse il momento di Jon Sammels, uno dalla faccia pulita come un pastore all’alba. D’altro canto veniva dal Suffolk e di campagna, di bella campagna con i cottage in pietra dal comignolo fumante e dagli infissi bianchi da cartolina, se ne intendeva abbastanza. Si intendeva anche di calcio, ovvio. Nel 1965 segnerà una doppietta al Brasile in amichevole seppure vada detto per onor di cronaca che i campioni del mondo erano privi della loro perla nera Pelé. In ogni caso si guadagnerà qualche presenza con le selezioni giovanili dell’Inghilterra. Ci sarà pure un momento difficile per lui con i tifosi ma questa è un’altra storia. Quel giorno lasciò partire un diagonale colto e ordinato da 30 metri che non lasciò scampo ai belgi ormai respinti con perdite.

Arsenal 3 Anderlecht 0. Frank McLintock, il capitano, finirà abbracciato, spinto, sollevato dalla folla e dai compagni, alzando sopra le teste di tutti la Coppa delle Fiere dichiarando che il digiuno era finito. Aveva ragione perché nella stagione successiva Highbury mise su diversi chili… Bumm.

14 novembre 2025

"BOBBY CHARLTON. Leggenda del Calcio Inglese" di Jonathan Reid (Sperling & Kupfer). 2025

Sir Bobby Charlton è una delle figure più iconiche della storia del calcio. Campione del mondo con l’Inghilterra nel 1966 e simbolo indiscusso del Manchester United, la sua carriera ha segnato un’epoca. Questo libro tributo ripercorre la sua straordinaria vita, dagli esordi nei campi polverosi dell’Inghilterra del dopoguerra fino alla consacrazione come uno dei più grandi giocatori di tutti i tempi. Oltre ai successi sportivi, il libro esplora la sua dedizione, il suo spirito di squadra e il ruolo chiave avuto nella ricostruzione del Manchester United dopo la tragedia di Monaco del 1958. Con aneddoti esclusivi, curiosità e dettagli sulla sua incredibile carriera, il lettore scoprirà l’uomo dietro il mito. Un viaggio emozionante che racconta non solo il calciatore, ma anche l’icona che ha ispirato generazioni di appassionati. Dalle vittorie in campo ai riconoscimenti fuori dal rettangolo di gioco, Bobby Charlton ha lasciato un segno indelebile nella storia del calcio.

13 novembre 2025

"LA PRIMA VOLTA" di Stefano Faccendini

In seguito alla pubblicazione del libro “Sogni e realtà” sul calcio inglese e la FA Cup, mi sono trovato a rispondere a qualche domanda relativa a questa mia passione. Quando è iniziata, perché, a quante partite sono stato, quali squadre seguo. 
Le risposte non sono sempre agevoli come sembrano, un po’ perché non ho contato, un po’ perché le ignoro. Una cosa ricordo bene, la mia prima partita dal vivo. Era il dicembre 1989. Stavo passando un mese su questi lidi per imparare la lingua, visto che le poche ore di scuola non mi permettevano di arrivare al livello necessario per leggere Match e Shoot senza vocabolario accanto. Non ricordo bene come ma mi ritrovai in un paesino sulla costa, Lancing, non troppo lontano da Brighton. Fu all’arrivo lì, di notte, con l’ultimo treno, che feci conoscenza con l’apertura esterna delle porte descritta anche nel libro pubblicato qualche mese fa. Tre weekend, tre partite. Chelsea, Spurs, Arsenal. Tre nomi da brivido. Biglietti comprati al botteghino, entusiasmo alle stelle, quello di quando pensi di sognare ad occhi aperti.

La prima partita è a Stamford Bridge. Arrivo la mattina presto. Da Victoria Station me la faccio a piedi, sono quasi cinque Km ma voglio vedere tutto, in metro non vedrei nulla. Camminando in un negozio di libri usati vedo un Rothmans dell’anno prima in vendita per un paio di sterline. La reazione è quella da primo premio nella lotteria di capodanno. Passerò mesi a studiare nomi, soprannomi e record di ogni club delle prime quattro serie del calcio inglese. Fa un freddo cane, sono bardato come si deve ma nei pressi dello stadio vedo gente con la maglia a maniche corte del club e basta. Rimango affascinato. Il programma lo accarezzo come fosse la Sacra Sindone. L’odore degli hot dog cucinati con cipolle talmente grandi che pensavo fossero patate fritte mi riempie le narici e tutt’oggi, ogni volta che lo sento appropinquandomi nei pressi di uno stadio, vengo ricatapultato 30 indietro a quel pomeriggio.

Del Wimbledon non era molto che si parlava ma avevano vinto la FA Cup ai danni del Liverpool un anno prima. Nonostante questo tutti, ogni anno, si aspettavano, e si auguravano, che sparissero dalla First Division
. Erano sempre guardati e giudicati con sufficienza. Io feci lo stesso sbaglio quel due dicembre 89, soprattutto quando Kerry Dixon portò in vantaggio i padroni di casa dopo neanche un minuto. Il Chelsea aveva in squadra, oltre ad uno dei centravanti più in forma del momento, gente come Tony Dorigo, Micky Hazard, Graham Roberts e Ken Monkou. In porta avevano Dave Beasant, il grande ex della partita. Un minuto dopo Terry Gibson aveva ristabilito la parità. A fine primo tempo il risultato era 2-3 ma nella seconda parte non furono i giocatori di casa a farsi onore quanto piuttosto quelli in trasferta a divertirsi. Il punteggio finale fu di 2-5 con una doppietta ciascuno per Gibson e Dennis Wise, anche lui di lì a poco eroe dei Blues, più ciliegina dell’eterno vecchio Alan Cork.

Osservavo tutto, il settore ospiti composto da semplici gradoni scoperti, la famosa Shed, piena, dalla parte opposta. Il resto scarsamente popolato, non si arrivava a 20mila persone, ma mi sembrava il posto più bello del mondo, nonostante le macchine parcheggiate dentro lo stadio, dietro una delle due porte. Cercavo di afferrare i canti, di parlare con chi mi stava a portata di orecchio disperato di non fare la figura di un semplice curioso, magari non ero tifoso del Chelsea ma di sicuro già mi sentivo quasi un esperto di calcio inglese. Dopo 90 minuti.

Difficile descrivere il sentimento di silenziosa euforia, di appagamento, di soddisfazione in quel viaggio di ritorno verso Lancing, consapevole che in una settimana sarei tornato a vedere un’altra partita e che il mistero della maniglia esterna non mi avrebbe fatto più paura.

11 novembre 2025

"FUORI DAL SILENZIO. La Vita Coraggiosa di Justin Fashanu" di Romolo Bruginolfi (Urbone), 2025


La storia di un uomo che ha sfidato tutto: il pregiudizio, la paura, il silenzio.
Justin Fashanu è stato il primo calciatore professionista al mondo ad avere il coraggio di dichiarare pubblicamente la propria omosessualità. In un’epoca in cui il calcio non perdonava la diversità, Fashanu ha scelto la verità, pagando un prezzo altissimo ma lasciando un’eredità immensa. Questa biografia racconta il suo viaggio – dagli esordi nelle giovanili inglesi ai riflettori della Premier League, fino alla solitudine e alla rinascita spirituale – restituendo voce e dignità a un pioniere dimenticato. Un libro che parla di calcio, certo, ma anche di libertà, coraggio e identità. Perché la vera vittoria, a volte, è dire al mondo chi sei.

10 novembre 2025

TRIPS. "FOREVER TRUE" di Stefano Conca

Eccomi qua, sono le tre di mattina e mi trovo seduto all’interno del terminal delle partenze dell’Aeroporto Internazionale di Birmingham. Una poliziotta mi ha appena svegliato dopo un paio di ore di sonno, voleva sapere se stessi bene. Effettivamente dopo una simile batosta non saprei cosa rispondere. Ma vediamo di rimettere insieme i pezzi di quella che è stata una lunghissima giornata.

È martedì, si gioca un turno infrasettimanale e il Millwall, dopo una lunga striscia positiva (quattro vittorie e un pareggio) e ancora imbattuto fuori casa in questa stagione, è impegnato nella difficile trasferta sul campo del Birmingham. Sveglia puntata alle sei del mattino, il volo per l’aeroporto di Manchester parte con un’ora di ritardo e per poco non perdo il bus che mi porta a Birmingham. Pioviggina, il traffico sulla M6 è abbastanza sostenuto ma tuttavia è scorrevole. Lentamente vedo scorrere fuori dal finestrino le uscite di Crewe, Stoke on Trent, Wolverhampton, West Bromwich, intravedo la sagoma del Bescot Stadium, casa del Walsall, e nei pressi di Birmingham riesco anche a distinguere l’inconfondibile profilo del Villa Park. Se allargo leggermente la mappa sul mio telefono cellulare compaiono da Nord a Sud e da Est a Ovest, nel raggio di un centinaio di chilometri, forse due al massimo, le città di Liverpool, Wigan, Bolton, Stockport, Preston, Blackburn, Rochdale, Burnley, Bradford, Leeds, Chester, Wrexham, Sheffield, Derby… Luoghi che trasudano football. E non è un caso che che proprio qui, in quello che è stato il cuore pulsante della rivoluzione industriale, circa centocinquant’anni fa le masse di operai con le loro famiglie hanno pensato di inventarsi un passatempo per tenersi impegnati il sabato pomeriggio. Il bus si ferma a Digbeth dove scendo e incontro la pioggia che scende incessante. Ad accogliermi fuori dalla stazione dei bus di Birmingham c’è un gigantesco murale dedicato ai Black Sabbath, opera dell’artista locale Mr Murals. Non sarà l’unico tributo della città alla band che qui ha avuto i natali. Dello stesso autore, a qualche centinaio di metri, lungo la facciata degli studi cinematografici di Digbeth si trova un altro murale dedicato alla celebre serie TV di Netflix Peaky Blinders che qui è stata girata.

Ma non perdo tempo e mi precipito alla stazione dei treni di New Street al cui interno si trova il Raging Bull, un gigantesco toro di bronzo dalle sembianze meccaniche alto più di dieci metri. Ideato in occasione dei giochi del Commonwealth nel 2022 rappresenterebbe il passato industriale della città in contrasto con il suo carattere animoso e moderno. Oggi il toro è stato rinominato ufficialmente con il nome di “Ozzy” in onore della celebre rock star Ozzy Osbourne. Non è raro incontrare altri tori in giro per Birmingham dal momento che l’animale è il simbolo della città e lo stesso quartiere dove sorge la stazione centrale di Birmingham prende il nome di Bull Ring.

Visto che sono abbastanza in anticipo salgo su un treno che mi porta a Witton nel quartiere di Aston. Qui si trova lo splendido Villa Park, casa dell’Aston Villa. L’impianto, inaugurato nel 1897 e progettato dal celebre architetto Archibald Leitch, è un vero gioiello; sebbene oggi abbia una capacità di poco più di 43.000 posti, in passato poteva ospitare più di 70.000 spettatori. Il record di presenze risale al 2 marzo del 1946, in occasione del match contro il Derby County, a cui assistettero più di 76.000 spettatori. La sola Holte End, di cui rimane la celebre facciata, poteva ospitare più di 30.000 spettatori.

Su un muro nelle vicinanze si trova anche un bellissimo murale, l’ennesimo, dedicato a Ozzy Osbourne, leggenda del rock recentemente scomparsa, grande tifoso dell’Aston Villa e che proprio qui al Villa Park ha tenuto il suo ultimo concerto qualche mese fa, poco prima di lasciarci. Che la terra gli sia lieve, R.i.P. Ozzy!

Continua a piovere e non mi resta che trovare riparo al Witton Arms, storico pub della zona, nonché quartier generale dei tifosi dell’Aston Villa che qui si ritrovano a sorseggiare qualche pinta prima di ogni partita casalinga. Riprendo il treno per New Street, passo di nuovo sotto al toro gigante, e mi incammino verso l’ultima tappa che mi ero prefissato prima di iniziare a incamminarmi verso St. Andrew’s: il Black Sabbath Bridge, ennesimo tributo della città alla celebre band. Vi si trova una panchina su cui sono rappresentati i volti dei quattro musicisti e su cui sono depositate decine e decine di mazzi di fiori, nastri e bandiere di ogni nazionalità per rendere omaggio alla più grande band Metal mai esistita.

Mi incammino lungo il Gas Street Basin, storico bacino fluviale con il suo mix di architettura industriale ed edifici moderni al cui interno si trovano diverse chiatte ormeggiate. Oggi dovrebbe fungere da vivace centro sia per il patrimonio industriale che per il tempo libero ma è già buio e piove che Dio la manda per cui non mi resta che incamminarmi spedito verso St. Andrew’s. Ripasso nuovamente dalla stazione che ormai è disseminata di agenti in vista dell’arrivo di un migliaio di tifosi del Millwall. Prendo al volo il bus n.6 e non c’è bisogno di sapere dove devo scendere, anche se i vetri sono completamente appannati quando si ferma davanti a St. Andrew’s scendono praticamente tutti. Sono fradicio, e penso di avere l’acqua anche nelle mutande ormai. Faccio prima una sosta nel Blues Store per comprare un paio di souvenir come da tradizione, la sciarpa del club locale e la spilla ufficiale sono un cimelio irrinunciabile per un appassionato di una qualsiasi squadra di calcio, la prima volta che si visita uno stadio nuovo.

Manca poco meno di un’ora al calcio d’inizio e la zona dedicata ai tifosi locali nel piazzale antistante lo stadio è già gremita. Scatto un paio di foto alla statua dedicata a Trevor Francis, eroe amato da queste parti e che qui giocò prima di approdare al Nottingham Forest di Clough e successivamente alla Sampdoria. Non lontano, alle spalle della Tilton End c’è anche un murale dedicato al celebre campione scomparso da poco, accanto a lui è raffigurato anche un giovane Jude Bellingham, anche lui cresciuto nelle giovanili dei Blues. Peccato che la vista sia parzialmente coperta da un’ambulanza parcheggiata proprio sul davanti.

Alle 18.55, dopo un’attenta perquisizione da parte degli agenti, faccio ufficialmente il mio ingresso nel settore ospiti del St. Andrew’s dove molti tifosi del Millwall devono ancora arrivare, anche se la zona del bar è già affollata e l’entusiasmo dopo la lunga striscia positiva delle ultime gare è palpabile. Completamente fradicio e infreddolito non me la sento di bere una birra, opto per il famigerato Bovril, accompagnato da una pie a base di carne al cui interno la temperatura raggiunge tranquillamente i centocinquanta gradi celsius anche dopo 20 minuti in uscita dal forno. Un vero toccasana per le giornate fredde e piovose. Poi come al solito mi capita di incontrare il tifoso venuto da Londra, quello venuto dall’Essex, quello nato e cresciuto a South Bermondsey ma che adesso vive a Watford, e inizio a scambiare quattro chiacchiere cercando di sbilanciarmi in un pronostico favorevole. Nonostante l’ottimismo per la quarta posizione in classifica, si percepisce tuttavia anche la sensazione, condivisa da molti che, comunque, nonostante i risultati positivi, il Millwall abbia fin qui ottenuto molto più di quello che avrebbe meritato, dal punto di vista del gioco ma soprattutto, numeri alla mano, per la differenza reti, che se confrontata con quella delle altre squadre, con sedici gol fatti e quindici subiti in tredici incontri disputati, appare piuttosto sconcertante. A pesare è sicuramente la sconfitta interna contro il Coventry capolista, con quattro gol subiti al Den. Le vittorie contro il West Brom in casa e il successo a Loftus Road contro il QPR nonché le due successive vittorie interne contro Stoke e Leicester hanno però permesso di tornare a guardare alla stagione con rinnovato ottimismo. Tuttavia, la mancata vittoria sul terreno dell’Oxford dello scorso fine settimana ci ha riportato con i piedi per terra. Si sa che la stagione è molto lunga e può succedere ancora di tutto. Appunto…

Le due squadre scendono in campo salutate dal boato degli oltre venticinquemila spettatori in un clima incandescente. Quella dei Blues è una tifoseria davvero tosta, tanto che nessuno sembra accorgersi di quello che sta succedendo sul terreno di gioco nei minuti iniziali. L’atmosfera è abbastanza ostile ma nei primi venti minuti non succede molto in campo e i più di mille sostenitori del Millwall si fanno sentire a gran voce con il classico No One Likes Us!” intervallato da insulti e sfottò di ogni tipo.

Al ventottesimo minuto però i Blues scendono sulla fascia destra con troppa facilità e la difesa del Millwall è completamente aperta, Paik Seung-Ho riceve palla all’interno dell’area di rigore, ha tempo di stoppare e di far partire un sinistro che rimbalza a terra e si infila alla sinistra di Crocombe. È un boato, siamo sotto ma è il momento di reagire subito. I tifosi ci credono, la squadra un po’ meno, le tifoserie si rispondono colpo su colpo, in campo invece c’è una sola squadra, i Lions sembrano incapaci di aggredire, la squadra sembra spenta, qualcosa a centrocampo non funziona e dietro si continua a rischiare. Poco prima dell’intervallo, su una ripartenza perdiamo palla a centrocampo, basta un bello scambio tra due attaccanti del Birmingham e i nostri sembrano immobili. Assist a centro area per Grey che la sfiora appena e siamo sul 2-0. Il St. Andrews è una bolgia, noi rispondiamo con gli insulti, proviamo ad incitare i nostri ma si percepisce che le cose si stanno mettendo veramente male. Il momento peggiore è quando tutt’intorno a noi, i venticinquemila iniziano a intonare “Forever True” degli UB40. Per fortuna arriva il fischio dell’arbitro e andiamo tutti a prendere una birra con la speranza di vedere un atteggiamento diverso nella ripresa da parte dei nostri.

Inizia il secondo tempo, passano tre minuti e loro fanno il terzo. A questo punto non conta più quello che succede sul campo. Loro sono al settimo cielo mentre tra di noi serpeggiano tanta amarezza e una certa frustrazione, ma non ci dobbiamo far intimidire. Ormai sono rimasti in pochi ad incitare la squadra, la maggior parte di noi è intenta a gettare occhiate ai tifosi che ci insultano e ci sbeffeggiano, rispondiamo con il più classico “come outside!” e qualche steward è costretto ad intervenire per placcare gli animi. Passano poco più di quindici minuti e loro ne fanno un altro, a questo punto un gruppo numeroso dei nostri prende e se ne va, non è bello, ma vedere che la squadra non tenta nemmeno di salvare la faccia è davvero frustrante. Siamo sul 4-0 ma i gol potrebbero anche essere di più e mentre tutt’intorno esplode la festa, la sensazione è che per noi sarà una serata ancora lunga, umida e fredda. Molti si sono già precipitati ai pullman, qualcuno scriverà che al sessantaseiesimo minuto più di cinquecento tifosi del Millwall venivano scortati fino alla stazione… Rimaniamo in centocinquanta, forse duecento. Solo un padre con il suo figlioletto di dieci anni sono rimasti a fronteggiare gli oltre venticinquemila del St. Andrew’s, tanto che ancora una volta gli steward sono costretti a intervenire, questa volta con l’aiuto anche dalla polizia, scortando all’esterno il signore con il ragazzo in questione, ovviamente sotto una pioggia di insulti. Non succede molto altro fino al novantesimo per fortuna e il fischio finale sembra arrivare come una liberazione.

Gli uomini guidati da Neil provano poi ad avvicinarsi ai pochi dei nostri rimasti ma ricevono una valanga di “boooo”, c’è chi pretende delle scuse ovviamente e io potrei essere tra questi, anche se alla fine preferisco applaudire comunque i ragazzi. Ci sarà tempo per riflettere sulle cause di una simile debacle e soprattutto per metabolizzare la sconfitta, a cominciare da sabato prossimo, in casa contro il Preston, che vincendo domani potrebbe portarsi davanti a noi in classifica. A proposito di classifica, nonostante l’umiliazione di questa sera siamo ancora quarti ma il Coventry di Lampard, nel frattempo, ha vinto (nel primo tempo era sotto) e guarda tutti sempre più dall’alto, il Boro ha pareggiato, mentre il Bristol City ha perso in casa, il Charlton ha battuto il West Brom e lo Stoke è andato a vincere a Oxford. Come se non bastasse, con la vittoria di questa sera al St. Andrews, crescono sempre più anche le ambizioni dei Blues. Con la sola eccezione del Coventry, unici grandi favoriti quest’anno a mio modo di vedere, ci sono molte squadre racchiuse in pochi punti. Questo fa certamente riflettere su quanto sia equilibrata, divertente e allo stesso tempo imprevedibile la Championship.

Mentre esco sento ancora risuonare dagli altoparlanti le note di Forever True”, saluto alcuni tifosi che salgono sui pullman e mi incammino sotto la pioggia tra la moltitudine dei tifosi dei Blues verso la stazione dei bus dove prendo l’X1 diretto a Coventry via Birmingham Airport.

Sono le sei di mattina all’Aeroporto Internazionale di Birmingham, tra poco mi imbarcherò per Milano. Nel frattempo, mi sono quasi asciugato, ho messo sotto carica il cellulare, ho mandato qualche messaggio a casa. Poi ho dormito un paio di ore e sono stato svegliato da una poliziotta che gentilmente mi ha chiesto se stessi bene. Mi sono bevuto un cappuccino caldo e ho scritto queste righe di getto così come veniva, per cercare di tracciare un bilancio di queste ultime ventiquattr’ore e chiedermi se ne sia valsa la pena. Carta di credito alla mano, inizio a scorrere le date del calendario e prenoto i biglietti per la prossima trasferta.
di Stefano Conca

9 novembre 2025

🇬🇧UK in ITALY. MISTER FOOTBALL. Il mensile di calcio inglese del Guerin Sportivo (2007-2009)

"Che cosa vorrebbe essere Mister Football? Un mensile che del calcio britannico vuole raccontare quel che di solito non c'è spazio di narrare ma che ha lassù un importanza notevole, che va conosciuta". 
Cosi Roberto Gotta presentava la nuova rivista del Guerin Sportivo (Direttore di allora Matteo Marani) interamente dedicata al calcio britannico.
Il primo numero è uscito nel febbraio del 2007 fino al marzo 2009 per un totale di 26 uscite mensili. Per chi non lo conosceva, cosa vi siete persi..



7 novembre 2025

"VINTAGE FOOTBALL L’epica del calcio inglese: un racconto in trenta partite" di Alessio Torluccio (Ultrà). 2025


Avete presente lo spettacolo ammaliante della Premier League? Ecco, in Vintage Football non lo troverete. Invece di stadi patinati, telecamere ovunque e giocatori atletici e luccicanti di gel potrete godere del racconto di trenta partite del “vecchio” campionato inglese, quello che si chiamava ancora First Division. Non pensate di sedervi comodi in poltrona, qui si sta in piedi, nelle standing areas, con una birra in mano ad alzare cori per la propria squadra. Qui ogni domenica c’è gente del posto che sostiene i colori locali, non ci sono social media, si tifa allo stadio, non online. Conoscerete storie epiche di piccole compagini che sfidano le grandi e ogni tanto le battono. Non entrerete nei teatri perfetti dell’Old Trafford o di Anfield, ma negli stadi un po’ decadenti di orgogliose società di provincia come il Plymouth, l’Oldham, il Sutton United, il Reading, lo Swansea o il Tranmere, oppure in quelli delle squadre di Londra meno vincenti, come il Millwall, il Wimbledon o il Crystal Palace. Ascolterete aneddoti gustosi e racconti al limite dell’incredibile, incontrerete personaggi genuini di cui troppo presto si è persa memoria. Un libro fuori moda? Certo, o meglio: un libro vintage, uno di quelli buoni per tutte le stagioni. Soprattutto questa.

6 novembre 2025

"DAL CAMPO ALLA TRINCEA" di Leonardo Aresi

“When football was football and footballers were men“. 
Come i calciatori del Regno Unito nel primo conflitto mondiale abbandonarono i campi da gioco per arruolarsi nell'esercito di Sua Maestà."

«When football was football and footballers were men». Nel periodo del primo grande conflitto mondiale, tra l’estate del 1914 e la fine del 1918, quasi tutti gli sportivi professionisti e dilettanti del Regno Unito si arruolarono volontariamente nell’esercito di Sua Maestà per proteggere la Madre Patria. Il 12 Dicembre del 1914, il conservatore William Joynson Hicks costituì il 17th Service Battalion of the Middlesex Regiment che comprese i giocatori di calcio. Alla guida del «Footballers’ Battalion» venne messo Frank Buckley: difensore del Bradford City con un passato nelle due squadre di Manchester e nel Birmingham. Buckley, fregiato del grado di maggiore, si distinse nella battaglia della Somme (nella foto sotto), sul fronte occidentale, dove gli alleati prevalsero sui tedeschi dopo una logorante guerra di trincea.
In quell’occasione fu ferito gravemente sia ai polmoni che alle spalle e quindi dovette fare ritorno in Regno Unito per essere curato. Ciò non gli impedì di riaggregarsi ai suoi uomini in occasione dell’offensiva contro i tedeschi ad Argenvillers nel Gennaio del 1917, che coincise con la sua ultima battaglia. Le pessime condizioni dei suoi polmoni costrinsero il maggiore a mettere definitivamente da parte le armi. Rientrato a casa, cercò di mettersi alle spalle i dolori della guerra ripartendo dal mondo del calcio. Il Norwich city lo ingaggiò come manager nel 1919. Poi, dal 1923 al 1927, affrontò una parentesi al Blackpool. Major Buckley, come continuarono a chiamarlo i suoi calciatori, lasciò però concretamente il segno nel Wolverhampton tra il 1927 e il 1944. Soldati inglesi durante la terribile battaglia della Somme

In quello spazio temporale costruì le basi dei successi nazionali in campionato e coppa dei Wolves degli anni ’50, valorizzandone l’academy e predicando una filosofia di gioco veloce e palla a terra. Ogni tifoso dei Lupi che si rispetti gli è grato per aver fatto firmare il primo contratto da professionista al leggendario capitano Billy Wright che a quelle latitudini ha portato 3 titoli nazionali, 1 FA cup e 3 Charity Shields oltre ad aver collezionato più di 100 presenze con la maglia dei Three Lions. La maggior parte dei componenti del battaglione dei calciatori, però, non furono fortunati a voltar pagina come Buckley. 

Tra i centinaia di caduti che deliziarono gli appassionati di calcio d’oltremanica prima dello scoppio delle ostilità ci furono Richard McFadden, William Jonas e George Scott del Leyton Orient, allora conosciuto come Clapton Orient, Evelyn Lintott del Queen’s Park Rangers, Duncan Currie, John Allan, James Boyd, Tom Gracie, Ernest Ellis, James Speedie e Harry Wattie degli Hearts, Patrick Slavin, Leigh R. Roose, Donnie McLeod, Archie McMillan, Robert Craig, John McLaughlin e Peter Johnstone del Celtic, David Murray, John Fleming , Jimmy Speirs e Walter Tull dei Glasgow Rangers. Quest’ultimo fu un vero e proprio rivoluzionario sia sul campo di battaglia che su quello calcistico.

Tull, orfano dalle origini paterne caraibiche, fin dalla sua infanzia si dimostrò una persona fuori dal comune. I suoi successi legati al pallone arrivarono già a diciotto anni con il Clapton nella London Senior Cup e FA amateur Cup, facendolo diventare il primo giocatore di colore a vincere dei titoli nell’ English Senior football. Nel 1908 il Tottenham Hotspur si accorse del suo talento e non se lo fece scappare. Walter Tull, un rivoluzionario diviso tra i campi di calcio e la trincea

Tull (nella foto a lato) divenne dunque il primo outfield player di colore nella storia della Top division inglese. Qualcosa non andò per il verso giusto con i Lilywhites e dopo solo 10 presenze e 2 reti venne relegato alla squadra riserve. Ciò nonostante ci fu chi volle continuare a credere nelle sue enormi potenzialità. Herbert Chapman, una figura leggendaria nel panorama calcistico britannico e mondiale, più avanti vero e proprio santone sulla panchina dell’Arsenal, difatti lo mise sotto contratto al Northampton Town. Qui Walter Tull trascorse i suoi anni più felici, collezionando 111 presenze e 9 reti.

Nel 1914 lo scoppio della prima guerra mondiale e il conseguente richiamo del battaglione dei calciatori interruppero i suoi fasti sul rettangolo verde. Gli anni della guerra misero in evidenza le sue grandi qualità di trascinatore e leader. Il nativo del Kent si distinse in 6 grandi battaglie, guadagnandosi addirittura il grado di officer nonostante ai tempi ciò fosse proibito agli uomini di colore. Di ritorno verso il Regno Unito, dopo aver condotto in modo valoroso una spedizione di 26 uomini sul fiume Piave, cadde sotto i colpi nemici in un’imboscata nel nord della Francia.

Ad aspettarlo in patria ci sarebbe stato un contratto con i Rangers, la squadra di cui era tifoso suo fratello Edward. Chissà se Tull sarebbe riuscito a guadagnarsi un posto nella Hall of fame di Ibrox Park, un onore riservato a pochissimi eletti. Fu commovente il memorial tra Spurs e Gers disputato nel 2004. Per il club di Govan e i suoi tifosi verrà sempre ricordato come un fallen ranger.
di Leonardo Aresi, da https://www.rivistacontrasti.it

4 novembre 2025

"F**K YOU, I'M MILLWALL" di Federico Farcomeni (Fan's Shop), 2019

No One Likes Us, We Don't Care...
È il motto degli hooligans del Millwall...già, ma quali hooligans? F-Troop? Bushwackers? Treatment? No, molto di più, anche perché tutto si confonde nell'anonimato di quel blocco unico e compatto che se ne frega delle gerarchie piramidali, chiamato Millwall Football Club. "F**k you, I'm Millwal!l" è il grido di guerra di chi è cresciuto in curva ma è anche un libro che si prefissa l'ambizione di guidarvi nel percorso della "piccola più grande del mondo", che ha abbracciato i difficili quartieri di Londra Sud-Est sin dalle origini, e tenta di spiegare l'ascendente che questo club ha avuto nel corso degli anni sulla tifoseria, la squadra e la società, componenti legate, per quanto provino a districarsi, in modo inscindibile. Storia, scontri, tradizione e fascino di un club mitico, punto di riferimento per le generazioni ultras di tutto il mondo. Per la prima volta in italiano, un libro originale edito da Fan's Editions che approfondisce gli aspetti più oscuri del Millwall, andando al di là dei pregiudizi e provando ad arrivare alle radici di un fenomeno inafferrabile. Seguiteci nella fossa...

3 novembre 2025

MEMORABILIA. "ADVENTURE FOOTBALL STAMP ALBUM" di Vincenzo Felici


























L'album delle figurine è storicamente un "cult", un rito che coinvolge grandi e piccini con una passione difficile da descrivere. "Il ce l'ho, mi manca" è una filastrocca entrata ormai nella routine degli scambi frenetici, quelli animati da una abitudine consumata nei posti più strani. L'odore della colla usata per appiccicare i cartoncini, come oggi quello delle figurine stesse sono diventati inseparabili compagni di viaggio degli accaniti collezionisti. 
Il prezioso cimelio di cui parliamo oggi risponde al nome di "Adventure Football Stamp", per l'appunto un raccoglitore di figurine "made in Great Britain" dalla ditta "D.C. Thomson" di Londra, risalente ai primi anni '30. Precursore quindi dei moderni albums con i quali ci dilettiamo oggi. 
Questo gioiello è impaginato in un formato a piccolo pallone d'epoca che ne garantisce la deliziosa originalità ed é costituito da ben ventisei foglietti, uno più bello dell'altro. Praticamente si foglia nel palmo di una mano. Dopo l'introduzione dell'editore e la composizione dell'indice si parte con la presentazione della First Division inglese, attraverso tutte le squadre partecipanti. Per ogni formazione viene tracciata una brevissima storia, caratterizzata dalla citazione dello stadio in cui gioca e dal suo palmares aggiornato. Altrettante figurine mettono in evidenza i colori sociali delle rispettive compagini e vengono adornate da curatissime vignette riproducenti le fasi di gioco.

Le pagine sono sormontate da una data significativa, che fa riferimento alla nascita di una competizione, o di una federazione o di un team. A seguire vengono introdotti sei bomber che tra Inghilterra e Scozia, nelle varie categorie di appartenenza, hanno gonfiato le reti avversarie a suon di goal: W.G. Richardson del West Bromwich Albion, E. Dodds dello Sheffield Town, J. McGrory del Celtic Glasgow, W. Walsh degli Hearts of Midlothian, A.G. Dawes del Crystal Palace e J. Calder del Greenock Morton. Le pagine scorrono e viene stilata la lista dei tornei più rilevanti: dalla progenitrice FA Cup, passando attraverso la Irish Cup, la Scottish Cup, la Football League Cup fino ad arrivare alle medaglie e alle coppe per così dire "secondarie", come la Scottish Cup Medal, la Glasgow Cup, la London Cup, la Scottish League Flag o la Jubilee Cup. Si prosegue con una serie di aneddoti riferiti a giocatori, allenatori o clubs raffigurati attraverso delle strisce degne dei fumetti più celebrati. Come non parlare poi dei nicknames legati alle squadre ? Attraverso fumetti raffiguranti uccellini, cannoni, api, tigri, ecc..
Ecco snocciolate le origini del Norwich City, dell'Arsenal, del Brentford, dell' Hull City e così via.. Capitolo a parte viene riservato agli "international caps and badges", viaggiando nelle quattro leghe britanniche. Si prosegue fra stranezze, record e curiosità insospettabili per poi concludere con tutte le informazioni riguardanti il terreno di gioco e gli impianti sportivi che crescono intorno ad esso. Chiunque disponga di un pezzo da collezione simile o stia per entrarne in possesso non si pentirà di avere tra le mani un pezzo della storia del monumentale calcio anglosassone, raccontato attraverso le sue forme più tipiche.
di Vincenzo Felici
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