Quando gli italiani parlano dell’Inghilterra si menzionano quasi sempre le stesse città: Londra, Manchester, Liverpool, le tre regine del calcio e della musica, oltre che nel turismo.
Se ci si sposta a sud-ovest c’è invece Bristol, un altro grande centro, importante per la vivacità culturale e artistica, polo universitario, con una popolazione di poco inferiore a Liverpool e poco maggiore rispetto a Manchester, considerando solo l’agglomerato urbano.
La sua posizione strategica che in anni passati l’aveva resa regina dei commerci a causa del suo porto, è ora, in tempi in cui i viaggi per svago sono diventati così rilevanti, meta di passaggio per raggiungere la più nota e instagrammabile Bath, con le sue terme, i suoi sampietrini romani e i suoi scorci da favola.
La sottovalutata Bristol è un luogo dalle mille sorprese e invenzioni: è la prima delle trentacinque città nel mondo con quel nome, ha la maggior produzione al mondo di mongolfiere, è lì che sono state inventate le sorprese dell’uovo di Pasqua, da Bristol ci sono stati i primi lanci di bungee jumping (dall’iconico Suspension Bridge), il 25% dei documentari sulla natura girati nel mondo sono prodotti proprio in città e l’orario della città si discosta di dieci minuti rispetto a quello di Londra. Un gesto che fa notare il desiderio di unicità degli abitanti. Visto che l’orario ufficiale inglese è preso dal meridiano di Greenwich, e loro si trovavano ad ovest rispetto a quel luogo, hanno deciso di discostarsi.
Nonostante la rivoluzione industriale e la conseguente introduzione del treno li abbia costretti a uniformarsi all’orario del resto della nazione per ovvi motivi, se si passa dalle parti del mercato di Saint Nicholas, in pieno centro, fuori dall’edificio The Exchange a Corn Street, l’orologio con l’orario locale fa ancora bella mostra di sé, con tanto di spiegazione e rivendicazione.
Ci sono stato la prima volta per un capodanno a basso costo, per avere l’occasione di vedere le opere di Banksy, l’artista misterioso (ma non così tanto da quelle parti, come spiego nel mio libro “A Bristol con Banksy”) nelle vie per le quali era cresciuto e aveva cominciato a farsi un nome nel panorama della street art. Lo avevo scoperto tra libri, musei e collezioni private, ma mi sembrava irrispettoso visto che la sua arte era proposta sulla strada e per la strada.
Così, nel corso di piacevoli passeggiate ho trovato le sue opere principali e sono entrato in contatto con persone che non sono state meteore incontrate in vacanza e poi perse poco dopo, ma sono rimaste nella mia vita anche a distanza di anni.
I viaggi a Bristol si sono susseguiti senza sosta, più volte l’anno, e ho avuto modo di approfondire anche le realtà sportive locali. Mentre Bath è la patria del rugby, tanto da aver vinto di recente la Champions League di quello sport, Bristol è più calcistica e divisa tra due colori, come nel calcio balilla: i rossi del Bristol City e i blu (e bianchi) del Bristol Rovers.
Le due squadre non sono abituate alla massima serie e in anni recenti galleggiano tra la First Division e la League Two, i derby sono rari e più noti per gli scontri tra tifoserie che per i contenuti tecnici. Il City ha un pettirosso come simbolo, frutto di un recente restyling che lo ha semplificato come è d’uso in questi anni, e vengono chiamati Robins, proprio in onore dell’uccello che li rappresenta.
Il Bristol Rovers, maglia a quarti bianco blu con fregi gialli, ha invece il logo stilizzato di un pirata (Barbanera d’altronde era di queste parti) e i suoi tifosi sono chiamati Pirates, ma più spesso Gasheads, dal soprannome che i rivali gli avevano dato per schernirli, visto che il loro storico stadio, Eastville, era vicino al gasdotto che colmava l’aria con il poco gradevole effluvio del gas. Orgogliosi delle loro origini, adottarono questo nomignolo inserendolo in canti e merchandising ufficiale.
Nonostante la mia simpatia per i Rovers, il secondo giorno in cui sia mai stato a Bristol mi sono ritrovato ad Ashton Gate, la casa del City. Una giornata incredibile e che non dimenticherò mai. Ma di questo potete leggere all’interno di “A Bristol con Banksy”, dove tra le altre cose potete trovare un lungo capitolo dedicato al calcio bristoliano, tante pagine dedicate alla musica del posto, tre interviste esclusive, approfondimenti sulle battaglie sociali dei cittadini del posto, indicazioni importanti qualora decidiate di visitare quella città e addirittura un capitolo dedicato a Cary Grant. Sì, l’attore da tutti considerato americano era di Bristol, e la sua vita fuori dal set era inimmaginabile.
di Andrea Lucarini



