31 marzo 2025

VILLAMANIA

Primavera del 1981: in una camera da letto, in un pomeriggio assolato, c’e un ragazzino bloccato sotto le coperte causa parotite. Quel ragazzino ancora non sa che di li a poco avrebbe visto qualcosa in tv che lo avrebbe condizionato per il resto della sua. Quel ragazzino ero io e stavo per vedere la mia prima gara di calcio inglese in tv. La partita si disputava tra 2 squadre dal nome buffo. Una squadra aveva un nome per me allora impronunciabile (avevo 9 anni) ed una maglia bianco-blu ed altro non era che l’IPSWICH TOWN, l’altra squadra aveva un nome piu’ facile da ricordare, un nome quasi italiano, si chiamava ASTON VILLA.
Fu amore a prima vista: per la sua maglia busto claret e maniche blue, per quel furetto biondo che faceva impazzire tutti gli avversari, Gary Shaw, e soprattutto fu amore a prima vista perche’ confronto all’altra squadra il Villa era piu’ debole ed ovviamente perse la partita. E’ singolare come una comune malattia possa generare una forma maniacale duratura, ben piu’ della malattia stessa. Tuttavia avevo scelto: sarei stato un Villans. Era una scelta mia, non condizionata ne da mio padre al quale il calcio inglese non interessava, ne da i miei amici i quali vedevano questa mia nuova mania con benevolo compatimento ed ironica comprensione. Sono passati oltre 40 anni da quel giorno e nelle mia vita sono cambiate tante cose; ho cambiato amicizie, ho finito la scuola e cambiato lavori , ho cambiato ragazze (non molte perche’ decisamente non ci so fare molto) ,ho incontrato persone meravigliose ed altre purtroppo le ho perse.
Sono diventato uomo e del ragazzino che ero sono rimaste poche cose: la mia incrollabile simpatia per gli sfigati (gli indiani, Sandokan che perdeva la sua Monpracem, Paperino e la bimba orfana di madre del film IL BUIO OLTRE LA SIEPE ) e la mia fede assoluta nel Villa. Come tutte le storie d’amore (e questa lo e’) all’inizio tra me ed il Villa fu subito passione e le soddisfazioni fioccavano: 1981 scudetto ,1982 coppa campioni , 1983 supercoppa europea. Periodo d’oro dove per seguire i miei eroi mi affidavo al fedele Guerin Sportivo e guardavo quel poco che passava in tv.
Il ricordo piu’ bello: 26 MAGGIO 1982, io che stringendo tra le mani un peluche guardo il Villa battere il Bayern del compagno Breitner (ma queste sottigliezze politiche le avrei capite solo piu’ tardi) per 1-0. Il Bayern nettamente favorito e molto piu’ forte dei miei eroi domina la gara, dopo pochi miniti il portiere del Villa RIMMER viene sostituito da un ragazzo appena 18enne Nigel Spink. Tra me e me penso “ e’ finita!”. Al contrario Spink para tutto ed al 69’ Morley se ne va sul fondo ,crossa, e Withe ( sgraziato come pochi ) fa carambolare la palla prima sul palo sinistro e poi in rete. E’ fatta: la coppa con le orecchie e’ dei miei eroi. 
Da allora come in tutte le love story ci sono stati alti (rari e sudati) e bassi (molto piu’ frequenti con una retrocessione nel 1986; che colpo al cuore quel titolo del Guerino VILLA DA RESTAURARE) e talvolta tacita sopportazione per quella squadra che io tanto amavo e amo e che vivacchiava all’ombra di Liverpool ed Everton prima e di Arsenal e Man Utd poi. 
Ma non fa nulla anche io in oltre 20 anni di militanza villans ho la mia galleria di eroi; non saranno i Rush, Dalglish, Lineker, Gascoigne, Cantona od Henry ma chi se ne frega basta che portino con onore ed orgoglio la casacca claret-blue e per me sono i piu’ forti. 
Cito in ordine sparso: il dream team dei primi anni 80 per intero poi Platt (orgoglio villans fine anni 80 inizio 90), Daley (imprendibile sulla fascia), McGrath, Townsend, Staunton, Houghton (VIVA L’IRLANDA!) , McInally (attaccante sgraziato e scarso rifilato al Bayern a peso d’oro) Saunders, Atkinson e Cascarino fino ai piu’ recenti Ian Taylor (10 anni di dighe a meta’ campo) Southgate, Ehiogu, Dublin, Stone etc. Ovviamente devo delle scuse nella mia vita a chi ha avuto la sfortuna di essere stato trascinato in questa mia follia, in primis a mio fratello (villans un po’ piu’ tiepido) e poi ai miei amici ed amiche che col tempo hanno imparato che se il sabato sera ho il muso lungo e se in alcuni occasioni me ne sto sopra al letto ad ascoltare i Calexico e’ perche’ la mia adorabile masnada di cialtroni ha rimediato l’ennesima figuraccia. 
di Charlie Del Buono, da "UK Football please"

29 marzo 2025

FIRST Division🇬🇧, il calcio inglese di una volta..

Quando pensi al calcio inglese cosa pensi?, 
Al fascino dei vecchi piccoli stadi, alle pinte nel pub con gli amici, al match programme della partita, alle ends che si muovevano ondeggiando ai goals della propria squadra, il pallone 18 panels rigorosamente bianco, il portiere con la maglia verde ed i pantaloncini come quelli dei compagni, il profumo forte degli hot dog con la cipolla nei dintorni dello stadio oppure l'amarissimo Bovril, per i più "vecchi" i rumorosissimi turnstiles oppure.. i totalisator a lato dei campi di gioco?
atmosfera unica, irripetibile..

Ecco FIRST Division, un punto di riferimento di chi ha vissuto tutto questo e chi lo sogna..

28 marzo 2025

NONNO BILLY BINGHAM

Con un gesto perentorio, papà prende il telecomando e spegne la TV, convinto che la scatola magica non abbia da regalare a suo figlio niente di particolare per quel mercoledì sera. Il bimbo vorrebbe protestare, ma papà è inamovibile. “Siediti vicino a me, piccolo. Ti voglio raccontare una storia di tanti anni fa, una delle più di mille di quando il pallone era ancora Il bellissimo Gioco”. Il bimbo accorre, perchè ama quelle storie, pensando che forse papà ha ragione sulla TV, e si siede vicino a lui. Quando la storia inizia, gli echi dell’imminente partita di Champions League si spengono definitivamente...

* * * *

C’era una volta Nonno Billy, che viveva in un posto chiamato Ulster, l’angolo meno attraente della verde terra d’Irlanda, e che un giorno fece una scelta inaudita e decise di portare i suoi nipotini a fare un viaggio lungo lungo. Aveva cinquantun primavere sulle spalle e ventidue nipotini: una sproporzione preoccupante! Madri e padri non nascondevano la loro apprensione ad affidargli la teppaglia tutta insieme, ma la verità era che nessuno al mondo, a parte il nonno, sapeva tirar fuori il meglio dai ragazzi, perchè tutti loro, insieme, avevano la stessa passione: il gioco del calcio, o football, così come veniva chiamato nella loro terra. Qualche mamma giunse a strapparsi i capelli. “Questa proprio ci mancava, con tutti i problemi che già abbiamo qui!” aggiunse qualcun’altro. Nonno Billy sorrideva, fiero contro tutti, raccontando che lui stesso aveva già intrapreso un viaggio simile, tanti anni prima. Gli animi si scaldarono: “Tu sei un matto malato di nostalgia, ecco qual’è il problema. Erano altri tempi: ci si poteva muovere in tranquillità. Oggigiorno c’è da aver paura!”
Si sollevarono decine di obiezioni ma il nonno non cedette di un millimetro, e fu così che qualche giorno dopo si trovò in aeroporto, all’imbarco, a passare in rassegna la truppa. Eccola lì, la sua squadra: tutti entusiasti, tutti equipaggiati, tutti in verde. Nonno Billy sapeva che tutto sarebbe andato bene, e che i suoi nipotini si sarebbero divertiti un mondo. Anche loro, per qualche strano motivo, sembravano esserne sicuri. Nonno Billy aveva affidato a Pat, il più grande e maturo dei suoi nipoti, la responsabilità di mantenere l’ordine: “Vestiti in giallo, così quando ti guarderanno capiranno chi comanda! E non farti mettere i piedi in testa da nessuno, specialmente da Gerry!”, disse indicando quello che tutti chiamavano l’Astuto, perchè non perdeva occasione di approfittare delle altrui distrazioni. Nonno Billy aveva una predilezione per Pat, così responsabile, così ometto. Gli aveva regalato un pezzo di stoffa bianco da mettersi al braccio: i gradi del Sergente! Durante il viaggio gli si avvicinò Sammy, sveglio, matematico e geometrico, intelligente, uno che gradiva il maggior numero di informazioni possibile, così da sapere sempre come muoversi: “Mi ripeti dov’è che stiamo andando, nonno?” gli chiese. “In Spagna, Sammy, alla Coppa del Mondo”. “E di cosa si tratta?”
Nonno Billy gli scompigliò i capelli: “Ti piace giocare a football, Sammy, sì? Ecco, la Coppa del Mondo è la cosa più importante per chi ama giocare a football. E’ una magia così preziosa che si può vedere solo una volta ogni quattro anni”. Sammy non ne aveva abbastanza: ”Mamma dice che tu ci sei già stato.” Il nonno annuì: “Tanto tempo fa. Ero un ragazzo come voi, anche se allora era in un posto diverso che si chiama Svezia”

Soddisfatto, Sammy tornò al suo posto, di fianco al piccolo Norman, il più giovane di tutti. Già, Norman: più il nonno lo guardava e più lui gli ricordava il piccolo e sfortunato Georgie, un ragazzo come loro, ma geniale, che tanti anni prima, e con dolore, aveva dovuto accettare il fatto di non poter fare quel viaggio e aveva tanto sperato che prima o poi qualcuno ci sarebbe riuscito al posto suo, ricordandosi di regalargli un pensiero. Nonno Billy sperava: “Che tocchi proprio al mio Norman il posto del leggendario Georgie?”.
E così, tra un pensiero e l’altro, la comitiva arrivò in Spagna, dove faceva un gran caldo. Come aveva detto il nonno si trovarono subito di fronte a tanti altri ragazzi: con qualcuno fraternizzarono, con qualche altro volarono parole grosse, fin quando il nonno prese per le orecchie i più riottosi e portò tutti quanti in albergo: “Riposatevi. Anche se qui non sono stati carini con noi, tenete in serbo la vostra rabbia per quando li incontrerete sul campo. Non è la prima regola per diventare bravi ragazzi, ma è il consiglio migliore per diventare calciatori vincenti”. Come aveva ragione, il nonno! La prima settimana fu meravigliosa: visitarono una bella città dal nome orribile, Zaragoza, e si incontrarono pacificamente con ragazzi provenienti da paesi lontani, dividendosi tutto! A dir la verità, Gerry l’Astuto aveva tentato di sgraffignare qualcosa a dei simpatici caraibici, ma Pat, che sapeva anche essere giusto e generoso, non si era opposto a rendere il maltolto, evitando a Gerry la ramanzina del nonno. Poi capitò di spostarsi in un posto chiamato Valencia, e lì vennero di nuovo alle mani con gli scorbutici indigeni. Questa volta Pat decise di lasciar perdere la ragionevolezza e non si intromise nella baruffa. Nonno Billy chiamò vicino a sè Gerry l’Astuto e gli disse: “E’ il tuo momento, ragazzo: ruba tutto quello che puoi!”. Lo sguardo di Gerry si riempì di gioia cleptomane: si buttò nella mischia e poco dopo raccolse una palla lasciata incustodita da un tizio che si era saputo chiamarsi Arconada e la nascose al sicuro dentro una rete. 
Gli spagnoli ci restarono così male che abbandonarono ogni velleità e presto se ne andarono, mortificati. Nonno Billy sapeva di non essere stato proprio ortodosso, ma almeno riconosceva di aver insegnato ai ragazzi a difendersi e rispondere per le rime. Gioia immensa per tutti, anche a casa, dove le notizie arrivavano in fretta. A seguito di questi fatti burrascosi ci fu il trasferimento nella città di Madrid, bellissima, dove tutti però li guardavano storti. I nipotini di Nonno Billy furono ben contenti di non curarsene e gioirono nel conoscere i ragazzi provenienti dall’Austria, prima che i francesi facessero loro vedere come si giocava a football alla perfezione: una severa lezione di vita, imparata comunque con dignità e orgoglio. Quella sera Nonno Billy guardò negli occhi i suoi ragazzi, prima che andassero a dormire e disse: “Bene. Siete stati degli ottimi compagni di viaggio, e così spero di essere stato io per voi, ora però dobbiamo tornare a casa”. La squadra si mosse come fosse una singola entità, e andò ad abbracciare il nonno, con un unico sussurro: “Grazie”. La mattina dopo, per il ritorno, Nonno Billy si sedette in ultima fila, da dove poteva controllare tutto. Pensava a quel viaggio e anche a quello di ventiquattro anni prima, quando lui era più o meno come ora i suoi nipoti. Pensò al piccolo Georgie, che quel viaggio non aveva mai potuto farlo, e pensò anche che una volta a casa non gli sarebbe dispiaciuta una pinta di scura. Anche i nipotini erano composti e silenziosi: pensavano all’avventura appena vissuta, cercando di imprimere nella mente più frammenti possibili, in modo da non poter mai dimenticarsene. Si appisolò. 
Più tardi si sentì chiamare. La voce di Pat: “Nonno Billy?”. Sporse la testa quel tanto che bastava per avere la visuale sul corridoio dell’aereo. Pat si avvicinava tenendo per mano il piccolo Norman. Entrambi giungevano con l’aria affranta. Pat dimostrando tutta la sua maturità, nobile e dignitoso, mentre Norman sembrava prossimo alle lacrime, dito in bocca e sguardo a terra. Nonno Billy fece cenno a Pat di parlare: “Nonno...ecco...vedi...”
Naturalmente avrebbe voluto condirla un po’, ma Norman lo strattonò costringendolo a venire al punto: “Volevamo ringraziarti, E’ stata una vacanza bellissima...solo che noi...io... ecco...Norman vorrebbe sapere se ci sarà modo di rifarla, un giorno”. Lui li abbracciò, forte: “Un giorno, forse sì”. “Quando?” azzardò Norman. “Devi aver pazienza, piccolo: non prima di quattro anni, sai...la magia!”. “Me lo prometti?”. Nonno Billy prese il volto di Norman tra le sue mani: “Ti prometto che faremo tutto quel che si può fare. Può bastare ad un giovanotto come te?”. Norman annuì tristemente e invitò Pat a riportarlo al posto. Li guardò allontanarsi e sorrise tastando quel senso di continuità: il più grande ed il più piccolo dei suoi nipoti. Si riaddormentò.

Quattro anni dopo...

Nonno Billy è seduto, ancora una volta nella sua vita, ai bordi di un grande prato verde attorno al quale si sono radunate più di ventimila persone. Vorrebbe vederle tutte in volto, ricordarsele, ma sa di non poter fare un’unica foto di una moltitudine. Norman è cresciuto, ma è ancora vispo che è un piacere. Gli passa davanti e lui gli assesta una vigorosa pacca da nonno sul sedere. Mentre Norman corre al suo posto, vede Pat dalla parte opposta. Ancora quella sensazione: il mio più grande ed il mio più piccolo! Anche Pat lo sta guardando: si sorridono l’un l’altro e il sorriso colma la distanza fisica facendo viaggiare su un filo i sentimenti più nobili, compresa la gratitudine. Nonno Billy vuole assaporare l’atmosfera di quel momento ed inspira forte forte, perchè lì a Guadalajara, Messico, l’aria è più rarefatta di quanto possa mai esserlo a Belfast, o a Madrid. La promessa è stata mantenuta.

* * * *

Il bimbo sorride a papà. La storia è stata carina, come si aspettava. Ora papà vorrebbe premiarlo, perchè un po’ gli brucia essere stato così drastico per la TV, e sa che al figlio il calcio piace molto, nonostante la tenera età. “Vuoi vedere come sta andando la partita?”, chiede. E la risposta, sorprendente, è: “No, papà, andiamo a nanna”.


Qui sopra è stata resa una trasposizione molto, MOLTO libera di un fatto accaduto realmente, ed a suo modo epocale: la qualificazione della rappresentativa dell’Irlanda del Nord a due Campionati del Mondo consecutivi, nel 1982 e nel 1986, sotto l’esperta guida di Billy Bingham, unico nordirlandese ad avere partecipato a 3 mondiali (nel 1958 vi prese parte come calciatore). Nel racconto Bingham è Nonno Billy, ed insieme a lui sono citati alcuni dei giocatori più rappresentativi di quell’irripetibile quadriennio: il portiere Pat Jennings è Pat, l’interno Sammy McIlroy è Sammy, lo striker Gerry Armstrong è Gerry l’Astuto (cui l’aggettivo cleptomane si addice unicamente nell’economia della storia) ed il talentuoso Norman Whiteside (che esordì a Spagna ’82 a 17 anni e 42 giorni, battendo il record di giovinezza fino allora detenuto da Pelè) è il Piccolo Norman. Credo infine sia doveroso lasciar supporre a chi legge chi fosse lo sfortunato, geniale e leggendario Georgie.
Delle due imprese la più significativa resta quella dell’82, anche in virtù del quadro delineatosi alla vigilia del Mundial spagnolo. Innanzitutto le rappresentative del Regno Unito vi si affacciavano in massa come non era più accaduto dal 1958 (unica edizione in cui furono tutte e quattro presenti); in secondo luogo, o comunque di conseguenza, c’erano i presupposti per scrivere una pagina significativa di storia calcistica britannica. Ci contava l’Inghilterra, che dopo Mexico ’70 aveva “bucato” nel ’74 e nel ’78 e tornava a misurarsi per l’Iride dopo una pausa forzata di dodici anni e a sedici di distanza dall’”Investitura” casalinga. Obiettivamente era una squadra forte. Non la più forte di sempre e nemmeno la migliore delle ventiquattro sbarcate in Spagna, ma forte: aveva solidi pilastri nei reparti arretrati e di manovra ( Shilton, Neal, Butcher, Wilkins), ed attaccanti tra il giovane e lo scafato che avevano già saputo essere letali (Robson, Woodcock, Mariner, Francis), oltre ad un campione cristallino, anche se acciaccato, come Kevin Keegan. Arma in più (teorica): la sete di rivincita. 
Pronosticare i Leoni tra i primi quattro poteva essere un azzardo, ma neanche tanto. Ci contava la Scozia, visto che in cima alla lista degli obiettivi il compianto Jock Stein aveva scritto: “Superare, una volta nella vita, quel benedetto primo turno!”. Rough, Hansen, Strachan, Souness, Dalglish, Wark, Archibald, Jordan: con una rara infornata di uomini di caratura internazionale come questa, se non allora, quando? Siccome però non si può essere scozzesi senza qualche complicazione, e a conferma che a nord del Vallo non hanno mai brillato troppo in quanto a fortuna, la Scozia venne sorteggiata nello stesso girone del Brasile. Con il primo posto già assegnato, honoris causa, contendere il secondo a Nuova Zelanda e Unione Sovietica restava impresa fattibile. L’Irlanda del Nord, di suo, contava che qualsiasi risultato diverso da una figura pessima sarebbe stato un successo.
Non andò esattamente così.
I bianchi vinsero il loro girone a punteggio pieno, ma tra luci ed ombre (3 goals alla Francia, 2 alla Cecoslovacchia, solo 1 al misero – almeno in questo contesto – Kuwait) salvo evaporare al turno successivo, confermando una tendenza alla liquefazione che non li avrebbe più abbandonati in nessun’altra manifestazione, salvo forse Italia ’90. La carriera mondiale di Keegan si ridusse a 27 miseri minuti giocati contro la Spagna in una partita dal controverso giudizio: più brutta o più inutile? Robson da frizzante sublimò in evanescente, le conclusioni del reparto avanzato divennero come freccette in mano a tiratori col Delirium Tremens. Il buon Shilton parava il possibile, ma difettava in fase realizzativa. Si tornò a casa con le pive nel sacco, al solito.
La Scozia riuscì nell’impresa più ardua: farsi eliminare di nuovo al primo turno, in barba alla legge dei grandi numeri, e nonostante un invidiabile bottino di otto reti messe a segno in tre partite. Battuti con cinque goals, ma non senza punte di ridicolo, i neozelandesi, strapazzati dal Brasile, ai blu fu fatale il 2-2 contro l’URSS.
Così, il Mundial ’82, contro ogni aspettativa, consegnò alla storia del football britannico solo il sontuoso exploit dei ragazzi di Bingham: il passaggio del primo turno. Soffrendo, certo, ma lasciando impressa negli occhi di tutti una magnifica impresa: la sconfitta inferta ai padroni di casa grazie ad una rapace zampata di Armstrong su gentile concessione del portiere spagnolo Arconada. Il mondiale degli spagnoli, di fatto, finì in quel frangente, nonostante le partite successive, mentre quello dell’Irlanda del Nord aveva raggiunto il suo picco. Nessuno lo avrebbe mai sognato. La successiva goleada inferta dalla Francia alla rappresentativa dell’Ulster rientrò nell’ordine delle cose: non si poteva chiedere di più. Per i successivi quattro anni la martoriata appendice irlandese dell’impero di Sua Maestà fu un po’ più verde del solito, in attesa di tempi migliori.
di Dante Cavalli, da "UK Football please"

27 marzo 2025

"IL MODELLO INGLESE. Il calcio come strumento sociale" di Stefano Faccendini (UltraSport), 2024

“Modello inglese” è un’espressione alla quale si ricorre spesso per definire fenomeni diversi, dal sistema repressivo generato dal pugno di ferro con cui Margaret Thatcher decise di affrontare il problema degli hooligans a quello avido e sfavillante della nuova Premier League, che ha trasformato the working man ballet in industria di intrattenimento a uso e consumo della middle class. Quasi mai, invece, viene adoperata per descrivere la propensione, molto diffusa oltremanica, a utilizzare il calcio per fare del bene. Eppure è il volto più bello che può mostrare questo sport. Che si tratti di iniziative di solidarietà o di sostegno a persone in difficoltà, il football raggiunge la sua essenza quando è veramente al servizio della propria comunità di riferimento. Non solo durante i novanta minuti della partita, non soltanto rispettando il legame tra gli spalti e il campo da gioco, ma come strumento sociale che va oltre il tifo e aiuta in modo materiale e spirituale la vita della gente. La squadra, il club, è una parte importante dell’esistenza di milioni di persone, come le storie di questo libro dimostrano, e può diventare un punto di riferimento fondamentale, un rifugio, un aiuto, una speranza. A volte la sola.

26 marzo 2025

LONDRA. UNO DEI DUE POLI DEL MONDO

Londra. Uno dei due poli del mondo con New York. Per quelli della generazione prima della mia, negli anni 60/70, Londra è stata la musica, i concerti, la ricerca di quel vinile che da noi in edizione speciale non era mai arrivata.
Poi la meta preferita delle gite scolastiche delle medie o del ginnasio. Quindi l’inizio delle nuove tendenze. La moda, le pettinature, le gonne. Fino alle rappresentazioni teatrali e dei musical che ovviamente arrivano prima lì come i film e i concerti delle superstar di tutto il mondo. Non importa se ad Hyde Park o nelle Arene più esclusive. Tante cose sono cambiate al ritmo battuto dal Big Ben. Una sola costante in tutti questi anni. Il calcio. Quello, con la sua passione, non è mai cambiato. Semmai ha arricchito la sua storia. Da quelle parti lo hanno inventato, ma soprattutto ne hanno avuto cura. Londra e i suoi stadi. Tanti stadi. Tante storie diverse. Dalle due torri di Wembley, al treno che passa dietro Stamford Bridge. Da White Hart Lane che puoi raggiungere solo col bus a tutti gli altri dai quali rimbalzi tra una metro e l’altra. Quello è stato il mio vero richiamo londinese. Li volevo vedere tutti. Provare a respirare quell’odore di cipolla e ascoltare l’urlo dei venditori di programmi anche se non si giocava nessuna partita. Li immaginavo. Li sentivo ugualmente. Dopo aver cercato di trovare per tanti anni, essendo internet più giovane di me, i risultati prima e poi almeno le foto di quel calcio che tanto amavo, il passo successivo era andare li e “toccarli con mano”
Oggi, anche grazie al mio lavoro, ho visto almeno una partita in ognuno degli stadi londinesi compresi quelli, come il Plough Lane, che non esistono più. Allora, verso la metà degli anni 80, disegnavano la mia Londra. I colori delle linee del Tube si fondevano con quelli delle maglie delle squadre. Quello del Chelsea, Loftus Road e Upton Park nella stessa giornata intervallati da un pub e prima di una immancabile pizza. Gli altri con più comodo. 
Uno alla volta. Ce ne era uno che però avevo sognato più degli altri. Highbury. C’era uscendo dalla metropolitana a sinistra un pretenzioso cartello. "Welcome to Highbury. the Home of Football"
Pretenzioso certo, ma per me era molto vero. Era tutto quello che avevo sempre sognato. Londra, il calcio inglese, l’Arsenal. Quello per me era il calcio. E non stavo neanche guardando nessuna partita. Il profumo della storia. Il fascino di un mondo allora lontano che oggi la televisione satellitare ha avvicinato. Già la storia. Quella vera non tutti, anche nell’era delle parabole, la conosco bene e allora l’occasione di farci dentro “quattro passi” gustandosi le pagine di questo libro è da non perdere. Gli inizi della Football Association, i club che hanno alzato l’FA Cup per i primi anni e che adesso si trovano solo sull’albo d’oro. Poi l’Arsenal. Dall’attraversamento di Londra, ai trionfi e le delusioni compresse nelle due gestioni più significative. Da Chapman a Wenger. Tra la rivalità aspra col Tottenham e I ritratti di chi ha saputo farsi amare con la maglia dei Gunners. Alex James, Ian Wright, Titì Henry e soprattutto quel Charlie Nicholas che se avesse anche vinto qualcosa in più della Coppa di Lega gli avrebbero fatto un busto anche a lui ad Highbury. Scozzese, capello fluente e una classe da non aver nulla da invidiare a nessuno. Uno dalla tecnica e la visione di gioco di stampo latino. Accarezzava la palla purtroppo per lui come la vita notturna londinese, ma il trionfo nella Littlelwoods Cup dell’87 a Wembley resta il flash della sua grandezza. Con una doppietta ha messo in ginocchio il Liverpool e regalato dopo tanti anni un trofeo all’Arsenal. Il primo dell’era George Graham. Di fatto il primo della rinascita. Oggi a Wembley l’arco ha sostituito le mitiche torri, ma il fascino è sempre li. E’ nell’aria. Come nel passaggio da Highbury all’Emirates. Quello che resta sono le passioni che vanno alimentate anche rileggendo la storia.
di Massimo Marianella, dalla prefazione del libro London Calling (Bradipo Editore)

25 marzo 2025

"DERBY DAYS - Il gioco che amiamo odiare" di D. & E. Brimson (Libreria dello Sport), 2005

I tifosi di calcio riservano il loro più grande odio per i tifosi locali rivali.
Il Derby non riguarda solo il calcio, è una questione di orgoglio, il poter tenere alta la testa il Lunedì mattina quando vai al lavoro sapendo che i tuoi ragazzi sono meglio di quegli altri. I fratelli Brimson ci consegnano una panoramica di tutti i derby di calcio, tracciando la storia delle ostilità e rivelando le storie viste da entrambe le fazioni – Manchester United e Manchester City.
L’attenzione non è posta solo sui derby più famosi, come ad esempio quello del Liverpool contro l’Everton, ma anche sugli incontri meno pubblicizzati come L’Exeter contro il Plymouth, per realizzare così un’agghiacciante ritratto delle ostilità nel calcio.

24 marzo 2025

SUTTON UNITED. LOCAL HEROES



Continua il viaggio nell’affascinante galassia non league.
Stavolta andiamo a Sutton, sobborgo di Londra che ospita una delle più tradizionali realtà amatoriali del panorama inglese. Il Sutton United è fondato il 5 marzo 1898 dalla fusion di due importanti squadre giovanili, il Sutton Guild Rovers e la Sutton Association. Il nuovo club si comporta bene nelle locali competizioni giovanili e amatoriali, ma resta in un sostanziale anonimato fino al 1910, quando si iscrive alla Southern Suburban League, giocando le proprie gare su diversi campi della zona.
L’approdo al Gander Green Lane avviene una prima volta nel 1912; la prima partita è contro il Guards Depot in FA Cup, e gli U’s la vincono per 1-0 davanti ad 800 spettatori (numero di tutto rispetto). Dopo una breve emigrazione al The Find, il Sutton torna al Lane nel 1919, ed anche la seconda ‘inaugurazione’ è incoraggiante, un sonoro 4-1 ai danni del Green Old Boys.
Da quel momento il Lane sarà la casa degli U’s, teatro di tutti gli alti e bassi di un club che conquisterà uno status di primo piano nel panorama amatoriale. I primi ammodernamenti significativi arriveranno nei primi anni ’50, con la costruzione di un nuovo stand, cui segue nel 1962 il rifacimento dell’impianto di illuminazione per partecipare alla Isthmian League. Il record di affluenza per il Gander Green Lane è stabilito in occasione di Sutton vs Leeds, FA Cup 1969/70, quando sulle terraces si accalcano ben 14.000 persone. Tornando al campo, nel 1921 il Sutton è ammesso alla Athenian League, e dopo alterne vicende segna finalmente la propria presenza conquistando il campionato nel 1928. Negli anni ’30 il club si consolida come una forza crescente del calcio amatoriale, reputazione avallata anche dalle due semifinali (1929 e 1937) nella FA Amateur Cup. Nella prima occasione il Sutton è escluso dalla competizione per aver schierato due giocatori militanti anche nelle leghe del Sunday Football.
Durante la Seconda Guerra Mondiale il calcio non si ferma ma viene ridimensionato nelle sue competizioni; il Sutton in ogni caso continua a progredire, grazie all’emergere di una delle leggende del club, il bomber Charlie Vaughan. Alla ripresa delle attività ‘normali’, stagione 1945-46, i suoi 42 gol consentono agli U’s di vincere nuovamente la Athenian League, ed a seguire la Surrey Senior Cup. Gli exploit di Vaughan non passano inosservati, ed il ragazzo finisce al Charlton, ma il Sutton continua a rimanere nell’elite amatoriale, distinguendosi per la spiccata progettualità della sua dirigenza.
Proprio in questo solco di crescita generale, nel 1953 la proprietà del club viene ristrutturata nella Sutton United Limited, e negli stessi anni è edificato un nuovo stand del Gander Green Lane. Si lavora con attenzione ed impegno sui giovani, ingaggiando uno staff di livello assoluto, fra cui spiccano i nomi di Jimmy Hill e Malcolm Allison. 
Inizia l’epoca d’oro del club, a partire dall’avvento in panchina di George Smith che porta a riconquistare la Athenian League per la terza volta (1958) e la London Senior Cup nello stesso anno. Nel 1963, sotto la guida di Sid Cann (già vincitore da giocatore della FA Cup con il Manchester City), arriva anche la prima visita a Wembley, per la finale della Amateur Cup. Il Sutton perde 4-2 contro il Wimbledon (altra grande forza amatoriale dell’epoca), ma l’ascesa continua sotto forma di ammissione alla Isthmian League.  Nel 1967 il Sutton conquista il primo dei quattro campionati di League, mentre la maledizione di Wembley prosegue nel 1969, stavolta la sconfitta è per mano del North Shields.
La fama nazionale arriva una prima volta nel 1970, quando gli U’s arrivano fino al 4° turno di FA Cup, dove affrontano il grande Leeds di Revie. Di fronte ad undici -dico- undici nazionali l’impegno e la buona volontà dei dilttanti del Sutton non bastano; il Leeds vince 6-0 ma resta il ricordo indelebile di una FA Cup-run raccontato ancora oggi dalle parti del Lane.

Nel 1974 Sid Cann è sostituito da Ted Powell (ex nazionale inglese), cui succedono diversi manager fino a Keith Blunt, che riprende il filo di un lavoro positivo.
Nel 1979 arriva addirittura un successo internazionale, l’anglo-Italiano conquistato a Chieti (2-1), ma nel 1981 la maledizione di Wembley colpisce ancora: terza finale (FA Trophy), terza sconfitta, stavolta da super-favorito contro il Bishop’s Stortford.
Per il resto il Sutton continua a vincere coppe di categoria (nel 1983 realizza addirittura un prestigioso ‘treble’), e nel 1985 arriva il titolo della Isthmian League. Non segue l’ammissione alla Conference per problemi legati allo stadio, ma nel 1986 il Sutton vince ancora il campionato e stavolta si aprono le porte della Conference, una sorta di Premiership per un club di queste dimensioni, un punto di arrivo di valore storico. Per non mancare ancora l’appuntamento, dopo la delusione del 1985 sono gli stessi tifosi a darsi da fare nell’estate successiva. Conquistato il titolo, un gruppo di volontari trascorre le vacanze a sgomberare travi e materiali di legno accatastati dietro una delle due porte, per fare spazio ad un nuovo stand in muratura. Completata a tempo di record la mini ristrutturazione, i volontari (volenterosi) trovano il tempo anche per posizionare la recinzione perimetrale e dipingere stand principale e spogliatoi.

L’impatto con la massima categoria (amatoriale) è estremamente positvo, l’impressione è che il Sutton possa addirittura porre le basi per il salto fra i professionisti, dato che infila una lusinghiera serie di piazzamenti di alta classifica, sotto la guida positiva e coraggiosa di Barrie Williams. La permanenza in Conference si interrompe invece bruscamente nella stagione 1990-91, dopo un’altra stagione tranquilla che degenera bruscamente nel finale, spezzando l’ascesa degli U’s. C’è però il tempo di segnare la vittoria record in trasferta per la Conference (9-0 al Gateshead), un memorabile 8-0 al Kettering e soprattutto l’insuperata impresa del 1989, quando il Sutton elimina dalla FA Cup il Coventry (terzo turno). 

A tutt’oggi è l’ultima volta che un club non-league elimina dalla Coppa un club della massima divisione, ed è una storia nella storia che merita una parentesi speciale. Il Sutton inizia la sua avventura dal quarto turno di qualificazione, contro il Walton & Hersham; dopo un pareggio casalingo la spunta al replay, ed entra nel tabellone principale. La sorte è favorevole nell’assegnare al Sutton prima il Dagenham (vittoria per 4-0 al primo turno) poi l’Aylesbury United (vittoria per 1-0), ma soprattutto nel combinare il match più suggestivo del terzo turno, Sutton vs Coventry
La partita il sette gennaio 1989, in programma c'è il 3° turno della FA Cup, tradizionalmente collocato nel primo sabato dell’anno. La Coppa è ancora al suo massimo appeal, vale quanto (e forse più) di un titolo nazionale, anche perché lascia ancora spazio ai sogni. Un sogno realizzato è sicuramente quello del Wimbledon, la Crazy Gang che detiene il trofeo dopo aver superato in finale il mitico Liverpool degli invincibili, con un’impresa che entrerà per sempre nel folclore del calcio inglese, e quindi l’attesa per un potenziale giantkilling è alta. Da parte sua il Coventry si presenta al terzo turno da club della massima divisione, che sfida alla pari le migliori squadre d’Inghilterra e ancora celebra la Coppa conquistata nel 1987. Nessuno può dunque ragionevolmente temere la trasferta sul campo del Sutton, quattro categorie più sotto nella piramide calcistica inglese, fuori dai ranghi professionistici.
Va detto che in quegli anni il Sutton si è fatto conoscere (nell’ambiente amatoriale) per il suo stile di gioco offensivo e tecnico, agli antipodi del ‘kick and rush’ imposto in quegli anni dall’epopea del Wimbledon ‘forward thinking, forward running and forward passing’ è il motto preferito da Barrie Williams; lo ripropone anche al Times, che lo intervista proprio il giorno della partita. ‘Proveremo ad attaccare il Coventry perché non conosciamo altro tipo di gioco’ -proclama – ‘d’altra parte dopo l’esperienza dell’anno scorso sappiamo cosa aspettarci. Avremo più spazio rispetto a quando giochiamo in Conference, tranne nella loro area. Abbiamo visto il Coventry tre volte e sappiamo che sono molto dotati fisicamente, anche se siamo abituati a questo tipo di calcio. La differenza maggiore è la classe individuale. Loro sono quinti in First Division, noi a metà classifica in Conference e questo dice tutto…’.

Dunque Williams non si fa molte illusioni, ma ha un obiettivo ben preciso:
‘La cosa più importante è fare onore al calcio non- League’…non immagina nemmeno quanto…
Gli 8.000 che gremiscono il Gander Green Lane (2.500 sono tifosi del Coventry) assistono all’irripetibile spettacolo di una squadra di bancari, agenti assicurativi e mediatori immobiliari che impartisce una severa lezione di gioco e intelligenza tattica ad una delle migliori formazioni professionistiche del paese.
Per tutta la mattinata della partita, nel parco pubblico che costeggia il campo, gli uomini di Williams provano e riprovano gli schemi offensivi sui calci piazzati, avendo individuato proprio in questo fondamentale una debolezza degli Sky Blues. E immaginate quale soddisfazione
per il manager quando entrambi i gol che sanciscono il 2-1 finale arrivano proprio da calci piazzati, per merito di Rains e Hanlan. Certo, come in tutte le imprese c’è anche il contributo della fortuna: sul 2-1, l’assalto disperato del Coventry si infrange prima su una parata ‘impossibile’ e decisiva del portiere degli U’s (tipo quella di Zoff ai Mondiali del 1982, per intenderci…), poi su un ancora più incredibile triplo legno in mischia. E’ il segnale, gli dei del calcio tifano Sutton e conducono in porto l’incredibile vittoria degli U’s.

Sarebbe però ingeneroso identificare il clamoroso giantkilling (che il Times qualifica come il più memorabile risultato in FA Cup da quando il Wimbledon aveva espugnato il Turf Moor di Burnley per 1-0 nel 1975) solo con due occasionali calci piazzati. Williams sfrutta al meglio
le fasce, lanciando Stephens e Hanlan molto in profondità ad aprire la difesa del Coventry e mettere in mezzo cross sempre pericolosi. Eccellente anche l’organizzazione difensiva, con Regis & c. sempre tenuto lontano dalla porta difesa da Roffey.
Rains, che con il suo gol entra di diritto nell’Olimpo degli eroi della Coppa, ricorda così quel giorno: "Avevamo avuto sentore di cosa potevamo combinare un anno prima, portando al replay il Boro. Ma quando il sorteggio ci accoppiò al Coventry, tutto ciò che volevamo era evitare una brutta figura. La cosa bella fu invece che non li aggredimmo fisicamente. Nel
secondo tempo non facemmo nemmeno un fallo. Segnai il vantaggio da un corner di Stephens prima dell’intervallo. Ad inizio ripresa loro pareggiarono, ma Hanlan segnò quasi subito il 2-1. Al fischio finale, dopo nemmeno 30 secondi dopo il fischio finale il campo era invaso dai tifosi. Noi non volevamo perderci la scena, ma invece di restare nella mischia fingemmo di tornare negli spogliatoi per poi salire sulle tribune a goderci lo spettacolo dall’alto. Fu irripetibile, di gran lunga il momento più emozionante della mia carriera.
Fu anche l’apice di quell’epopea. Nel quarto turno perdemmo 8-0 a Norwich, ma quel giorno contro il Coventry mi rimarrà per sempre, e ancora oggi incontro tanti che vogliono parlarne".

L’analisi più obiettiva è quella del manager del Coventry: ‘L’ospitalità del Sutton è stata superba, non siamo stati presi a calci in campo e l’arbitro ha operato bene. Davanti non siamo mai stati lucidi e in generale eravamo sempre secondi sulla palla. Complimenti vivissimi al Sutton’. Sportività d’altri tempi, come quella dei 2.500 tifosi giunti da Coventry, alla fine tutti in piedi ad applaudire il Sutton e i suoi tifosi impazziti che hanno invaso il terreno di gioco. Scene d’altri tempi, che il Times commenta così: ‘E’ stato un giorno da cui il calcio e la sportività escono come i veri vincitori’…magia della FA Cup…

E proprio a riprova di questa misteriosa e incomparabile magia, l’ordine naturale delle cose torna a prevalere nel prosieguo della stagione. Il Sutton United (che non è una squadra di fenomeni) finisce il campionato di Conference a metà classifica ed è eliminato rovinosamente dalla FA Cup al 4° turno per mano del Norwich City (a Carrow Road finisce 8-0).
Il Coventry (che non è una squadra di brocchi), passata la ‘tempesta’ dei primi giorni, con i giornali impegnati a ricercare iperboli e paragoni umilianti per ‘raccontare’ la figuraccia del Gander Green Lane, riprende il proprio cammino in First Division e chiude con un o4mo settimo posto, secondo miglior piazzamento di sempre. E tuttavia ‘quel’ giorno, inimitato e insuperato da ormai ventidue anni è nella storia della FA Cup e del calcio inglese, e francamente è sempre più difficile che possa accadere di nuovo, in un calcio moderno dove il dominio del denaro ha scavato gap incolmabili fra le diverse divisioni.

Purtroppo per gli U’s il giorno di gloria è breve, torna presto la routine e dopo due anni, appunto la retrocessione-shock. Si tenta la pronta risalita, ma nonostante diversi buoni piazzamenti le porte della Conference non si riaprono. Sono tuttavia anni in cui il club sforna tanti buoni giocatori, che approdano rapidamente a squadre professionistiche. Efan Ekoku, Paul Rogers, Andy Scott, Paul McKinnon, Ollie Morah e Mark Watson sono i più famosi,
nomi che crescono e si impongono al Lane prima di prendere la via di Blackburn, West Ham, Sheffield United. Nel 1993 un’altra buona FA Cup vede il Sutton superare Colchester e Torquay (club professionistici) prima di inchinarsi 3-2 al Notts County (nel 3° turno). 
Nel 1996 un nuovo cambio manageriale riporta ‘a casa’ i fratelli Rains, già leggendari per essere secondo e terzo nella graduatoria all-time di presenze (dietro a Larry Pritchard).
Nelle prime due stagioni conquistano due ottimi terzi posti, sfiorando una fantastica promozione nell’anno del centenario. Finalmente un anno dopo (1999), dopo una magnifica rincorsa di 13 vittorie e 3 pareggi nelle ultime 17 partite, il Sutton torna a vincere il campionato e la promozione in Conference. Festa raddoppiata dal trionfo in Surrey Senior Cup ai danni dei rivali di sempre del Carshalton (3-0). La permanenza in Conference è tuttavia molto meno brillante di quella precedente, e si conclude dopo solo una stagione con una retrocessione molto amara. Il ritorno nelle divisioni inferiori segna la fine di una intera fase storica, in coincidenza con il trapasso nel nuovo secolo. La squadra è anziana, non ha forza e brio per competere con le iper-competitive concorrenti di Conference. Per il Sutton inizia un lungo periodo di transizione, con l’innesto di tante facce nuove che forniscono momentaneo rilancio, salvo poi lasciare per lidi più attraenti e depotenziare qualunque strategia di rilancio.
Fra alterne vicende il Sutton riesce comunque a garantirsi l’accesso alla nuova Conference South varata nella stagione 2004- 05. 
Nel solco delle stagioni precedenti, tuttavia, i migliori giovani vengono ceduti, in particolare il centrocampista Nick Bailey che arriva fino alla Championship con la maglia del Charlton.
La ‘resistenza’ dura tre stagioni, poi inesorabile arriva la retrocessione, fra cambi di manager, turnover vorticoso sul campo e incapacità di trattenere i migliori talenti prodotti dal settore giovanile. Che è il vero ‘traino’ del Sutton negli ultimi anni, inanellando ottime performance nella FA Youth Cup e completando addirittura un intero anno solare senza sconfitte ufficiali nella lega giovanile.
di Giacomo Mallano, da Fever Pitch

23 marzo 2025

DAVIE COOPER. A KING OF MAGIC


























Nel 1986 i Queen ottennero un successo planetario con uno tra gli album più iconici del loro repertorio. Solennità, ritmo e profonde emozioni come raramente vissute prima di allora dagli appassionati del rock made in Britain. Parlando di calcio, invece, fu Davie Cooper, più di qualunque altro, ad essere ispirato da un qualcosa di magico su un campo da calcio. Perlomeno in Scozia. La sensazione di stupore che i tifosi al di là del vallo di Adriano potevano sperimentare ogni qual volta gli si presentò l'occasione per dribblare, segnare la rete del vantaggio in una finale di coppa, beffare il portiere avversario su calcio di punizione o servire un assist illuminante rimane scolpita nella loro memoria a distanza di 30 anni dalla morte del nativo di Hamilton, Nato il 25 febbraio del 1956, il giovane Davie iniziò a dare i primi calci al pallone nella selezione della sua scuola. La posizione in campo era e rimase per tutta la sua carriera quella di ala. Negli anni '60 e '70, d'altronde, proprio due centrocampisti come Jim Baxter e Jimmy Johnstone si fecero strada nell'olimpo del calcio scozzese. Il mito si alimenta nell’emulazione. 

Quando i tempi diventarono maturi, il Clydebank FC gli concesse la possibilità di entrare nel mondo del calcio giovanile. Durante la trafila nelle squadre Under 16 e Under 18, Cooper mise in evidenza tutte le sue potenzialità. In quegli anni, la partecipazione con la Scozia ad una youth edition del torneo Home Nations lo consacrò tra i migliori talenti in circolazione nel panorama scozzese. Rangers, Motherwell, Clyde, Coventry City e Crystal Palace si interessarono a lui ma alla fine i Bankies riuscirono a tenerselo stretto. L'estate del '74 segnò l'inizio della sua carriera da professionista. Il 10 Agosto, a diciotto anni compiuti, arrivò il tanto atteso debutto in prima squadra: Clydebank 0 - Airdrie 4. Non esattamente un inizio memorabile. Per scalfire la determinazione di quella giovane promessa baciata sulla fronte, e sul mancino, dagli dei del football ci voleva ben altro però. In quella stagione, tra alti e bassi, giocò 29 partite realizzando 5 reti. Nella stagione 1975/76 il giovane Cooper fu tra i migliori del Clydebank giocando in ogni partita e mettendo a segno 22 reti. Il suo contributo fu decisivo nella conquista della promozione. I tifosi e gli addetti ai lavori dei Bankies non furono però i soli a rendersi conto della crescita esponenziale del talento cristallino del ragazzo. I Glasgow Rangers, infatti, l'8 Giugno del 1977, trasferirono 100.000 sterline sui conti della dirigenza biancorossa portando il 21enne ad Ibrox Park. La leggenda di colui che ben presto diventerà "Super" Cooper ebbe inizio. La stagione 1977/78 fu la sua prima con la casacca red, white and blue. Quello sì che fu un inizio col botto: treble domestico, giocando 52 partite su 53 e mettendo a segno 8 gol di cui uno direttamente da calcio d'angolo. Il mancino aveva letteralmente stregato il popolo dei Teddy Bears che ormai non ne potevano più fare a meno. "Davie! Oh, Davie Cooper! Oh, Davie Cooper on the wing!" era il grido unanime che si alzava dalle tribune con lui in campo. Quei Rangers, comunque, erano composti da mostri sacri come lo storico capitano John Greig, la sgusciante ala Tommy McLean, il jolly Derek Jonhstone, in campo nel 1972 ad appena 18 anni nella finale di coppa delle coppe a Barcellona vinta dai Lightblues, la roccia difensiva Tom "Jaws" Forsyth, Derek Parlane e il grande Sandy Jardine. In panchina sedeva Jock Wallace, tra i manager più amati di sempre ad Ibrox. Big Jock era un burbero signore scozzese che, anche grazie alle sue tecniche di allenamento in stile Marines, riuscì a togliersi delle belle soddisfazioni. Fu proprio lui a volere a tutti i costi Coop ad Ibrox. 
Nella stagione successiva, senza il generale a guidare la sua truppa, il titolo si spostò verso le parti di Celtic Park ma i Gers riuscirono comunque ad affermarsi vittoriosi nelle due coppe nazionali oltre che a dare vita ad una bella cavalcata europea, eliminando PSV Eindhoven e Juventus, e ad aggiungere alla bacheca trofei la Drybrough Cup, un torneo che comprendeva le top four della Scottish Premier League. Proprio nella finale di questa coppa, contro gli "auld" enemies biancoverdi, il numero 7 mise a segno una delle reti più incredibili mai viste in Scozia e non solo. Descriverla in modo da rendergli il giusto onore è alquanto difficile: ricevuto il pallone da un compagno che si trovava in prossimità della bandierina del calcio d'angolo, Cooper stoppò di petto il pallone con il difensore in marcatura per poi rapidamente farlo scivolare sul fido mancino e , coprendo con il corpo la sfera, si fece strada verso il centro dell'area palleggiando. Qui altri due difensori si scagliarono verso di lui ma con un sombrero sopra le loro teste riuscì a beffarli entrambi. A questo punto, a soli 5 metri dal portiere, riuscì a divincolarsi con un altro superbo sombrero dall'ennesimo difensore che tentò di fermare la sua corsa verso la gloria per poi appoggiare in rete con il portiere spiazzato. Un goal senza eguali nella storia dei Rangers che più avanti verrà giustamente votato dai loro tifosi come il più bello di sempre. A kind of magic. 
Nonostante fosse tecnicamente una spanna sopra la maggior parte dei calciatori scozzesi dell'epoca, Davie mantenne sempre i piedi per terra dimostrandosi, oltre che un campione, anche un uomo umile. La stagione 1979/1980 segnò l'inizio del breve declino dei Rangers nella prima parte degli anni 80. In quella annata la squadra finì quinta, undici punti dietro i campioni dell'Aberdeen guidati da Sir Alex Ferguson. I tifosi non ebbero modo di gioire nemmeno nelle coppe domestiche e internazionali. Di fronte ad una situazione che presagiva nulla di positivo, l'unica certezza era Cooper. 
Nella stagione 1980/1981, l'occasione per saziare l'incessante fame di successi di migliaia di tifosi lightblues si presentò nella finale di Scottish Cup contro il Dundee United tramandata ai posteri come "The Cooper final". A fine gara il tabellino reciterà: Rangers 4 -Dundee United 1. Coop, circondato da un tripudio di sciarpe e bandiere, firmò un goal, pregevole pallonetto dopo aver scaltramente approfittato di una disattenzione difensiva degli avversari, e due assist al bacio. Le stagioni successive continuarono ad essere deludenti sul fronte del campionato. Le offerte dall'Inghilterra per Cooper si fecere sempre più numerose ma il ragazzo in nessun modo volle allontanarsi da Ibrox. In quegli anni di transizione, infatti, continuò a deliziare i suoi tifosi con giocate spettacolari. Gli unici successi arrivarono in coppa di lega, dove i Rangers riuscirono ad imporsi tre volte. L'avvento di Souness come player-manager nel 1986 però riportò finalmente l'entusiasmo tremendamente atteso. Campioni affermati come i nazionali inglesi Woods e Butcher, giovani promesse destinate a grandi successi come McCoist, Durrant o Derek Ferguson e veterani come l'ex Man United Nicholl andarono a formare la squadra che riportò dopo 9 anni il titolo tra le mura amiche. Ovviamente Cooper fu protagonista anche in quella stagione, collezionando 48 presenze e 11 reti. Riuscì, inoltre, a lasciare il segno nella finale di coppa di lega vinta contro il Celtic con un goal e una prestazione sugli scudi. 
 Nella stagione dopo, 1988/1989, ottenne l'ennesima medaglia di League Cup, sette in totale, e sopratutto fu per la terza volta campione di Scozia. E' proprio alla fine di quella annata che le strade di Super Cooper e i Rangers si separarono. Avvicinato dai cronisti dopo il Testimonial match a lui dedicato dichiarò "I played for the team I loved". Tommy McLean, suo ex compagno ad Ibrox negli anni '70, una volta diventato il manager del Motherwell, non se lo fece scappare. Al Fir Park, Coop visse 4 stagioni e mezzo di intense emozioni contribuendo a riportare un trofeo nella bacheca degli Steelmen dopo 40 anni di digiuno. Quella Scottish Cup del 1991 deve aver avuto sicuramente un sapore particolare per lui, nonostante avesse già provato più volte l'ebrezza della vittoria nella sua vita precedente con la maglia dei Lightblues. Per chiudere in bellezza la carriera, tornò per un paio di stagioni nella squadra che gli diede la possibilità di realizzare i suoi sogni: Il Clydebank. Il ritorno del figliol prodigo venne accolto da tutta la comunità con caloroso entusiasmo. Il 7 Febbraio del 1995 finì la parabola calcistica di uno dei più grandi giocatori mai visti in Scozia e nel Regno Unito. 645 presenze e 95 goals complessivi con le 3 squadre alle quali ha legato il proprio nome e 22 presenze e 6 reti con la nazionale scozzese. 
Sarebbe stato bello poter terminare di scrivere con un lieto fine ma la vita riserva talvolta epiloghi tragici. Il 23 Marzo dello stesso anno, Davie Cooper scomparve a causa di un’emorragia cerebrale avvenuta mentre filmava il giorno prima un video-coaching per giovani calciatori.  La notizia della sua morte sconvolse l'intero paese. Il suo ricordo rimane vivissimo nei cuori di coloro che ne hanno potuto godere l'umanità e la classe calcistica. Le parole con cui Walter Smith si è espresso nei confronti di Coop sono emblematiche: "God gave Davie Cooper a talent. He would not be disappointed with how it was used."
di Leonardo Aresi

21 marzo 2025

UP the colors. TOTTENHAM HOTSPUR. THERE IS ONLY ONE HOTSPUR

Nella zona nord di Londra, non ancora massicciamente urbanizzata, negli ultimi anni del XIX secolo la presenza di numerosi spazi verdi favorì la formazione di diversi club, dediti a rugby cricket e ovviamente football. Il Tottenham & Edmonton Weekly Herald, giornale locale, elencava le squadre di football della zona per la stagione 1881-82: Indipendent Athletic, Radicals e Latymer School a Edmonton mentre a Tottenham erano attive Tottenham Park, Wood Green Wasps e Hanover Athletic. Da circa due anni era attivo il Tottenham Cricket Club, formato per la maggior parte da alunni della St John's Middle Class School e della Tottenham Grammar School, i ragazzi decisero di formare una squadra di calcio per tenersi in allenamento nei mesi invernali, il 5 settembre 1882 venne ufficialmente fondato l’Hotspur Football Club, alla fine dell’anno i soci erano diventati diciotto.

Il nome era un omaggio a Herry Percy, Primo Conte di Northumberland soprannominato Hotspur, letteralmente testa calda, per il suo carattere combattivo e impulsivo (Northumberland, 20 maggio 1364Shrewsbury, 21 luglio 1403), cavaliere di nobili origini particolarmente valente sui campi di battaglia. Dopo aver creato un fondo cassa e reperito il minimo necessario per cominciare l’attività sportiva, venne deciso che ogni giocatore doveva provvedere a dotarsi di una maglia di colore blu scuro, adornata sul petto da uno scudetto rosso con un H di colore blu. Le prime due partite vennero disputate, contro due squadre della zona, Radicals (20 settembre, sconfitta 0-2) e Latymer School (altra sconfitta 1-8). 
Nell’agosto del 1883 i ragazzi chiesero aiuto a John Ripsher, personaggio molto conosciuto nella zona era il custode dell’YMCA e insegnava la bibbia in chiesa. Ripsher divenne così presidente e tesoriere del club, portò una vena organizzativa e si prodigò alla ricerca di uno spazio dove poter giocare le partite, a Park Lane. La prima partita di cui c’è un resoconto scritto risale al 6 ottobre 1883, vittoria per 9-0 contro il Brownlow Rovers, in questa occasione la squadra scese in campo con maglia e cappellino blue navy con pantaloni bianchi e calzettoni blu. Il 2 aprile del 1884 nel corso di una riunione venne deciso di adottare la denominazione Tottenham Hotspur FC, questo a causa dell’esistenza di un altro club denominato London Hotspur FC club fondato nel 1878 e sciolto circa venti anni dopo, da quel momento in poi nel Regno ci saranno tanti United, City, Rovers, Celtic, Wanderers e Rangers ma un solo Hotspur. Il 28 marzo 1884 il Blackburn Rovers vinse la prima di tre FA Cup consecutive, la vittoria della squadra del nord ispirò i ragazzi di Tottenham a cambiare divisa adottando la maglia bianca e celeste a quarti con collo a camicia chiuso da bottoni del Rovers, impreziosita da una croce di Malta bianca sul cuore, pantaloni e calzettoni rimasero invariati, dalla stagione 1886/87 sulla maglia comparve una H bianca al posto della croce. 

Nel 1888/89 gli Spurs si dotarono di un terreno recintato a Northumberland Park così da poter far pagare l’ingresso, un penny, agli spettatori. Per la stagione 1889/90 la maglia diventa bianca e navy blue a strisce verticali con collo a camicia, nel settembre del 1890 la divisa è composta da maglia rossa con collo a camicia, pantaloni e calzettoni blu scuro. Nell’autunno del 1895 il club adotta il professionismo e nel mese di ottobre, contro il Royal Artillery, viene adottata una maglia oro e cioccolato a strisce verticali con collo a camicia. Nel settembre 1898 gli Spurs decisero di cambiare, per l’ultima volta, la maglia adottando una casacca bianca con collo a camicia nella speranza di eguagliare i successi del Preston North End, sempre blu i pantaloni e i calzettoni. Nel frattempo il campo di Northumberland Park era diventato troppo piccolo, nell’aprile del 1898 14.000 spettatori presenziarono alla partita con il Woolwich Arsenal, alcuni di loro si arrampicarono sul tetto di una tribuna che crollò causando diversi feriti. Il 4 settembre 1899 viene inaugurato White Hart Lane, vittoria in un’amichevole con il Notts County, che rimarrà la casa degli Spurs negli anni. 
Nel 1901 il Tottenham, che partecipa alla Southern League, vince la sua prima FA Cup contro lo Sheffield United, 2-2 la prima partita e 3-1 il replay, gli Spurs sono l’unica squadra di non-league ad aver vinto il trofeo. A partire dalle stagione 1903/04 cambio stilistico con l’utilizzo di pantaloni corti e calzettoni con un risvolto a due righe bianche, in questi anni e più precisamente nelle stagioni 1909/10 e seguente, giocò con gli Spurs Walter Tull. Di origine caraibica, Tull è stato uno dei primi giocatori di colore a giocare ai massimi livelli del calcio inglese, per lui 10 presenze e due reti in due stagioni, successivamente si trasferì al Northampton. Partecipò alla prima guerra mondiale nelle fila dell’Esercito inglese, il 30 maggio 1917 venne promosso sottotenente diventando il primo ufficiale di colore di un battaglione regolare britannico, morì in combattimento il 25 marzo 1918. 
Nella stagione 1911/12 divisa invariata ma calzettoni con ampio risvolto bianco. Dalla stagione 1912/13 e per le tre successive la maglia presenta un collo a girocollo, con chiusura a laccetti o senza, si ritorna al colletto a camicia nella stagione 1917/18 e nelle stagioni a seguire le uniche variazioni riguardano il risvolto dei calzettoni, sempre bianco ma in diversi stili. A partire dalla stagione 1921/22 compare lo stemma sulla maglia, in realtà lo stemma comparve in anteprima durante la vittoria nella finale di FA Cup di qualche mese prima, le divise sono fornite dalla Bukta di Manchester, la prima ditta di abbigliamento a ad avere una linea dedicata al calcio fin dalla fine del XIX secolo. 
La fornitura passerà successivamente alla Umbro a partire dalla metà degli anni trenta, il modello di maglia diffuso in tutto il Regno per calcio e rugby era denominato Tangeru. Questa divisa rimarrà quasi invariata fino al marzo 1956, unica variabile la profondità del collo chiuso comunque sempre a bottoni, da tre a cinque, e dallo stile del risvolto bianco dei calzettoni. Con questa maglia gli Spurs vincono il campionato di Second Division nel 1949/50 e la stagione successiva diventano campioni d’Inghilterra per la prima volta nella loro storia. Nel marzo del 1956 finalmente arriva un nuovo modello di maglia, ovviamente bianca, con collo a camicia chiuso davanti da un triangolo, pantaloncini blu e calzettoni blu con ampio risvolto bianco. Dal 1959/60 la maglia ha il collo a V, nel 1960/61 i Londinesi ottengono il loro primo, e finora unico double vincendo campionato e FA Cup.
Il Tottenham esordisce in Coppa dei Campioni nel settembre del 1961 e il manager Bill Nicholson decide di adottare una divisa completamente bianca probabilmente perché alla luce artificiale è più visibile, secondo altre fonti si tratterebbe invece di un’imitazione della divisa del Real Madrid. Questa divisa all white era stata usata almeno due volte in precedenza in amichevoli serali, nel 1956 con il Racing Parigi e nel 1959 con la Torpedo Mosca. Il 31 ottobre 1962, partita di Coppa delle Coppe con i Rangers, viene indossata per la prima volta una maglia bianca con collo a girocollo, questo modello verrà usato fino alla fine della stagione 1976/77. Il 15 maggio 1963 a Rotterdam gli Spurs vinsero la finale di Coppa delle Coppe contro l’Atletico Madrid, 5-1 il risultato, la prima vittoria di una squadra inglese in una coppa europea. Una divisa completamente bianca venne indossata nella finale di FA Cup del 1967, vittoria contro il Chelsea, e dalla stagione seguente venne usata la divisa “storica” degli Spurs, ovvero maglia bianca con collo a girocollo, pantaloncini blu e calzettoni bianchi. 

Il 27 febbraio 1971 i Londinesi vinsero la loro prima League Cup, vittima di giornata l’Aston Villa, quel giorno gli Spurs scesero in campo con una divisa inedita e mai più usata, maglia bianca con collo a girocollo, pantaloncini blu ma di una tonalità più chiara del solito e calzettoni gialli. Nel maggio 1972 il Tottenham torna a vincere un trofeo europeo, questa volta la Coppa UEFA battendo nella doppia finale il Wolverhampton Wanderers con il risultato totale di 3-2. Nel 1975/76 appare per la prima volta il logo del fornitore Umbro sulle divise, in precedenza era apparso solo sulle maglie dei portieri, nella stagione successiva il logo è presente solo sui pantaloncini. Dalla stagione 1977/78 divise griffate
Admiral, per la prima volta il club ottiene un compenso oltre alla fornitura del materiale, maglia bianca con collo a camicia chiuso davanti da un bordo blu a V e strisce sempre blu sulle maniche contenenti il logo del fornitore, pantaloncini blu con strisce bianche e calzettoni bianchi con bordi blu. Dalla stagione 1980/81 divise fornite dalla Le Coq Sportif, è la prima volta di un fornitore straniero, in questa stagione e in quella seguente maglia completamente bianca con collo a V e bordini blu sottili, pantaloncini blu e calzettoni bianchi con bordo blu sottile, dal 1982/83 le divise diventano un po’ più sofisticate. Maglia bianca con effetto lucido/opaco a strisce verticali con collo a V e doppi bordini blu, pantaloncini blu sempre con effetto lucido/opaco e calzettoni bianchi con doppio bordino blu. 
Nel dicembre 1983, trasferta a Manchester contro lo United, compare per la prima volta sulle maglie il nome di uno sponsor commerciale, si tratta della Holsten-Brauerei di Amburgo. Nel maggio 1984 arriva la seconda vittoria in Coppa UEFA contro i belgi dell’Anderlecht, doppio 1-1 e vittoria inglese ai rigori. Nel 1985/86 comincia la fornitura della danese Hummell, da qui in avanti ci sarà una divisa nuova ogni due stagioni, nel primo biennio la Hummell propone una divisa completamente bianca, maglia con collo a V e disegni geometrici blu nella parte alta del busto, sulle maniche e sul fianchi dei pantaloncini. Nelle stagioni 1987/88 e seguente maglia completamente bianca con collo a camicia bianco chiuso a V da un bordino blu, pantaloncini blu con cintura bianca e calzettoni bianchi. Il biennio successivo maglia bianca con collo a V con bordino blu, pantaloncini blu con cintura e fasce laterali bianche e calzettoni bianchi, il logo su maniche e sui lati dei pantaloncini. 
Il 18 maggio 1991 gli Spurs vincono la loro ottava FA Cup, è il giorno in cui comincia la fornitura della Umbro ed è anche il giorno del grave infortunio a Paul Gascoigne che chiudeva la sua parentesi agli Spurs, la stagione successiva non giocò neanche una partita e poi si trasferì alla Lazio. Nella stagione 1991/92 e seguente la Umbro propone una maglia bianca con collo a camicia blu con inserti bianchi chiuso da un bottone, pantaloncini blu con inserti bianchi e calzettoni blu con ampio bordo bianco, il biennio successivo collo a camicia chiuso a V blu con bordini bianchi mentre i polsini sono blu con inserti bianchi e gialli, pantaloncini blu con cintura bianca e inserti bianchi e gialli, i calzettoni sono bianchi. Nella stagione 1995/96 e seguente il fornitore è la Pony, marchio in quel periodo di proprietà britannica, che propone una maglia bianca con collo camicia blu chiuso da bottoni, strisce blu sulle braccia solo nella versione a maniche corte, pantaloncini blu con strisce bianche sui lati e calzettoni blu con bordo bianco. Nel biennio successivo collo a V a righine blu e bianche, pantaloncini blu e calzettoni bianchi, righine sottili su maniche e pantaloncini, molto elegante. Nel 1999 arriva la Adidas che sarà fornitore per tre stagioni, ormai ogni anno si cambia divisa, in alcune stagioni si riscopre una divisa old style con una maglia completamente bianca mentre in altre stagioni il blu occupa più spazio. Nella stagione 2005/06 la Kappa propone le maniche blu mentre nel 2015/16 la Under Armour inserisce una fascia diagonale, molto bella la divisa indossata il primo ottobre 2007, avversario l’Aston Villa, in occasione del 125° anniversario dalla fondazione del club, una maglia bianca e azzurra a quarti. La seconda divisa degli Spurs non ha avuto una stile definito e nei primi decenni si sono viste maglie di diversi colori e stili, molto usate maglie biancoblù a strisce. Negli anni 50 e 60 predominanza del blu per passare al giallo nella stagione 1969/70. Negli anni 80 e 90 predominanza di azzurro e blu insieme al giallo. Negli ultimi vent’anni, con l’arrivo delle terze maglie abbiamo visto diversi colori alcuni davvero inguardabili, particolarmente brutta la maglia blu e viola a strisce verticali del biennio 1995-1997. Tradizionalmente i portieri del Tottenham hanno sfoggiato delle bellissime maglie di colore verde brillante, molto british, negli anni 80 usato con una certa frequenza il blu. 
Negli ultimi decenni divise di vari colori come da moda.

Lo stemma del club è sempre stato un gallo da combattimento, leggenda vuole che Harry Hotspur fosse appassionato di questa barbara usanza. Lo stemma venne apposto alla maglia per la prima volta nel 1921, in occasione della finale di FA Cup e da allora è sempre stato presente sulle divise pur con diverse variazioni stilistiche. Il logo più usato, il gallo da combattimento ritto su un pallone, venne ideato dall’ex giocatore William James Scott nel 1909.
Nel catalogo HW del Subbuteo gli Spurs compaiono con due diverse numerazioni: numero 18, maglia bianca con pantaloncini blu e calzettoni blu con bordo bianco; numero 154 sempre maglia bianca ma pantaloncini blu scuro quasi nero e calzettoni bianchi.
di Gianfranco Giordano

20 marzo 2025

"FOOTBALL TALES" Episode 1 di Luca Di Lullo & Andrea Alfonsi (Urbone), 2024


Football Tales Episode One, parafrasando i più noti “Duck Tales” di disneyana memoria, vuole essere un testo semplice ma allo stesso tempo ricco di spunti e di aneddoti per il lettore che vive la sua passione per il calcio in maniera viscerale.
L’idea è quella di mettere insieme storie di calcio apparentemente slegate tra loro ma che, in realtà, sono unite da sottile “fil rouge”, quello della voglia di esplorare quel sottobosco calcistico nel quale si muovono squadre, giocatori ed allenatori spesso sconosciuti ai più.
Il lettore non troverà il racconto delle gesta di squadroni noti e celebrati, bensì qualcosa di diverso e, magari, di più misterioso e, proprio per questo, più originale.
E così si passa con disinvoltura dal calcio inglese (rappresentato da Notts County, Charlton Athletic, Burnley, Blackburn Rovers, Tranmere Rovers e Wimbledon) a quello francese (Valenciennes e Troyes) passando per la Germania (Stoccarda), il Portogallo (Sporting) e la fredda Svezia (con le tre regine di Stoccolma). Un bel mix di calcio raccontato con l’intenzione di spingere il lettore ad uscire dal dorato mondo dei top club per entrare in quello di squadre magari meno note (non tutte) ma dalla grande tradizione sportiva.

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