31 agosto 2024

TEMPI MODERNI (part 1).

Si stava meglio quando si stava peggio? 
Non si sa, ma a volte sembra proprio di si: quando c'erano il mistero e il dubbio, quando c'era d'attendere per sapere notizie che oggi ti si sviluppano davanti. Bisognava muoversi, darsi da fare, agitarsi, e spesso non era sufficiente. Fili tesi attraverso una stanza, appoggiati al televisore, tragitti supplementari in autobus e malintesi telefonici, tutto per arrivare a sfiorare qualcosa e a sentirsi coinvolti, anche con modalità postdatata. Oggi accendiamo il televisore al sabato pomeriggio e piombiamo direttamente al Villa Park o ad Highbury (finchè ce lo lasciano), ci appiccichiamo ad Internet e seguiamo la partita controllando ogni aggiornamento in tempo reale, tanto che l'ultimo spettatore allo stadio non si è ancora seduto che noi abbiamo già appreso, dal salotto, autore della rete e modalità. Compri Four Four Two e persino le sicofantesche riviste delle varie società all'edicola in centro, e ti piace e ne godi, ma a volte sembra tutto così facile che non c'è gusto e allora ti chiedi davvero se non si stesse meglio quando si stava peggio, quando andavi all'aeroporto (di Bologna, nel mio caso) alla domenica ora di pranzo, appena arrivava il volo da Londra, sperando che gli addetti della British Airways si impietosissero e ti lasciassero - invece di buttarlo nel bidone - un Sunday Mirror, un Sunday Times, un Sunday qualcosa che ti permettesse di leggere le cronache delle partite nello stesso giorno - mio Dio! - di quando lo potevano fare gli inglesi. A volte andava buca, a volte non ce n'era (ma figurati...) una copia salvabile o decente, a volte arrivava lo straccetto di fogli ed andavi subito a cercare le pagine dello sport, ma se ti capitava l'occhio su qualcos'altro rischiavi di soffermarti lì, tanta era la fame di ambiente britannico. Adesso su Internet si leggono ogni giorno quotidiani inglesi a non finire, nello stesso giorno e nelle stesse ore di lassù, anzi prima perchè alle 2.30 della mattina il The Times è già online e non so quanti londinesi l'abbiano già letto, in quel momento. Ma non è un male, non vogliamo trasformarci in vecchi lamentosi, è l'evoluzione dei tempi, e se abbiamo rimpianti è meglio che ce li teniamo per noi - o su una fanzine, o in un libro - e non rompiamo le scatole a chi ha tutto il diritto di appassionarsi al calcio inglese e rimane incredulo quando gli si racconta cosa si faceva una volta per arrivarci. Si usciva da scuola, alle medie appena oltre metà anni Settanta, ed invece di dirigersi verso la fermata dell'autobus si andava a piedi - dieci minuti, pieno centro ma in zona che per me non esisteva neppure, tutto casa e scuola com'ero - all'unica edicola che forse aveva qualcosa. Qualcosa che poteva essere un quotidiano di cui non ricordo il nome, forse The Times stesso, qualcosa che ogni tanto poteva essere acquistato centellinando i denari, per scorgere i risultati scritti come ancora mi piace tanto, tipo:

Arsenal 2 (1) Tottenham 0 (0)
Sunderland 33 44,578
Price 56

Oppure, ma questa è una storia lunga, si bramava addirittura una rivista, addirittura il mitico Shoot che in realtà era molto infantile ma per me era come un dono dal cielo. Scoprii Shoot un giorno del 1976, credo, arrivato per misteriosi motivi all'edicola di Piazza Maggiore, e mi ci tuffai sopra prima che qualcuno potesse rubarmelo. C'erano addirittura foto a colori, poche, ma quella carta interna tipo giornale aveva un profumo inconfondibile e io l'adoravo. Chiesi all'edicolante come l'avesse e lui - credo, ma mica ricordo le parole - disse che era arrivata per caso, mi disse anche che se la volevo ogni settimana dovevo ordinarla ad un'agenzia e mi diede il numero. Telefonai, sorprendentemente lucido pensai che sarebbe stato meglio farla arrivare alla mia solita edicola vicino alla scuola, e dalla Inter... qualche cosa mi dissero che era possibile, quasi non ci credevo. Dopo tre settimane l'edicolante, quello vicino, delle figurine e non di Piazza Maggiore, mi diede la copia ed il pensiero che io potessi comprare, anche in ritardo di dieci giorni, un settimanale di calcio mi pareva un sogno. Infatti crollò presto: dopo tre numeri non arrivò più nulla, io feci passare qualche giorno - non ho mai avuto un grande coraggio nelle proteste - poi chiamai la Interqualcosa e chiesi docilmente spiegazioni. Caddero dalle nuvole e mi ferirono con la loro antipatia, facendomi probabilmente compiere il mio ingresso nel mondo dei "grandi", della gente che se ne strafrega dei sogni: finsero di non avere mai portato a Bologna alcuna copia di Shoot, ed addirittura il mio interlocutore mi disse "ma guardi che è una rivista porno!", e allora probabilmente le tre copie di Shoot che avevo in casa non le avevo lette bene, perchè io avevo trovato solo il Luton Town e lo Shrewsbury, non qualche donnina che in quel momento - vero, vero - mi interessava certamente di meno. Dopo un paio d'anni a Shoot mi abbonai addirittura, mi facevo inviare ogni fine mese le quattro copie settimanali, tutte assieme per risparmiare, tanto a me bastava leggere e guardare le foto, non certo avere quell'attualità che mi dava la radio, la BBC con il suo World Service, le dirette delle partite rovinate dal fruscio del sabato pomeriggio, una routine che mentre gli altri adolescenti uscivano mi teneva - volentieri - appiccicato al tavolo dalle 15.45 alle 18.30 ed
anche più, con il quaderno dei compiti davanti così non stavo a correre il giorno dopo. Era un'esperienza bellissima e terrificante: bastava che passasse qualcuno e il segnale si indeboliva, ma la radio era in cucina e non potevo certo costringere genitori e fratelli a non frequentarla, mi mettevo la cuffia con le "orecchie" imbottite e speravo di sentire tutto quello che mi serviva, anche se dopo le 18, quando i risultati erano definitivi, il segnale si indeboliva e dovevo spostarmi su un'altra frequenza, a volte incerta, a volte accavallata ad altri linguaggi astrusi che non capivo, a volte sparita del tutto, e allora dovevo attendere le 23.45 (ricordo bene?) per il notiziario definitivo, e lo era sul serio perchè non si giocava alla domenica, sabato alle 18 era tutto finito. E potevo spostare i cartoncini con i simboli delle squadre nel "portaclassifica" che Shoot regalava, e che a fine anno era rovinato dal troppo uso.
Naturalmente, come vadano ora le cose lo sanno tutti, ma era semplicemente una scusa per parlare del passato e gettare sale nelle ferite, le stesse che con il loro dolore permanente - ogni volta che uno stadio inglese viene chiuso, ogni volta che un calciatore mediterraneo veste la maglia di una squadra britannica (gli scandinavi no, loro vanno bene) - ci fanno continuamente chiedere se si stia meglio ora, in diretta da Goodison Park e subito dopo via la linea e spazio alla pallavolo (non è una critica a Tele+, sia chiaro, che sul calcio inglese ha benemerenze infinite), che non una volta, quando c'erano l'ansia della scoperta e il mistero della trasmissione radiofonica. Mi astengo dal giudizio, però, perchè io e gli altri nostalgici non abbiamo alcun diritto di impedire alle nuove leve della passione inglese di avvicinarsi alle partite e alla loro atmosfera attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e i viaggi a basso costo (che belli!): oppure mi trasferisco a fare il cane da slitta in Antartide, così gli uomini della base McMurdo mi fanno leggere il quotidiano solo una volta alla settimana, quando arriva il cargo con i giornali, e la tempesta di neve che fa friggere il segnale di BBC Antarctica mi ricorderà di quando mia mamma passava davanti al forno e faceva sparire il risultato di Carlisle-Hull City.
di Roberto Gotta, da UKPF (dicembre 2002)

30 agosto 2024

COMING SOON...🕘 dal 1 settembre 2024!!! Eccoci.. prossimi al nuovo progetto sul⚽️football e la cultura britannica!🇬🇧


 

A SHEFFIELD il derby d'acciaio.



Nel mondo del calcio, da sempre, esiste un connubio che ha aggiunto a questo sport un qualcosa di unico e di magico. Quante volte si è sentito parlare di calcio e lo si è associato ad una questione sociale, nella fattispecie, proletaria?
“Football & Working Class” sono due elementi che riescono a dar vita ad una miscela, senza dubbio, caratteristica che crea un forte senso di appartenenza sia in senso sociale che in senso sociologico. Se ragioniamo con la mentalità del calcio moderno è lecito pensare che un senso di classe operaia non può essere assolutamente associato ai vari magnati e sceicchi che investono miliardi su di un club, perlopiù, per fini di marketing ed immagine; quindi, forse, oggi il calcio moderno, si può affermare, senza ombra di dubbio, che ha preso forti distanze dall'aspetto proletario dal quale questo nacque.
Ci sono posti e luoghi, però, dove l'essenza del proletariato ancora è il cuore pulsante di una città anche sportivamente parlando.
Ci troviamo in Inghilterra precisamente nella regione dello Yorkshire & Humber e, dirigendosi a sud della regione, South Yorkshire, ci si imbatte nella cosiddetta “Città di Acciaio” la protagonista del nostro articolo. Siamo a Sheffield.
Durante il XIX secolo Sheffield diventò famosa a livello internazionale per la produzione dell'acciaio appunto. Proprio lì si svilupparono molte innovazioni, inclusi il crogiolo e l'acciaio inossidabile, che portarono ad un'impennata della popolazione di quasi dieci volte durante la Rivoluzione industriale. Sheffield divenne ufficialmente una città nel 1893, ricevendo il suo statuto municipale. 
La città è cresciuta molto grazie alle sue forti radici industriali e ora si fonda su una base economica più ampia. Sorge su di un terreno di tipo collinare e, per questo motivo, è nota anche con il nome di "the city of seven hills" (la città delle sette colline). Il nome Sheffield lo si deve al fiume che attraversa la città: Sheaf.
Come detto la città ha sempre avuto un'impronta di tipo proletario e proprio questo senso di appartenenza od attitudine sociale è stata portata anche sui campi da calcio delle due squadre locali.
I due club sono lo Sheffield Wednesday, fondato nel 1867, e lo Sheffield United, fondato nel 1889. Il derby tra le due compagini ha il nome caratteristico di “Steel City Derby” proprio richiamando alla produzione d'acciai all'interno delle fabbriche presenti in città. Questo derby è considerato uno dei più affascinati, storici e sentiti di tutto il Regno Unito.
Lo Sheffield Wednesday è il club più antico tra le due compagini ed è caratteristico il suo nome perché quando venne fondato si chiamava “The Wednesday Cricket Club” la cui denominazione era dovuta al giorno in cui la squadra giocava i propri incontri: Mercoledì.
I colori sociali sono storicamente il bianco e blu ed il suo simbolo, il gufo, è dal 1956 lo stemma ufficiale del club da dove prende vita il soprannome: “Owls”.
Le partite casalinghe vengono disputate all'interno del famoso impianto Hillsborough Stadium. Questo divenne l'impianto ufficiale del club a partire dal 1899 quando, il Wednesday, abbandonò l'Olive Grove.

























Per quanto riguarda lo Sheffield United, questo venne fondato, come detto, nel 1889 con il nome di Sheffield United Cricket Club in quanto riuniva anche i club di cricket presenti in città. I colori del club sono il bianco e rosso ed ha come simbolo due spade incrociate dal quale deriva il soprannome del club, The Blades (lame). Le partite casalinghe vengono giocate in un altro storico impianto britannico, Bramall Lane. Questo impianto vanta la notorietà di essere il più antico stadio al mondo ancora in grado di ospitare partite di calcio professionistico.
Per quanto riguardano i palmarès dei due club, ad oggi, lo Sheffield Wednesday può vantare nove trofei in bacheca mentre, i cugini dello United, sono fermi a cinque trofei.
Il primo derby tra le due squadre venne giocato il 15 dicembre del 1890 ad Olve Grove (vecchio impianto degli Owls). 
Fu una partita amichevole dove lo Wednesday si impose sul neonato Sheffield United per 2-1. Il primo vero e competitivo Steel City Derby, invece, venne giocato il 16 ottobre del 1893 durante la stagione di First Division 1893-1894 dove si ebbe, come risultato finale, un pareggio per 1-1. I due club, dalle loro rispettive fondazioni, si sono scontrati spesso tra la prima divisione e la seconda divisone eccetto nelle stagioni 1979–80 e 2011–12 dove le due compagini si scontrarono addirittura nella terza divisione inglese.
Tra le indimenticabili partite tra i due club, la più famosa resta quella giocata a Bramall Lane  l'8 settembre del 1951 dove, lo United, s'impose sullo Wed per 7-3. 
Il Wednesday passò in vantaggio dopo appena novanta secondi con Thomas, ma i gol di Derek Hawksworth e Harold Brook hanno dato, allo United, la possibilità di ribaltare la situazione portandosi in vantaggio di 2 reti a 1 che sarebbe stato maggiore se McIntosh, portiere del Wed, non avesse parato un rigore a Fred Furniss.
Nella ripresa Dennis Woodhead pareggiò per gli Owls dopo sessanta minuti ma, in rapida successione, Alf Ringstead , Hawksworth, Ringstead di nuovo e Fred Smith andarono a segno per lo United. Infine, Woodhead dello Sheffield Wednesday, andò in rete prima del conclusivo settimo goal di Brookha per gli Blades. Dunque, il match, si concluse con un risonante 7–3 e, a fine stagione, nessuna delle due squadre venne promossa in Prima Divisone o retrocesse in Terza Divisione. Comunque sia questa partita rimase indelebile in questa rivalità e viene ricordata, ovviamente, con più piacere dai tifosi biancorossi dello Sheffield United.
Altra battaglia che viene ricordata negli annali di questo derby storico è quella che venne rinominata “The Boxing Day Massacre”
Questa partita venne giocata il 26 dicembre del 1979 e viene ricordata come la più grande e risonante vittoria dello Sheffield Wednesday. Si giocava in quel di Hillsborough (casa del Wed) e i due club militavano, addirittura, in Terza Divisione. Il match fu praticamente a senso unico con i padroni di casa che impartirono, ai rivali cittadini, una lezione di calcio. Grazie alle reti di Ian Mellor , Terry Curran , Mark Smith e Jeff King, gli Owls ebbero ragione sugli avversari per quattro reti a zero. Lo United, all'epoca di quella partita, era in testa alla classifica mentre il Wednesday era al quarto piazzamento in classifica. La vittoria dei bianco blu spinse, gli stessi, alla promozione. E' opinione diffusa pensare che, quella vittoria e quella promozione in Seconda Divisione, abbia plasmato le fortune dei prossimi venti anni per lo Wed, mentre lo United languiva nella Terza Divisione prima di essere retrocesso, addirittura, in Quarta Divisione.
Altro scontro leggendario fu quello giocato precisamente il 24 settembre del 2017. 
In quella stagione lo Sheffield United approdò dalla League One in Championship dove, ad attenderli, c'erano proprio i rivali dello Sheffield Wednesday i quali mancarono la promozione in Premier League perdendo ai play-off nella stagione 2016-2017. Quel giorno si giocava ad Hillsborough e quella stessa partita porta un nome simile a quella giocata il 26 dicembre del 1979. Quella partita viene ricordata come “The Bouncing Day Massacre”
Appena prese il via la partita, al terzo minuto, lo United si portò in vantaggio grazie alla rete su punizione di Fleck. Al 15' ecco un'altra rete per gli Blades siglata da Clarke che portò tutto Hillsborough in un silenzio assordante eccetto i tifosi biancorossi dello United atti a sbeffeggiare gli avversari. L'orgoglio Owls non si fece attendere ed ecco che, nei minuti di recupero della prima frazione di gara, arrivò il goal di Hooper che accorciò le distanze prima del fischio finale del primo tempo. Nella ripresa, ovviamente, lo Sheffiled Wednesday ha più fame anche perché, il risultato, li vede sotto di una rete. Al 65' arriva il tanto ambito goal del pareggio, siglato dal portoghese Lucas João, che fa letteralmente scoppiare di gioia tutto lo stadio a maggioranza Wed. Il calcio, però, lo sappiamo un attimo ti porta in paradiso per poi farti ripiombare nell'inferno. Mentre i tifosi padroni di casa dello Sheffield Wednesday sono presi dai festeggiamenti, sbeffeggiamenti verso gli avversari e saltelli in ogni settore dell'impianto...arriva la doccia gelata. Al minuto 67, esattamente due minuti dopo il pareggio, su di una verticalizzazione lo United passa nuovamente in vantaggio grazie alla rete di Duffy. Improvvisamente, sopra ad Hillsborough, cala il buio totale il quale, però, dà il via agli sfottò dei tifosi Blades verso i tifosi Owls. Siamo sul 2-3. Dieci minuti più tardi, al minuto 77, la vera esplosione di gioia dei tifosi “away”. Clarke si fa largo con la forza tra i due difensori del Wednsday, Lees e Van Aken, e a tu per tu con Westwood insacca per la rete del definitivo 2-4. I tifosi di casa dello Wednesday non possono far altro che osservare i tifosi rivali atti a sbeffeggiarli con cori di scherno quali: “your not bouncing anymore!” (non salti più!). 
Quella partita viene ricordata con gioia da parte dei tifosi United più che altro per la dinamica del match in sé. Le prese in giro da parte dei Blades arrivarono a tal punto di produrre magliette, felpe, tazze da tè, bottiglie e gadget vari con su scritto, appunto, “The Bouncing Day Massacre”.
L'altra partita che merita di essere ricordata fu quella giocata il 3 aprile del 1993 in occasione della semifinale di FA Cup. La Football Association decise che quel “Steel City Derby” dovesse giocarsi in campo neutro ad Elland Road (lo stadio del Leeds United) mentre, l'altra semifinale tra Arsenal e Tottenham, si dovesse disputare sempre in campo neutro ma a Wembley. 
I tifosi di Sheffield Wednesday e Sheffield United non furono d'accordo con questa decisione, in quanto, non capita tutti i giorni di andare a vedere i propri beniamini all'ombra delle due torri che vi erano nel vecchio Wembley. Grazie alla pressione dei tifosi, spalleggiati dalla rispettive società, alla fine la Football Assosation decise di far giocare la partita a Londra presso Wembley. Il match si concluse con la vittoria per 2-1 dello Sheffield Wednesday nei tempi supplementari. Quel giorno venne raggiunto un record di media spettatori con la cifra 75.364 tifosi presenti sugli spalti dell'impianto per eccellenza del Regno Unito.
Per quanto riguardano schermaglie tra le due tifoserie, va detto, che spesso è capitata qualche scazzottata ma il tutto non ha mai avuto un'ampia cassa di risonanza di episodi clamorosamente violenti. Si dice che le due tifoserie abbiano un tipo di rapporto feroce ma sano come gli stessi rispettivi club. Basti pensare che lo Sheffield Wednesday costituito, ricordiamo, nel 1867, giocava le sue partite a Bramall Lane fino al 1889 abbandonandolo, poi, a causa di una disputa sull'affitto. Per compensare la perdita di entrate, il Comitato Cricket prese la decisione di formare un'altra squadra di calcio, così fu fondato lo Sheffield United diventando, Bramall Lane, la casa di quest'ultimi.
I due club molto spesso hanno collaborato tra di loro in onore della città stessa. 
Nel 2011 presero parte alla conferenza congiunta chiamata “Supporting Sheffield” nella quale venne annunciata una comune sponsorizzazione, da parte dei due club, di aziende produttive locali della città di Sheffield. I due sponsor locali erano Westfield Health (un'organizzazione sanitaria no-profit) ed il Gilder Group (un concessionario di automobili).
Arrivati a questo punto penso sia doveroso fare delle riflessioni conclusive. Probabilmente con il calcio moderno che orbita, ormai, tutto attorno al denaro l'essenza di classe operaia associata al “mondo pallonaro” sta andando sempre più scemando. A Sheffield i tifosi dei due club ancora sono orgogliosi delle loro radici e del loro senso di appartenenza sociale. Questo lo si percepisce sia ad Hillsborough che a Bramall Lane dove, i rispettivi supporters, ogni settimana lavorano nelle fabbriche e nelle acciaierie della città e, quando arriva il weekend, ci sono soltanto gli Owls oppure i Blades. Tutto il resto non conta più. Anche se non sono tra i club più titolati d'Inghilterra, il loro senso di appartenenza, la loro passione, la loro sana rivalità vale, probabilmente, più di qualsiasi fuoriclasse che possa, un giorno magari, approdare ad una delle squadre.

Che sia Sheffield Wednesday o Sheffield United, che sia Owls oppure Blades, che sia bianco blu o bianco rosso...QUESTA E' SHEFFIELD!
di Damiano Francesconi

29 agosto 2024

OH AH PAUL McGRATH

Ci sono vari tipi di calciatori: quelli che segnano valanghe di gol, quelli che costano paccate di soldi e spesso non li valgono, quelli a cui la vita ha dato tutto, felicità, fama, soddisfazioni e non ha chiesto nulla in cambio. Ci sono poi calciatori che non sono mai stati sulle prima pagine dei giornali, non hanno vinto palloni d’oro (magari perché giocano in difesa, e si sa che per molti pennivendoli sportivi se non segni sei trasparente), non hanno avuto storie d’amore con veline e vedettes, ma che tuttavia sono stati un esempio di lotta e sacrificio, facendo spesso diventare grandi squadre tutt’al più mediocri. Un esempio su tutti: Paul McGrath, la Perla Nera di Ichicore, venerato tutt’ora dai tifosi del Villa e dai seguaci della nazionale Irlandese, ricordato con affetto dai fans Man Utd, Derby County e Sheffield Utd. Paul il campione, l’uomo dai molteplici infortuni alle sue martoriate ginocchia, l’uomo con la schiena fragile e dispettosa, l’uomo con la faccia da pugile e il coraggio da leone; il coraggio di chi dalla vita spesso ha ricevuto schiaffi. Questa è la sua storia. Paul nasce a Ealing, sobborgo di Londra, nel 1959 da Betty McGrath, ragazza irlandese immigrata per lavoro, e da uno studente di medicina nigeriano che mollerà moglie e figlio subito dopo tornandosene in Nigeria. Betty quindi fa ritorno nella bigotta Eire degli anni sessanta con il piccolo Paul, ma non è ben voluta in quanto ragazza madre e per di più di un bambino di colore.
Presto iniziano le difficoltà economiche e la donna per lavorare è costretta a tornarsene in Inghilterra, lasciando il piccolo Paul in un orfanotrofio di Dun Laoghaire (sobborgo di Dublino).
Sotto la supervisione della direttrice dell’istituto orfanotrofio mrs. Donnelly, il piccolo Paul si avvicina al calcio, affascinato dalla mitica ala del Chelsea Charlie Cooke che sarà il suo idolo calcistico d’infanzia. Diventato troppo grande per l’orfanotrofio, Paul viene mandato in un istituto per ragazzi in difficoltà e vi rimane per qualche anno, continuando ad avere saltuarie visite dalla madre che in Inghilterra non se la passa troppo bene e che quindi non può riprenderselo con sé.
Il piccolo McGrath inizia a giocare a calcio prima con il Pearce Rovers e poi con il Dalkey Utd, povero in canna e con la madre lontana il ragazzo lavora inoltre prima come guardiano in un ospedale e poi come installatore di cancelli. Con il Dalkey Utd il ragazzo ha il suo primo serio infortunio che lo costringe in ospedale per qualche settimana e che gli causa una forte depressione, tale che i dottori rintracciano la madre, che decide di tornare in Irlanda e di riprendersi il ragazzo con sé. Paul inizia la sua carriera semipro con il St Patrich’s Athletic, e da lì viene notato dai talent scout del Man Utd. Dopo aver ricevuto l’offerta per un mese di prova, il ragazzo viene tesserato dai red devils e firma il suo primo contratto da professionista (200£ a settimana), sotto l’occhio amorevole del suo primo mentore Big Ron Atkinson. La vita cominciava a restituire a Paul quello che gli aveva tolto, ma non saranno tutte rose e fiori.
Il suo debutto in campionato è datato 13/11/82 contro gli Spurs, giocando da centrale difensivo con l’irlandese Kevin Moran. 
Nel 1985 vince la FA Cup, ma dall’anno seguente con l’avvento di Ferguson cominciano per Paul i problemi; lo Utd è rinomata come squadra di bevitori e il life style dei giocatori (soprattutto irlandesi) che vedono nella pinta di birra la meritata ricompensa alla fine di una giornata di duro lavoro, non è condivisa da Ferguson che accusa Paul e Norman Whiteside di tradire la sua fiducia. Complice un infortunio alle ginocchia Paul esce dalle grazie dell’allenatore, che spesso lo accusa di essere un ubriacone vagabondo, tutto ciò risulta comico considerando che Ferguson non è uno che pasteggia con l’acqua di Lourdes.
L’epilogo nel 1989: Ferguson propone a McGrath per la rescissione del contratto una buona uscita di 100.000£ e un testimonial match, Paul rifiuta; è guerra e alla fine il giocatore viene ceduto nell’agosto del 1989 all’Aston Villa per 450.000£. Tutti diedero del pazzo al Manager dei Villans Graham Taylor per aver speso tutti quei soldi per un giocatore con le ginocchia ballerine, ma da quella stagione per Paul inizia la vera gloria con il Villa e con la nazionale verde smeraldo.
Esordio da Villans il 19/08/89 a Nottingham contro il Forest: 1-1; nella difesa a tre del Villa Paul gioca alla grande vicino a Kent Nielsen e Derek Mountfield ed è subito secondo posto nella lega per i Claret & Blue subito dietro al grande Liverpool. Stagione successiva: Graham Taylor se ne va a far danno sulla panca della nazionale inglese e sulla panca del Villa arriva il ceko Venglos; sono dolori, la squadra si salva a stento ma Paul è uno dei migliori.
Stagione 91/92: sulla panca del Villa si siede Big Ron Atkinson e McGrath con il suo nuovo compagno Shaun Teale (tipo buffo che assomigliava a uno dei Monty Payton) fa scintille. Grande centrale difensivo, quando serve intelligente mediano, Paul gioca alla grande ed il Villa arriva secondo nel 92/93 dietro al Man Utd, e sempre contro i Red Devils di Cantona nel 1994 vince la Coppa di Lega per 3 a 1.
Nel 1995 ad allenare i Claret & Blue arriva la vecchia gloria Brian Little e la squadra si salva a malapena, ma l’anno successivo Paul fa da chioccia a due promettenti giovani Southgate ed Ehiogu ed è ancora Coppa di Lega, 3 a 1 al Leeds Utd.
Paul oltre ai problemi alle ginocchia accusa guai alla schiena, si allena solo in palestra ma il sabato è sempre in campo e se pur sofferente è sempre tra i migliori. La leggenda dice che è come una Rolls Royce che va usata con parsimonia, sta in garage tutta la settimana ed il sabato sfreccia in strada.
Dopo 315 gare in Claret & Blue il Villa lo cede non senza rimpianti al Derby County nell’ottobre del ’96 per 200.000£. Il nostro eroe contribuisce alla salvezza dei bianconeri e l’anno seguente chiude la carriera con lo Sheffield Utd, dove l’ennesimo infortunio e l’ennesima operazione lo fanno optare per l’abbandono del calcio giocato.
Fantastica fu la carriera di McGrath nella nazionale irlandese; sotto la guida di Jack Charlton, che lo utilizza come centrocampista difensivo, Paul partecipò ad Euro 88 in Germania e ai mondiali di Italia 90 e Usa 94. Euro 88 fu uno spasso: i verdi si tolsero lo sfizio di mandare a casa l’Inghilterra con le pive nel sacco (1 a 0 con gol di Ray Houghton).
Memorabile fu la campagna di Italia 90 dove i verdi furono battuti ai quarti di finale dall’Italia ma furono protagonisti di un buon debutto mondiale. Al ritorno a Dublino dopo la spedizione italiana c’erano migliaia di persone festanti ad accogliere la squadra all’aeroporto; quel giorno arrivava nella capitale in visita Nelson Mandela che stupito chiese il perché di tutta quella folla festante e soprattutto chiese come mai quella folla urlava una canzone a lui incomprensibile: “Oh Ah Paul McGrath”
Per chi scrive il top Paul lo diede a Usa 94 quando durante la gara inaugurale del girone i verdi batterono l’Italia di psycho Sacchi e il vecchio Paul bloccò l’allora più forte giocatore del mondo, Roberto Baggio. 1 a 0 per i verdi (Ray Houghton once again) con un tiro dalla distanza si realizza il sogno della folta comunità irlandese degli stati uniti.
Dopo il ritiro dell’allenatore Charlton il suo sostituto McCarthy decise di accantonare, non senza qualche colpo basso (leggetevi cosa dice al riguardo Roy Keane), il mitico Paul per favorire il ricambio generazionale. Peccato però che poi i verdi l’europeo del 96 e il mondiale del 98 lo videro in televisione. Chi conosce il mondo del calcio britannico sa quale sia l’amore ed il rispetto che i tifosi nutrono verso questo giocatore. Mi trovavo a Dublino qualche mese prima del suo addio al calcio, da giocarsi nella capitale tra la nazionale in verde ed una selezione di giocatori scelti da Jack Charlton, ed alcune persone mi dissero che da tempo era impossibile trovare un biglietto per la gara. L’Irlanda voleva tributare la giusta dose di affetto ad un figlio illustre rinnegato per stupidi motivi molti anni prima.
Oggi Paul è un signore di 47 anni, sposato in seconde nozze con Caroline, padre di 4 figli maschi (Cristopher, Mitchell, Jordan e Paul Jr.) che passa il suo tempo tra la famiglia e la scuola di calcio che ha creato con Frank Stapleton per dare una opportunità a tutti i piccoli potenziali McGrath irlandesi. In qualità di villans, sull’orlo di una crisi di nervi, mi auguro di vedere al più presto in claret & blue un nuovo Paul McGrath che magicamente scenda in campo al posto dello stordito Laursen e ci impedisca di fare le figure barbine che troppo spesso facciamo.
Un saluto a tutti gli estimatori del calcio che fu ed un saluto a questo campione, rassicurante come una pinta di Guinness, arguto come un elfo e combattivo come una canzone dei Pogues. Slainte Paul!
di Charlie Del Buono, da UKFP (dicembre 2004)

28 agosto 2024

TOP Lads. Uno speaker per amico.. Andrea Scarpellini.



Quattro chiacchiere con Andrea Scarpellini, 50enne romano, speaker per passione ed amante del football british, ma non solo.. 
Raccontaci com'è iniziata la tua passione per il calcio inglese?
Da piccolo primi anni 80. Il noto giornalista romano Michele Plastino, che poi divento' il mio primo direttore radiofonico, trasmetteva il calcio inglese su una tv privata Teleroma 56 insieme a Sandro Piccinini. Impazzii' improvvisamente. 
La telecronaca era la loro ma sotto si sentiva sia il commento del telecronista inglese e soprattutto la musicalità dei cori delle terraces.
Immagino che sei stato in Inghilterra, quale trasferta ricordi maggiormente?
Si tante e non ricordo il numero. 
Il viaggio piu bello nelle Midlands tra Birmingham e Nottingham tra le città che più amo, la prima industriale grigia che profuma di pallone, la seconda e' sempre stata una meta per poi vivere la partita al City Ground proprio in un match in first division nel lontano gennaio 2013.
Quali sono le caratteristiche del calcio inglese che piu' ti piacciono?
Gli stadi, le Firm con il loro stile e poi l'esultanza al gol..... Yeahhh !!!! Mi fermo perche' come tutti noi potremo proseguire oltre
Raccontaci come è nata l'idea della trasmissione radiofonica "Monday Night On Air"?
Amo tutto cio' che profuma di Regno Unito, football, musica, narrativa, cinema e tradizioni. 
Sono nato Speaker a 22 anni ruolo che ho dovuto lasciare dopo anni per motivi economici. 
La passione per il microfono è rimasta. E quando qualcuno mi ha chiesto: "Andrea ti andrebbe di tornare in Radio con un tuo format?" Yess. 
Semplicemente ho riunito le mie piu' grandi passioni microfono, cuffie e UK 🇬🇧. 
Ladies & Gentlemen ecco a voi il Monday Night On Air!!!

27 agosto 2024

"QUANDO ARRIVA IL SABATO. Storie di calcio britannico" di Luca Manes (Urbone), 2024

Il calcio britannico è una miniera inesauribile di storie. Tante ci avvolgono con la loro epicità dal passato, ma non mancano quelle legate ai giorni nostri, in un panorama che sta mutando, purtroppo non sempre in meglio. “Quando arriva il sabato” vi immergerà nella lotta infinita tra i vecchi nemici di Scozia e Inghilterra, vi farà entrare nella casa di George Best e nel minuscolo stadio del Clapton, vi narrerà le storie travagliate di Bury e Bolton, del feroce e poco conosciuto Cotton Mills Derby e quella infinitamente romantica del glorioso Ayresome Park inviso agli italiani, concedendovi escursioni nel mondo del rugby gallese e nella musica di Madchester, con una sana spruzzata di 2 Tone Ska dalle strade di Coventry. Perché parlare di calcio è una buona scusa per raccontare un Paese che val la pena girare in lungo e in largo, come ha fatto l'autore.

26 agosto 2024

WATFORD, Il volo del calabrone.





















Breaking hearts. E' il maggio del 1984 e Elton John, è nel pieno di un tour in Germania per promuovere il suo ultimo album. Breaking hearts, infrangere i cuori. Ma il cuore è un muscolo involontario, al cuore non si comanda. E allora nel bel mezzo dei concerti tedeschi, c'è uno stop, una sosta prestabilita, una fermata obbligatoria, quanto basta per prendere l'aereo e tornare a Londra. Si, perchè la storia aveva chiamato, fissando l'appuntamento. A Wembley il 19 maggio il Watford F.C sarebbe stato protagonista della finale di coppa d'Inghilterra contro l' Everton. Mai successo ne prima ne dopo.. almeno fino ad oggi.

La parabola era cominciata sette anni prima, quando lo stravagante cantante nato a Pinner distretto di Harrow nord-ovest londinese, decide che è giunta l'ora di provare a risollevare le sorti di quella che da sempre è la squadra per la quale fa il tifo. Watford appunto. The hornets, i calabroni per via del giallo nero delle maglie.
Il primo tassello si chiama Graham Taylor, inglese di Worksop.
Assomiglia a un ufficiale al servizio di sua maestà, sarebbe stato a suo agio anche a prua della Victory accanto a Lord Nelson fra i gorghi di Trafalgar, oppure in mezzo ai quadrati di Wellington a Waterloo a respingere i poderosi assalti della vecchia guardia napoleonica. Stratega accanto a strateghi. Ma le battaglie di Taylor sono sul campo di calcio. Da calciatore veste le maglie di Grimsby Town e Lincoln, ed è proprio lavorando come allenatore nel city che Elton John lo chiama e lo porta nel Watford, nella feroce quarta divisione inglese, nella pioggia e nel fango di Vicarage Road.
Ed e una scalata senza precedenti, solo il Wimbledon qualche anno dopo sarà capace di fare qualcosa di simile. 
Nel 1982/83 i golden boys sono ai nastri di partenza della massima serie, e sarà solo per lo strapotere del Liverpool che i ragazzi di Taylor non si sederanno sul trono d'Inghilterra. Certa nobiltà non ammette intrusioni al potere..
L'anno seguente non sarà un campionato felicissimo, ma c'è anche l'impegno europeo in coppa UEFA a limare le energie. Un avventura che si chiuderà negli ottavi di finale per mano dei cechi dello Sparta Praga.
Ma è la F.A. Cup a tenere banco a far sperare, a far brillare gli occhi, e il sogno va vicinissimo dall' essere realizzato. Nell' ordine cadono gli Hatters i cappellai del Luton Town in due derby infuocati, Charlton, Brighton, e Birmingham City. Poi si aprono le porte del Villa Park per la semifinale, giocata di fronte a 43000 spettatori . C'è il Plymouth a contendere l'accesso ai fasti di Wembley. Ci pensa Hot cross John Barnes a telecomandare un traversone per la testa del biondo George Reilly che segna il goal sicuramente più importante di tutta la sua carriera. 1-0.
Ci sono immagini di repertorio che testimoniano, la gioia, quasi l'incredulità dei tifosi del Watford all'indomani del successo di Birmingham. Cartelli affissi davanti alla sede del club, riportano: “FA cup final terrace tickets £ 5 Queue”. E poi sorrisi di gente entusiasta che mostra l'agognato biglietto dove spicca in nero l'inconfondibile sagoma della coppa più bella del mondo. Da Watford all' Empire Stadium la distanza è breve, solo poche miglia più a sud, non si cambia nemmeno linea, una decina di stazioni della metropolitan (quella viola..) e si scende a Wembley Park.
Il capitano è Les Taylor numero 4 che presenta i suoi compagni alle autorità;
Sherwood, Bardsley, Price, Terry, Sinnott, Callaghan, Johnston, Reilly, Jackett, Barnes. Allineato a pochi passi da loro c'è l' undici di Howard Kendall, forse l' Everton più forte di sempre, e che l'anno successivo a Rotterdam contro il Rapid Vienna conquisterà anche l'ormai ahimè scomparsa coppa delle coppe.
Per pura nota di cronaca questa è la prima finale giocata con maglie dove appare lo sponsor. “Iveco”, per il Watford su una “Umbro” giallo rossa da favola, “Hafnia”, per l' Everton su una “Le coq sportif”di un vivace blu per niente male. Il contrasto cromatico rende gloria al Dio del football.

Nella prima mezz'ora gli uomini di Taylor partono alla grande e si fanno anche piuttosto pericolosi, ma due episodi li condannano. Il primo avviene al 38' del primo tempo quando Greame Sharp intercetta un tiro di Stevens maldestramente sfiorato da Barnes che accarezza il palo e termina placidamente in rete . Poi al 51' della ripresa Andy Gray approfitta di un uscita diciamo non perentoria di Sherwood per sospingere in goal di testa un cross di Steven che sembrava non finire mai. Finisce 2-0, c'e solo la sempre suggestiva consolazione di salire i gradini del palco reale e ritirare la silver medal. I tifosi dell' Everton espongono uno striscione che recita: “sorry Elton- i guess that's why they call us the blues !” Scusaci Elton immaginiamo che sia per questo che ci chiamano i Blues.
Eh si, breaking hearts,.. è proprio il caso di cantarlo Sir, ci avete davvero spezzato il cuore.
di Simone Galeotti, https://lettereinchiaroscuro.blogspot.com

25 agosto 2024

"IL MODELLO INGLESE. Il calcio come strumento sociale" di Stefano Faccendini (UltraSport), 2024

“Modello inglese” è un’espressione alla quale si ricorre spesso per definire fenomeni diversi, dal sistema repressivo generato dal pugno di ferro con cui Margaret Thatcher decise di affrontare il problema degli hooligans a quello avido e sfavillante della nuova Premier League, che ha trasformato the working man ballet in industria di intrattenimento a uso e consumo della middle class. Quasi mai, invece, viene adoperata per descrivere la propensione, molto diffusa oltremanica, a utilizzare il calcio per fare del bene. Eppure è il volto più bello che può mostrare questo sport. Che si tratti di iniziative di solidarietà o di sostegno a persone in difficoltà, il football raggiunge la sua essenza quando è veramente al servizio della propria comunità di riferimento. Non solo durante i novanta minuti della partita, non soltanto rispettando il legame tra gli spalti e il campo da gioco, ma come strumento sociale che va oltre il tifo e aiuta in modo materiale e spirituale la vita della gente. La squadra, il club, è una parte importante dell’esistenza di milioni di persone, come le storie di questo libro dimostrano, e può diventare un punto di riferimento fondamentale, un rifugio, un aiuto, una speranza. A volte la sola.

24 agosto 2024

STADIA - Gli stadi scomparsi di Londra

Il continuo rialzo dei prezzi dei terreni e il calo degli spettatori hanno dato il colpo di grazia a molti stadi di Non League nell’area londinese.
Il paesaggio calcistico a questi livelli è mutato profondamente negli ultimi 40 anni e molti impianti sono scomparsi tra l’indifferenza dei media e molti rimpianti tra i tifosi delle squadre interessate. 
Dal 1991 ad oggi segnaliamo la scomparsa dei seguenti stadi: Champion Hill (Dulwich Hamlet), Lower Mead (Wealdstone) nella foto, Denbigh Road (Hounslow), Vicarage Field (Barking), Richmond Road (Kingstonian), Lynn Road (Ilford), Granleigh Road (Leytonstone), Brookland Stadium (Romford), Leas Stadium (Hillingborough), Green Pond Road (Walthamstowe Avenue), senza considerare che altri restano a rischio come quelli dell’Hendon o del Clapton. 
Il calcio a livello amateur fu molto popolare fino alla fine degli anni 50 quando iniziò il calo degli spettatori dovuto soprattutto al diffondersi delle partite di alto livello trasmesse in TV. 
Uno dei primi clubs ad avere problemi con il campo di gioco fu l’Ilford, fondato nel 1881, vincitore di 2 FA Amateur Cups oltre ad essere un protagonista della londinese Isthmian League. 

Alla fine degli anni 70 subentrò una dura crisi economica che portò la dirigenza a vendere il terreno su cui sorgeva lo stadio. 
Per sopravvivere si unì al Leytonstone, altro famoso club con tre FAA Cups e numerosi campionati vinti, giocando a Granleigh Road (nella foto sotto) sino alla fine degli anni 80, quando anche questo impianto fu venduto ad una impresa edile. Un altro nome noto era quello del Walthamstow Avenue che ebbe il suo periodo d’oro negli anni 50, quando arrivò addirittura, nella stagione 1952/53, al quarto round della FA Cup costringendo il Manchester United al replay; nello stesso anno vinse anche la FAA Cup. Green Pond Road poteva ospitare circa 15.000 spettatori, cosa che accadeva negli anni 30 e 40, ma alla fine degli anni 80 non più di 200 tifosi frequentavano questo stadio e nel 1988 la società si sciolse sommersa dai costi e con essa scomparve l’affascinante impianto.

Un altro team che perse il proprio stadio fu il Romford che aveva casa presso il Brooklands Stadium, noto per avere sotto la tribuna una sala da ballo, bar e ristorante per i directors e soci, il tutto con una capacità di oltre 10.000 posti. Durante gli anni 60 si ebbero ancora medie spettatori intorno alle 3.000 presenze, poi il calo degli anni 70 e la vendita dello stadio ormai divenuto enorme per le esigenze della squadra.
Nello stesso periodo si vide la demolizione di Vicarage Field del Barking, squadra dell’ East End che si trasferì di poche yards in un nuovo ma minuscolo campo nel 1979. Parlando invece di Champion Hill home del Dulwich Hamlet, si parla probabilmente del migliore stadio amateur in Inghilterra prima del progressivo deterioramento degli ultimi 20 anni. In questo stadio si arrivò ad ospitare oltre 20.000 tifosi in occasione di gare di campionato, semi finali o finali di FAA Cup o gare internazionali a livello dilettantistico. 
Col tempo, però, gli introiti del club furono sempre meno e le spese di manutenzione crebbero in modo esagerato. Nel 1991 una catena di supermercati acquistò il terreno ma almeno si impegnò ad edificare un nuovo stadio più adatto alle attuali esigenze del club sullo stesso sito del vecchio impianto. 
Ricordiamo come il vecchio Champion Hill (sotto in una foto anni '80) aveva due tribune coperte lungo le linee laterali e due capienti gradinate dietro le porte.

























Anche il Wealdstone vendette il suo terreno ad una catena di supermercati per coprire i propri debiti e da allora ha iniziato una vita nomade girando da uno stadio all’altro in attesa che il locale consiglio comunale approvi la costruzione di una nuova struttura. L’Hounslow cedette l’area di Denbigh Road nel 1991 per la costruzione di una scuola e nonostante il denaro ricevuto dopo pochi anni cessò di esistere; questo impianto vantava gradinate sui quattro lati con il main stand coperto con posti a sedere. Passando nel West End ci imbattiamo nell’Hillingdon che disputava i propri incontri al Leas Stadium dove ancora nel 1969 una folla di oltre 9.000 tifosi riempì le antiche gradinate per una gara di FA Cup contro il Luton Town, ma nel 1988 lo stadio fu demolito per ospitare un complesso residenziale. Particolare la vicenda del Wingate che fu costretto ad abbandonare il Maccabi Stadium perché fu deciso che qui doveva passare l’estensione dell’autostrada M1 e così anche questa struttura venne eliminata. 
Per finire è la volta di Richmond Road del Kingstonian che venne abbandonato nel 1988, ma qui almeno la società costruì un nuovo e moderno stadio con i requisiti di sicurezza omologati addirittura dalla Football League. Richmon Road era un magnifico impianto con una tribuna in legno e terraces su due lati del campo, mentre dietro una porta si trovava una bellissima club house con uffici, spogliatoi, bar e sede del supporters club. Durante gli anni 30 la media spettatori era di oltre 10.000 tifosi ridottasi attualmente a circa 1.200, poi durante la metà degli anni 80 la tribuna in legno venne ritenuta a rischio incendio e così il Kingstonian decise di costruire un nuovo stadio; per una volta non si tratta quindi di espropri, vendite, demolizioni ma bensì una scelta dettata dalla voglia di crescere ed ambire ad un più roseo futuro. Resta comunque triste avere visto scomparire così tanti luoghi storici, che ospitarono memorabili sfide con migliaia di appassionati stipati sulle gradinate, ma la cosa ancora peggiore e che i problemi che sembravano toccare solo gli stadi di Non League da qualche tempo sembrano intaccare anche quelli delle società professionistiche.
di Gianluca Ottone, da UKFP (marzo 2003)

23 agosto 2024

TOP Lads. Dall'Italia, Once Sky Blue forever Sky Blue!



Metà anni '90, la mia prima volta in Inghilterra ai tempi del liceo, una passione già attiva nei confronti del calcio d'Oltremanica ma ovviamente limitata per via delle possibilità del tempo. Perché il Coventry City?
La scintilla scatto' in me proprio durante quella vacanza studio, una sosta in un McDonald's sfogliando un newspaper sportivo, rimasi folgorato dal kit in mezzo a tutti gli altri presentati per l'inizio della Premier League. Amavo il calcio inglese,i suoi tifosi e le squadre ma non ne tifavo una in particolare, da quel giorno ne ebbi una! Una passione sbocciata e coltivata nel tempo,una fede che mi ha portato a conoscere meglio negli anni gli Sky Blues, la loro storia, viverli in prima persona non solo dall'Italia ma anche soprattutto ogni qual volta vado a vedere una loro partita. Ho potuto conoscere tante persone con cui mi sento attraverso la pagina italiana del Club che ho creato e gestisco su Facebook dal Febbraio 2014 ed anche incontro quando salgo non solo per le partite casalinghe ma anche per trasferte. Al mio attivo anche 3 finali (Checkatrade Trophy, playoffs League Two e Championship) ed una semifinale di FA Cup a Wembley dal 2017. 
In mezzo tanti anni difficili con embarghi, detrazioni punti, sfratti dallo stadio cittadino, rischi fallimento per poi negli ultimi due anni essere rilevati finalmente da una proprietà seria e ben strutturata che sta cercando di riportarci poco alla volta in Premier League da cui manchiamo dal 2001. 
Once Sky Blue forever Sky Blue! #CTID

Coventry City FC Italia 

22 agosto 2024

CHURCHILL, IL LEONE BRITANNICO

Torride notti anconetane, seminsonni, col ventilatore quale migliore amico, trascorse sconsolatamente davanti alla tv, che ha inaspettatamente trasmesso un documentario a cui sono rimasto incollato. Sonno perso sapientemente e percezione del caldo afoso ridotta al minimo, grazie al dissetante sidro britannico “Thatchers Gold”.. 
Vengo realmente catturato da un ritratto assai ricco, quanto obiettivo di Winston Churchill, il Primo Ministro inglese che cambiò il corso della Seconda Guerra mondiale, l’indomabile statista che stravolse il destino dell’Europa. Di lui si conosce praticamente tutto, ma sinceramente, un quadro così originale del premio Nobel per la letteratura non l’avevo mai ammirato. Analisi del personaggio sia sotto l’aspetto caratteriale che professionale, stilando il profilo di un un uomo dai curiosi risvolti. Lo statista tatuato era particolarmente allergico alla scuola, uno scavezzacollo non da poco. Da adolescente era stato vittima di una commozione cerebrale, si era danneggiato un rene, aveva rischiato di morire in un lago, era caduto ripetutamente da cavallo, si era schiantato in aereo ed era stato investito da un auto ! Amava dipingere e con ottimi risultati, a detta di Pablo Picasso. Prigioniero di guerra nel 1899, riuscì a scalare il muro della prigione e fuggì, nascondendosi in una miniera di carbone per ben tre giorni. Amava la scienza, credeva negli alieni e la sua spiccata estrosità, combinata ad un proverbiale senso dello humour, era spesso foriera di forti frasi ad effetto. Indimenticabile quella che più ci riguarda e riconducibile alla celebre “battaglia di Highbury” del 1934, tra Italia ed Inghilterra:

“Mi piacciono gli italiani, vanno alla guerra come fosse una partita di calcio e vanno a una partita di calcio come fosse la guerra.”

Il detto viene spesso accostato ad un severo giudizio sulla condotta italiana durante il secondo conflitto mondiale, sul Duce e sui suoi malandati battaglioni.. Churchill faceva preciso riferimento a quella epica partita, in cui il “sistema” di Herbert Chapman sfidò il “metodo” risultatista di Vittorio Pozzo, spuntandola solo a grande fatica. Su di un campo pessimo, venne giocata questa “amichevole” fra scuole calcistiche divergenti, i Campioni del Mondo in carica contro i “pionieri del football”. 50.000 tifosi spinsero gli inglesi ad una vittoria per 3-2, con gli italiani sotto di tre reti dopo appena dodici minuti. Carlo Ceresoli parò subito un rigore e Luisito Monti si fratturò l’alluce scontrandosi con Ted Drake. La veemente reazione d’orgoglio dell’Italia, frutto di una doppietta di Giuseppe Meazza, portò gli Azzurri a sfiorare la rimonta, tra gli applausi del pubblico estasiato, testimone di un match ruvidissimo per numero di contrasti e durezza di gioco ( Eddie Hapgood ne seppe qualcosa.. ). La “Perfida Albione”, come era stata apostrofata da Benito Mussolini, aveva ricevuto seppur vincendo, una eroica lezione.

Insomma, aforismi e frasi ad effetto erano il “pane quotidiano” di Churchill. La assoluta padronanza della descrizione storica e biografica, unita ad un’impeccabile arte oratoria, lo portarono a scrivere più di venti libri. I gatti costituivano la sua passione e rispettava gli orari in modo maniacale. Come maniacale era quella, da lui stesso definto “il cane nero”, ovvero la oscura depressione che lo attanagliava ad intermittenza, intaccandone talvolta, la leggendaria capacità di concentrazione. Iperattivo, ironico fino all’eccesso, era solito farsi almeno due bagni al giorno, trovando ( a suo dire ) nell’acqua calda un valido aiuto per riflettere compiutamente.. 
Un soggetto istrionico, piacioso e gioviale, che fra un whisky ed un immancabile sigaro mandò all’aria i deliranti oblii guerreschi di Adolf Hitler. Il leader del Partito Conservatore non era immune alla passione per il calcio. Nutriva una intima venerazione per il football e seguiva le sorti del Queen Park Rangers, non certo uno dei team inglesi più vincenti. 
A trasmettergli l’amore per gli “Hoops” fu suo padre Lord Randolph Churchill (nella stagione 1890/91 infatti compare tra i proprietari del Club), uomo anch’egli illuminato ed assiduo frequentatore del “Loftus Road”. Winston custodiva nell’ animo il sogno di vedere giocare in biancoblu il “Mago”: Sir Stanley Matthews, in forza allo Stoke City ed al Blackpool, “Pallone d’Oro” nel 1955. Una delle squadre più suggestive di Londra fece dunque breccia nel cuore dello stratega attraverso una passione irrazionale, tramandata nel nucleo familiare. Il “British Bulldog” assistette a vari traslochi e cambiamenti cromatici, visto che i londinesi inizialmente, indossavano divise a cerchi biancoverdi, come quelle del Celtic Glasgow. Il QPR lasciò però, sia padre che figlio a “bocca asciutta”, annoverando in bacheca solo una Coppa di lega vinta nella stagione 1966/67, battendo in finale il West Bromwich Albion. Il 15/1/1965 Churchill morì nella sua casa di Londra all’etá di 90 anni, in seguito ad un grave ictus, non potendo così assistere, per un soffio, alla unica vittoria della sua squadra favorita.
di Vincenzo Felici

19 agosto 2024

Il Leicester City torna in Premier League, ricordiamo la fantastica "favola" del 2016!



🔖Il Leicester City torna a giocare in Premier League dopo un anno di purgatorio in Championship. Quale migliore occasione per ricordare i libri usciti in Italia nel 2016 su quella meravigliosa "favola" delle Foxes di Ranieri & Vardy!

📚"LEICESTER UN SOGNO DIVENTATO REALTÀ" di AA.VV (Urbone), 2016
📚"MERAVIGLIOSO LEICESTER. La magia di Ranieri, i segreti di un'impresa" di Massimiliano Vitelli (Absolutely Free). 2016
📚"KING CLAUDIO. La straordinaria storia di Ranieri e del suo Leicester" di Stefano Boldrini (Gazzetta), 2016
📚"SE VUOI PROVARCI, FALLO FINO IN FONDO. Claudio Ranieri, storia di un vincente" di Malcom Pagani (Rizzoli), 2016
📚"L’ANNO DELLE VOLPI" di Enzo Palladini (InContropiede), 2016
📚"JAMIE VARDY. Dal nulla, la mia storia" di Jamie Vardy (Bompiani), 2016

15 agosto 2024

Semplicemente.. ANDY CAPP


























E’ uno dei miei “eroi” preferiti, fin da ragazzino era la “strip” più desiderata, non è totalmente collegata col football di cui tratta questa pubblicazione ma indubbiamente per molti versi ha le stesse passioni, pregi (pochi…) e difetti (molti di più…) dei frequentatori degli stadi britannici di un tempo.

Andy Capp nasce nel 1957 come intrattenimento domenicale per i lettori del Daily Mirror nell'edizione dedicata al nord dell'Inghilterra.
La direzione del Mirror chiese esplicitamente a Reg Smythe, l'autore e ideatore di Andy Capp, di studiare una figura che facesse sorridere i “northerners” possibilmente narrando vicende di vita vissuta non così lontane dalla realtà quotidiana degli abitanti di Newcastle o Middlesbrough.
Fu così che Smythe pensò di trasporre su carta ciò che ricordava della sua giovinezza trascorsa nella città natale di Hartlepool in pieno nord est, quando era testimone della vita quotidiana dei propri genitori e dei vicini di casa.
Reginald “Reg” Smyth (che diventò noto come Smythe, aggiungendo una e al suo cognome) nacque a Hartlepool nel 1917.
I genitori erano tipici rappresentanti della working class britannica, il papà era operaio presso i cantieri navali di Hartlepool, la mamma casalinga.
Lasciata la scuola a 14 anni il nostro Reg bighellona per un po' sino alla decisione di arruolarsi nell'esercito, dove dopo 10 anni di servizio raggiunse il grado di sergente.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale Smythe fu inviato in nord Africa.
Al termine del conflitto mondiale si congedò e si stabili a Londra dove trovò lavoro come impiegato delle Poste.
Successivamente si impiegò presso un'agenzia specializzata nella realizzazione di cartoons. Qui si fece apprezzare per una sua dote naturale, la capacità di disegnare.
Intorno alla metà degli anni ‘50 Smythe collabora quasi esclusivamente col Daily Mirror ed è qui, come già accennato, che nasce Andy Capp.
Il successo fu immediato, tanto che in breve tempo, le sue “strips” passarono dall'edizione “nord” a quella nazionale e nel 1963 fu lanciato negli USA dove incontrò altrettanto gradimento. Uguale riscontro lo ottenne in quasi 40 paesi e centinaia di quotidiani nel mondo. Smythe procedette senza sosta a disegnare le avventure della sua creatura ed ad ideare quasi quotidianamente le battute e freddure che renderanno Andy Capp un evergreen del fumetto. Continuò sino alla data della sua morte, avvenuta nel 1998, a causa di un tumore alla gola complice anche il suo vizio per le sigarette (solo negli ultimi mesi precedenti la sua dipartita Smythe decise di smettere di fumare e contemporaneamente tolse la sigaretta dalle labbra di Andy Capp).


Del nostro Andy che dire? Chi più chi meno lo conosce e lo “frequenta” da anni.
In Italia arrivò alla fine degli anni 60, i suoi albi pubblicati dall'Editrice Corno ebbero molto successo e le sue strips comparvero per anni sulle pagine de “La settimana enigmistica” con il titolo de “Le vicende di Carlo e Alice”.
Andy Capp è un ometto di bassa statura, porta un flat cap calato sugli occhi e sul nasone, una onnipresente cicca penzolante dalle labbra, un abito scuro ed al posto della cravatta usa una sciarpetta annodata. Insomma, né più né meno il ritratto del tipico inglese popolare degli anni 40/50. E' perennemente disoccupato anche pechè non cerca lavoro o comunque lo evita, tirando avanti col sussidio di disoccupazione che gli basta a malapena per qualche giorno di sbronze e scommesse su cani e cavalli.
Il pub è il suo regno, la sua vera casa!
Qui trascorre intere giornate tra sfide a freccette, biliardo, corteggiamenti alle giovani cameriere e ovviamente “qualche” pinta di bitter ale.
A casa ci sta il meno possibile.
Di solito nelle ore in cui il pub è chiuso, sonnecchia sul divano evitando accuratamente di sbrigare qualsiasi lavoro domestico, non risponde (o risponde male) all'esattore dell'affitto.
Nonostante non sia più un giovanotto è uno sportivo praticante; è parte integrante delle locali squadre amatoriali di calcio, rugby, cricket, freccette, biliardo.
In qualsiasi di questi sports riesce sempre a litigare con arbitri, avversari e anche a volte con i compagni di squadra!
E' rinomato per la foga con cui affronta i contrasti, tanto che, sovente, gli avversari che lo conoscono...lo evitano! Oltre a praticare sport è anche un tifoso accanito che segue la sua squadra del cuore (probabilmente l'Hartlepool United...) in casa ed in trasferta finendo sovente coinvolto in risse con i tifosi avversari.
Andy da vero “provinciale” e popolano, raramente esce dalla propria città dove in effetti ha tutto ciò che gli serve per andare avanti: i pubs, lo stadio, le corse dei cani, le maratone di biliardo, gli amici... Al massimo si concede una trasferta al seguito del suo club o un raro week end a Blackpool con la moglie.
Già, la moglie. Si, Andy nonostante tutto è sposato!
Lei si chiama Florence detta Flo o Florrie, più alta di lui, grassoccia, con una pazienza infinita. Lei è l'unico sostegno della famiglia, lavora in fabbrica e fa pulizie a domicilio, difende accanitamente il suo stipendio dagli assalti del marito che chiede continuamente prestiti per una bevuta Nonostante tutto è addirittura gelosa del suo Andy e non di rado lo aspetta sveglia nel cuore della notte per capire se sta rientrando dai bagordi con gli amici o se ha perso tempo dietro alle sottane delle cameriere.
Qui si scatenano furibonde discussioni che a volte terminano in scazzottate feroci (d'altro canto nei quartieri popolari di ogni città inglese il “wife beating” da parte del marito ubriaco o le bastonate della moglie al consorte tornato brillo dal pub sono sempre state una consuetudine piuttosto radicata).
Insomma, il successo di Andy Capp derivò dal fatto che le sue avventure non erano altre che uno spaccato della società inglese con i suoi lati postivi e negativi.
Le sbronze del venerdì e sabato sera, le risse fuori dal pub, le tifoserie arrabbiate, il rapporto col poliziotto di quartiere, la passione per gli sports (anche praticati), le scommesse...
Alla fine Andy Capp è un po' come vorremmo essere tutti noi, si dedica con passione e volontà alle cose che gli piacciono, evita volutamente le cose più impegnative e meno soddisfacenti come il lavoro, le cose imposte dagli altri o le serate noiose in compagnia dei parenti.
La sua ironia è graffiante, irriverente e non risparmia nessuno.
Non risparmia il Pastore che cerca di indirizzarlo verso una vita più sana e serena; non risparmia Rube, la vicina di casa che incita Flo a mollare Andy o la suocera, con la quale parla solo attraverso la porta e che non accetta in casa!
Alla fine di tutto Andy è contento così; lui dalla vita non chiede nulla (se non qualche scellino per le pinte e qualche scommessa) e non dà nulla in cambio...
I volumi editi in Italia dalla Corno sono facilmente reperibili a prezzi popolari ma il mio consiglio è di accaparrarsi alcuni volumi originali.
Intanto molte avventure inglesi non sono mai state pubblicate in Italia e poi il lessico usato è spettacolare. Con un minimo di dimestichezza e abitudine apprenderete espressioni e dialoghi diffusi nell'inglese popolare dove il “me” sostituisce il “my”, il “ya” al posto del “you” e “cheeky monkey” non è una razza di scimmia ma sta ad apostrofare una persona irriverente, un po' “faccia da schiaffi”...
Per concludere, bisogna segnalare che la città di Hartlepool nel 2007, dopo anni di discussioni, ha eretto una statua ad Andy Capp...
In fin dei conti Andy ed il suo creatore, sono sicuramente tra i “figli” più importanti della ventosa città del nord est!
di Gianluca Ottone

12 agosto 2024

Aspettando l'inizio del campionato con Finizio.

 Anni 80', aspettavamo agosto per l'uscita del Guerin Sportivo con la presentazione del campionato, le ultime news.. difficilmente reperibili, ma soprattutto le divise disegnate dal grande Finizio..

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