30 dicembre 2024

A SEA OF FLAGS, St. George's Cross o la Union Jack.

Siate sinceri, quante volte, seguendo una partita della nazionale o di clubs in trasferta, siete rimasti affascinati, colpiti, attirati dal vero e proprio mare di stendardi, bandiere, vessilli che solitamente vengono affissi negli stadi che ospitano l'incontro?



























Si, sono convinto che tra le tante cose che ci hanno entusiasmato nel corso degli anni seguendo il footie, proprio la massiccia presenza di tifosi che seguono la nazionale o il proprio club, portandosi dietro bandiere di svariate dimensioni rigorosamente da appendere e non da sventolare, abbiano avuto un ruolo notevole. Inoltre per chi era o è abituato a frequentare gli stadi italiani colpisce il fatto della presenza di bandiere nazionali anziché vessilli con i colori dei clubs anche quando si segue la propria squadra, eccezione fatta per i tifosi di Liverpool e Everton e, più recentemente da quelli del Manchester United, che portano con sé nella stragrande maggioranza, stendardi con i colori ed i simboli del club piuttosto che le bandiere nazionali.

Si, perchè, si segua la nazionale o il proprio club, la caratteristica delle tifoserie inglesi è sempre quella di usare la St. George's Cross o la Union Flag (o Union Jack) o le “ensignes” della marina (red o blue ensign della marina civile e commerciale, white ensign della marina militare), mentre, singolarmente, chissà come mai non è mai stata diffusa la RAF ensign ovvero la bandiera dell'aeronautica militare peraltro bellissima, quella celeste con il “target” circolare rossobiancoblu e la Union Jack nell'angolo in alto a sinistra.

I suddetti stendardi sono sempre stati poi impreziositi con le iniziali o il nome del club stesso o della città di provenienza e più recentemente, con l'ausilio della tecnica, anche stemmi e immagini varie. Se, come me, seguite il footie da molto tempo, avrete avuto modo di notare come la qualità degli stendardi sia cambiata molto rispetto a quelli che si vedevano durante i 70s, sicuramente si è guadagnato in qualità (materiali impermeabili come nylon o pvc, fori dotati di anelli di rinforzo per l'affissione, scritte stampate) ma si è perso in fascino, originalità, varietà (tessuti vari e non nylon, affissione tramite lacci cuciti dalla zia, lettere fatte con la vernice, con il nastro adesivo o in stoffa cucite pazientemente dalla mamma, dimensioni diverse).

























Provate a ricordare o tirate fuori dalla vostra videoteca immagini di vecchi turni di coppe europee o di gare della nazionale dei 70s e 80s. Noteremo immediatamente dove si trovavano i nostri supporters.. una linea continua o una sovrapposizione di Union flags (la maggioranza in quegli anni, molte meno le St.George's Crosses) di dimensioni varie, di provenienza varia. Non era poi così raro che i tifosi che partivano “on tour” al seguito dei Three Lions se non avevano già uno stendardo, andassero a cercarlo in un “military surplus store” ovvero un magazzino di materiale e abbigliamento militare usato, o nei tanti mercatini di cui solo a Londra se ne trovano un'infinità, piuttosto che nella soffitta della nonna o, casi realmente accaduti, si trafugavano dai pennoni di qualche edificio pubblico.. 
Il fascino di quell'epoca era sicuramente il livello più spontaneo, grezzo, vario, originale del football, del tifo, dei tifosi e dei loro vessilli (e anche troppa “esuberanza” sulle terraces e fuori..).

Alla suddetta varietà di bandiere si abbinavano gli stendardi a due aste (che riportavano frasi di incitamento piuttosto che frasi ironiche o a doppio senso ma sempre riferite all'evento sportivo in corso) retti dai tifosi che nel corso dei 70s e 80s passarono dalle sciarpe al collo e coccarde appuntate sul bavero alle “coppole” a spicchi, alle sciarpe annodate al polso, rarissimo l'uso delle replica shirts, in ogni caso tutti “stili” che faranno adepti nel corso degli anni successivi ovunque in Europa. 
Dagli anni 90 in avanti sia al seguito della Nazionale che dei clubs ha iniziato a prendere il sopravvento l'uso della St. George's Cross che ha quasi del tutto soppiantato la Union jack.
Diciamo che i tifosi inglesi hanno voluto sempre più identificare l'appartenenza alla loro Home Country e fronteggiare il sempre più crescente senso nazionalistico e di indipendenza di scozzesi, irlandesi, gallesi che non perdevano e non perdono occasione di esibire alle manifestazioni sportive e non le loro bandiere. Intanto però come già accennato precedentemente, si assiste ad una evoluzione grafica e di materiali. I vessilli non si procurano più ai mercatini o nei bauli della vecchia zia ma si ordinano a ditte specializzate (attualmente ve ne sono diverse che dominano il mercato, realizzando qualsiasi formato, qualsiasi scritta, qualsiasi disegno) inviando un bozzetto si riceve via e-mail o fax un preventivo, insomma anche in questo c'è stata la stessa evoluzione che c'è stata tra il caro vecchio footie dei 70s e 80s e quello attuale dove gli stadi, le maglie, i tifosi sono sempre più simili tra loro. 
Per carità, l'effetto che fa anche tutt'oggi il mare di bandiere, ovunque giochi la nazionale o un club impegnato nelle coppe europee, è pur sempre magnifico e unico.
Però, chissà se anche in queste cose non ci troveremo a rimpiangere la vecchia “white ensign” macchiata o la Union Jack scolorita con le lettere ritagliate e cucite rispetto alla perfezione e all'impermeabilità del pvc e delle precisissime scritte stampate, proprio come, almeno a me, mancano tanto le terraces, le maglie in cotone, il rotolo di carta igienica che piove in area dopo un goal...
di Gianluca Ottone, da "UK Football please"

29 dicembre 2024

LE ORIGINI DEL CALCIO INGLESE (part 2)
























In realtà l’approvazione dei 13 principi comuni, lungi dall’essere un punto d’arrivo, rappresenta solo il primo passo di un percorso ancora irto di ostacoli. Le prime ‘grane’ le piantano le Public Schools, a lungo i principali focolai di diffusione del nuovo gioco, ma quasi completamente escluse dal procedimento di formazione della FA e dalla codificazione delle prime regole comuni. 

Poi ci sono le ‘federazioni’ locali, ognuna della quali recepisce e modifica il codice della FA secondo le proprie inclinazioni. Fra le più dinamiche del periodo è la Sheffield Association, la quale adotta per esempio una diversa regola del fuorigioco. La vera minaccia all’affermazione del calcio è, tuttavia, l’attitudine di fondo di molti dei membri della neonata FA. Riunitisi con l’obiettivo precipuo di determinare un codice di regole comuni che consentisse di organizzare incontri senza doverne prima ‘contrattare’ le condizioni, i gentiluomini della Freemason’s Tavern (nella disegno sopra) sono adesso pronti a riprendere ognuno la propria strada. Solo la lungimiranza e la determinazione di ‘monumenti’ come C.W. Alcock (sotto) tengono accesa la fiamma nei primi, difficili anni della FA. 
Si arriva così, nel 1864, al primo match ufficialmente disputato con le nuove regole. Si gioca il 9 gennaio a Battersea Park, fra due selezioni facenti capo, rispettivamente, al segretario ed al presidente della FA.

L’esperimento ha successo, ma non basta ad imporre in tutta la nazione il codice approvato qualche mese prima. Esso attecchisce bene a Londra, dove il più importante dei club in attività, il Forest FC, l’adotta senza riserve. Ma è regolarmente disatteso altrove, soprattutto a Sheffield, dove peraltro il calcio si sta imponendo rapidamente grazie all’azione dello Sheffield, il club più antico del mondo, ufficialmente fondato nel 1857 ma già attivo dal 1855. 
All’inizio del 1865 il cosiddetto ‘Association Football’ (per distinguerlo, ad esempio, dallo ‘Sheffield Football’) è comunque giocato da un buon numero di club, fra i quali il Barnes, i Wanderers, il già menzionato Forest, il Civil Service, il No Names Kilburn, il Crystal Palace, il Forest School, che tutti troveremo più avanti fra i protagonisti delle prime competizioni ufficiali organizzate dalla FA. A parziale ‘discolpa’ dei ribelli va tuttavia ricordato che le 13 regole approvate dalla FA tacevano su aspetti fondamentali del gioco, quali il numero dei calciatori per squadra e la durata delle partite, lasciando ai rispettivi capitani l’incombenza di accordarsi prima del match. 

Ne vengono così fuori episodi come il 9 contro 14 di Barnes-Crystal Palace, o il 9 contro 9 di NN Kilburn-Wanderers, match durato solo un’ora. Stravaganze e disomogeneità di cui nessuno si preoccupa troppo; in fondo il calcio è ancora un gioco, e soprattutto si va in campo su base assolutamente amichevole, senza altra posta in palio che la supremazia sugli avversari di turno. Al gennaio 1865 risale un’altra ‘prima volta’ nella storia del calcio inglese. 
A Nottingham si affrontano Notts County, il club professionistico (lo sarebbe diventato dopo qualche anno) più antico del mondo (la fondazione ufficiale risale al 7 dicembre 1864) e lo Sheffield, di cui si è detto sopra. E’ il primo match ufficiale disputato da un club ancora oggi membro della Football League), e il Nottingham Review del 6 gennaio lo racconta come ‘un match che ha attratto un buon numero di spettatori. Di fronte il Notts County, formato 6 da pochi giorni, e lo Sheffield, club di lunga militanza’.

Pochi mesi dopo quest’incontro nasce il secondo club di Nottingham, il Forest, che nella stagione 1865-66 darà vita ad una serie di derby con il County, organizzati su andata e ritorno. Nella stessa stagione la FA organizza un incontro fra una rappresentativa londinese ed una di Sheffield, il primo dei match ‘inter-county’ destinati a prendere piede negli anni successivi. Il primo non è tuttavia un grande successo, a causa delle solite divergenze sulle regole del gioco, che impediranno ulteriori incontri Londra-Sheffield fino al 1871. Nel frattempo il calcio approda ufficialmente anche in Scozia, dove nel luglio del 1867 nasce il leggendario Queen’s Park, primo club scozzese e protagonista assoluto degli anni ’70 e ’80. 
Negli ultimi anni del decennio il calcio da un lato subisce la concorrenza del rugby, e dall’altro comincia a muoversi verso l’inevitabile approdo della ‘competitività’. Dal primo punto di vista, una serrata campagna di stampa favorevole al gioco ‘di mano’ codificato dalla Rugby School favorisce l’esodo di club e atleti dal gioco ‘di piedi’ della FA. A poco serve la considerazione che il rugby è di qualche anno indietro rispetto al calcio, non avendo ancora uno ‘statuto’ condiviso né un’organizzazione; in questi anni è più ‘di moda’ e tanto basta per attrarre giocatori e spettatori. 
Le cronache dell’epoca raccontano che ogni sabato, giorno tradizionalmente dedicato all’attività sportiva, a Londra si giocano match di rugby in numero da tre a quattro volte superiore rispetto a quelli di calcio. Forse anche per questo il calcio avverte l’esigenza di fare un passo avanti, tanto nel modo di giocare che nello scopo stesso del gioco. Non è insomma più sufficiente giocare solo per il gusto di giocare, si fa strada l’esigenza di giocare per un motivo, e dunque per vincere. Si inizia con la messa a punto dei primi rudimenti tattici del gioco, e la prima codificazione di posizioni e ruoli in campo.


















All’avanguardia in questo campo è la scuola di Eton, probabilmente la prima ad elaborare una disposizione razionale della squadra sul terreno di gioco, con tanto di definizione dei diversi ruoli. I primi ‘moduli’ di cui si abbia notizia prevedono un difensore centrale, un mediano e ben otto giocatori d’attacco, disposti ‘ad arco’ sul fronte offensivo. All’unico difensore è chiesto di lanciare il pallone nella metà campo avversaria appena ne viene in possesso, senza indulgere in un pericoloso possesso. Al mediano è lasciata più libertà di azione e la possibilità di optare fra i calcio lungo e l’azione palla al piede. L’azione degli attaccanti è invece una sorta di ‘mischia’ di ispirazione rugbistica, con tutto il reparto a proteggere il portatore di palla.

Con l’affinamento del modo di stare in campo e il lento ma costante aumento degli incontri disputati, comincia a definirsi anche una sorta di gerarchia informale fra i diversi club. L’ultima stagione del decennio è così dominata dai Wanderers e dai Royal Engineers, da poco affacciatisi sulla scena. Il loro quartiere generale è a Chatham, dove è anche il campo da gioco. E’ tuttavia una zona molto ventilata, e il gioco ne risente non poco, costringendo la squadra ‘di casa’ addirittura a dotarsi di palloni di riserva per non interrompere troppo spesso il gioco. In questa stagione i Sappers – così sono soprannominati gli Engineers – disputano diciassette partite perdendone solo una, ‘in trasferta’ sul campo della Charterhouse School. E anche questa va correttamente inquadrata nella prospettiva dell’epoca. In perfetta armonia con lo spirito cavalleresco degli albori, infatti, i Sappers scendono in campo con un atteggiamento diverso a seconda dell’avversario di turno. Contro squadre alla loro altezza mettono in campo quel gioco duro e ruvido che è il loro marchio di fabbrica; famose sono in quegli anni le ‘combined rush’ della linea offensiva degli Engineers, una specie di carica di cavalleria difficile di arrestare per qualunque difesa. Contro avversari più deboli (e le Scuole all’epoca lo sono), invece, i Sappers si astengono dai ‘pezzi’ più duri del loro repertorio, esponendosi quindi al gioco ‘gentile’ degli avversari. 
Anche questi eccessi di ‘cavalleria’, è chiaro, sono figli della connotazione assolutamente amichevole del calcio delle origini, in cui il risultato è solo un accessorio di una giornata di sport. I tempi sono però maturi per il definitivo salto di qualità, il passaggio alla competitività degli incontri; un salto che passerà per il primo incontro fra Inghilterra e Scozia (1871), ma soprattutto per il varo della FA Cup, al via nell’autunno del 1872.
di Giacomo Mallano, da "UK Football please"

28 dicembre 2024

LE ORIGINI DEL CALCIO INGLESE (part 1)






















Lo sport più amato e diffuso al mondo nasce come un gioco spontaneo, di strada, spesso violento ma arcanamente affascinante, tanto da attecchire in più luoghi e con varianti diverse, accomunate spesso solo dagli elementi di base: una ‘palla’, due squadre, una contesa. 
Le prime testimonianze di un gioco in qualche modo assimilabile al football ci arrivano dalla Cina, dalla Grecia e da Roma, e risalgono addirittura a duemila anni fa. Senza alcuna regolamentazione, quasi come una forma di vita ‘autonoma’, il ‘calcio’ attraversa i secoli, e torna alla ribalta nel rinascimento con le violente tenzoni di ‘calcio fiorentino’. Poi ancora oblio, fino al ‘colpo di fulmine’ fra il gioco e l’Inghilterra del XIX secolo, che ne diventa il terreno elettivo e la culla, il contesto dove nasce finalmente il calcio moderno. 

La prima metà del secolo è caratterizzata dalla prima diffusione del nuovo gioco fra i giovani dei ceti popolari. Si gioca in strada, senza particolari regole e con una veemenza che spesso sfocia in violenza. Si assiste a vere e proprie ‘battaglie di strada’, combattute fra squadre che possono essere composte anche di cinquecento persone e della durata di interi giorni. Alla fine restano sul campo danni agli edifici circostanti, feriti e in alcuni casi anche vittime. È comprensibile, dunque, che le autorità non vedano di buon occhio la diffusione del nuovo ‘passatempo’ popolare, e sostenuti dal clero e da gran parte della stampa tentino di soffocarne la crescita. Tentativo vano, anche perché la combinazione di fisicità e agonismo rende il calcio sempre più attraente agli occhi dei giovani, che anche nelle scuole iniziano a praticarlo. E proprio i college e le università diventano il vero motore della diffusione del nuovo gioco. Si inizia a definire delle regole, che tuttavia ogni istituzione fissa a modo proprio, non risolvendo pertanto l’anarchia che caratterizza questa fase. Il radicamento del calcio nelle istituzioni scolastiche, che con esso cominciano ad identificarsi, costringe tuttavia a compiere il passo definitivo verso la fissazione di standard comuni. Le prime partite amichevoli, infatti, evidenziano la difficoltà di misurarsi e divertirsi se ognuno fa riferimento alle proprie regole, spesso in totale contrasto con quelle dell’avversario.

I rappresentanti di alcuni club fissano dunque un incontro alla Freemason’s Tavern (nel disegno sopra l'evento alla Freemason's), con lo scopo proprio di fissare regole comuni e costituire un’associazione che ne verifichi l’applicazione. Il primo meeting si tiene il 26 Ottobre 1863, e segna la storica data di nascita della Football Association, la prima istituzione calcistica al mondo. 
Intervengono i rappresentanti di dodici club: Forest (che diventerà i Wanderers, primi vincitori della FA Cup), NN Kilburn, Barnes, War Office, Crusaders, Perceval House, Crystal Palace, Blackheath, Kensington School, Surbiton, Blackheath School, Chartehouse School

Tutti concordano sulla petizione associativa, e deliberano che ‘i club rappresentati a questo meeting si riuniscono in un’associazione denominata The Football Association’. 
Più difficile l’accordo sulle regole, tanto che le diverse e spesso contrastanti proposte in discussione costringono a rinviare la decisione definitiva. La contesa si polarizza su due posizioni: quella sostenuta soprattutto dal Blackheath, che intende adottare la variante di calcio codificata dalla Rugby School, e quella che invece predilige il codice della Cambridge University. Il dissidio è di non poco conto e si rivelerà di importanza capitale nel definire il calcio moderno. La ‘variante Rugby’, infatti, consente di prendere la palla con le mani, placcare gli avversari per riconquistarne il possesso e perfino ‘caricare’, ovvero scalciare e sgambettare. Dall’altra parte, invece, la ‘variante Cambridge’ predilige il ‘dribbling game’ sul quale il calcio moderno si basa.
Dopo numerose e sempre più accese riunioni, il 1° Dicembre si giunge ad una votazione, e la posizione del Blackheath è sconfitta per 13 voti a 4.
Il club si dimette immediatamente dalla Football Association per proseguire sulla via intrapresa; nel 1871 ne nascerà la Rugby Union, a sua volta ‘madre’ del moderno rugby. La maggioranza della FA può finalmente sancire il primo codice di regole comuni. La votazione finale avviene l’8 Dicembre, e ne escono 13 principi:

1. La lunghezza massima del terreno di gioco è 200 yards, la larghezza massima di 100 yards e il terreno sarà delimitato da bandiere; la porta sarà delimitata da due pali verticali distanziati di 8 yards, senza alcun nastro o traversa a collegarli.

2. il lancio di una moneta determinerà quale delle due squadre inizierà il gioco dal centro del campo; l’altra squadra resterà ad almeno 10 yards dalla palla fino a quando non sia dato i calcio di avvio.

3. dopo un gol, la squadra che lo ha subito ha diritto a rimettere in gioco la palla, e le due squadre invertiranno la porta dopo ogni gol.

4. un gol sarà assegnato quando la palla attraversa i pali o lo spazio da questi delimitato (a qualunque altezza), senza esservi lanciata o comunque portata con le mani.

5. quando la palla esce dal campo, il giocatore che la rimette deve farlo dal punto in cui è uscita ed in direzione perpendicolare alla linea di delimitazione; la palla non si considera di nuovo in gioco finchè non ha toccato il terreno.

6. quando un giocatore calcia la palla, ognuno appartenente alla medesima squadra che si trovi più vicino alla porta avversaria è considerato fuori gioco e non può toccare la palla né ostacolare gli avversari fino a quando non torna in gioco. Nessun giocatore è tuttavia considerato fuori gioco quando la palla è calciata da dietro la linea di porta.

7. Se la palla finisce oltre la linea di porta, se è toccata da un giocatore cui appartiene la porta, egli avrà diritto ad un calcio da fermo dalla linea della porta. Se la palla è invece toccata da un giocatore avversario, questi avrà diritto ad un calcio da fermo verso la porta da una distanza minima di 15 yards dalla linea, e la squadra avversaria resterà all’interno della propria linea di porta fin quando non avrà calciato.

8. se un giocatore effettua un’intercettazione corretta, avrà diritto ad un calcio da fermo, a condizione che lo richieda tracciando un segno sul terreno; per calciare, 6 potrà andare indietro a suo piacimento e nessun giocatore avversario avanzerà oltre il suo segno fino a quando non avrà calciato.

9. nessun giocatore può correre con la palla.

10. non è ammessa la trattenuta né lo sgambetto, e nessun giocatore può usare le mani per bloccare o spingere l’avversario.

11. è vietato lanciare o passare la palla ad un calciatore della stessa squadra con le mani. 

12. nessun giocatore è autorizzato a prendere la palla con le mani mentre questa è in gioco, quale che sia la ragione o la necessità.

13. nessun giocatore è autorizzato a vestire protezioni metalliche o a cospargere di guttaperca le suole o i tacchi delle proprie calzature.

Con regole comuni finalmente fissate e condivise (anche se alcune suonano abbastanza enigmatiche…), nasce finalmente il calcio moderno. Ora si inizia a giocare davvero…
di Giacomo Mallano, da "UK Football Please"

23 dicembre 2024

SECOND CITY DERBY. Aston Villa-Birmingham City.






















Londra, Manchester, Glasgow, Liverpool queste sono, forse, le città principali dove vengono giocati i derby più affascinanti del Regno Unito. Sarebbe riduttivo pensare che, nel Regno Unito, ci sono solo determinati derby. Infatti ci sono varie città, contee e campagne in cui vengono giocati derby locali molto affascinanti. Certamente, un Arsenal – Tottenham ha sempre un altro sapore rispetto ad un Nottingham Forest – Notts County, oppure un Celtic – Rangers ha più importanza di un Cardiff – Swansea o ancora un Liverpool – Everton ha più risonanza di un BIRMINGHAM CITY – ASTON VILLA. Non è pura casualità che quest'ultimo sia stato scritto tutto in maiuscolo anzi è qui che vogliamo soffermarci.

Il titolo dell'articolo dice tutto, infatti molto spesso parlando con persone che non hanno molto intendimento del calcio d'oltremanica quando si parla di Derby anglosassoni i soliti citati sono quelli di Londra, Manchester, Glasgow o Liverpool. A Birmingham vi è una rivalità molto accesa che forse (secondo il modesto parere dello scrittore dell'articolo) meriterebbe di essere conosciuta più nel dettaglio in quanto se ne parla molto poco nonostante sia uno dei più infuocati.
Second City Derby, è questo il nome della rivalità tra il Birmingham e l'Aston Villa dove i due club del Midlands sono generalmente considerati come i rivali più feroci l'uni degli altri, anche se questo derby ha perso di valore tra il 1988 e il 2002, quando le due squadre erano in divisioni differenti. Durante quel periodo, la più grande rivalità locale del Villa era con il Coventry City, mentre i rivali principali locali dei Blues erano il Wolverhampton Wanderers ed il West Bromwich Albion.

I club si sono incontrati per la prima volta il 27 settembre 1879. La partita fu giocata su un campo al Muntz Street che fu per un po' di tempo il campo di gioco del Birmingham. Il match finì 1-0 per i Blues registrato. Il Villa vinse la prima partita tra i due club, nel secondo turno della Coppa d'Inghilterra a Wellington Road nel 1887, con quattro gol a zero, ed in campionato in Prima divisione nella stagione 1894-95 per 2-1.
Nel campionato 1925 al Villa Park fu giocata una partita che rimase nella storia di questo derby. La partita vedeva i padroni di casa in vantaggio 3-0 ma, a dieci minuti dalla fine, il Birmingham ha segnato tre reti, da lì si capì subito il valore di questa rivalità.
Lo scontro più significativo si ebbe in vista della finale di Coppa di Lega 1963, che si svolse poco dopo che l'Aston Villa aveva battuto il Birmingham City 4-0 in campionato. I Blues s'imposero con un 3-1 complessivo sulla doppia finale vincendo così la League Cup.
Durante la fine degli anni 70 e fino ai primi anni 80 sia Villa e Blues si è ritrovarono nella prima divisione ed entrambe le squadre ebbero alcuni successi memorabili in questa divisione. 

Nel 1980-81 il Villa vinse il titolo di Prima Divisione. I Blues vinse, poi, in un memorabile 3-0 al St Andrew dopo il trionfo Coppa dei Campioni Villa nel 1982. 
Entrambe le squadre hanno subito, poi, un incredibile declino. Il Birmingham ebbe l'onore di vincere per 3-0 una battaglia per non retrocedere al Villa Park nel marzo 1986, ma quella stagione i Blues retrocedettero comunque. Ma, comunque sia, Villa li avrebbe seguiti la stagione successiva successiva. 


























La promozione in Premier League del Birmingham nel 2002, vide i fans molto impazienti per i derby di campionato che non si verificavano da 15 anni. I Blues, quella stagione, vinsero entrambi i derby (3-0 e 2-0). In entrambe le partite vi furono errori dal portiere dell'Aston Villa Peter Enckelman, tra cui un gol segnato direttamente da una rimessa laterale di Olof Mellberg. In quella partita si verificarono numero episodi di violenza tra le due tifoserie. 
Nel marzo 2003, nel corso di un derby al Villa Park, due giocatori del Villa furono espulsi. Uno fu Dion Dublin che si trovò coinvolto in una rissa contro Robbie Savage del Birmingham, mentre l'altro fu Joey Guðjónsson per uno spericolato tackle su Matthew Upson.

La stagione 2003-04 di Premiership vide due partite con due pareggi, 0-0 e 2-2. Il pareggio per 2-2 ha visto Blues recuperare un due gol al 90° minuto da Stern John . Entrambi i match vennero giocati all'ora di pranzo al fine di evitare comportamenti di violenza tra i tifosi che avessero assunto molta quantità di alcool. Nella stagione successiva il Birmingham è tornato a vincere, con il 2-1 al Villa Park poco prima di Natale ed il 2-0 in casa a marzo. In quella occasione il portiere dell'Aston Villa, Thomas Sørensen, fu protagonista di due clamorosi errori in entrambe le partite, anche se i suoi errori non hanno direttamente influito sui rispettivi risultati in quanto l'Aston Villa non giocò alla grande quelle partite. 
Nella Stagione 2005-06 di Premiership, il Villa batté i Blues in Premiership, grazie ad un gol di Kevin Phillips. Questa è stata seguita da un'altra vittoria dell'Aston Villa il 16 aprile 2006, Domenica di Pasqua, dove il Villa vinse 3-1 grazie a due gol di Milan Baroš e una rovesciata da Gary Cahill. Il Birmingham retrocedette nel 2006, ma successivamente venne promosso nel 2007. Nel novembre 2007 fu ancora la volta dell'Aston Villa che vinse il suo terzo derby consecutivo con una vittoria per 2-1 al St. Andrews (stadio del Birmingham). Anche in quella occasione vi furono violenti scontri fuori dallo stadio e, dopo la partita, rimasero feriti più di venti agenti di polizia.




















Il derby del 20 aprile 2008, invece, si concluse con una vittoria di 5-1 per Aston Villa al Villa Park. L'Aston Villa ha continuato a dominare nei derby. Infatti, nella stagione 2009-10 di Premier League, il Villa vinse sia all'andata che al ritorno. Il primo match di quella stagione ha avuto luogo il 13 settembre 2009 al St Andrew, e si è concluso 1-0 per Aston Villa, con la rete di Agbonlahor al minuto 85. Stesso risultato nel ritorno dove il Villa s'impose per 1-0 al Villa Park grazie ad un rigore di James Milner nel minuto 82.
In quelle partite, dell'ottobre e dicembre 2010, al Villa Park (Premier League, 31 ottobre) e di Sant'Andrea (Coppa di Lega, 1° dicembre) vi furono gli ennesimi episodi di violenza tra i due gruppi di sostenitori. Quei giorni numerosi furono gli arresti. Nella prima partita, ci sono state scene di violenza al di fuori del Villa Park e vi fu una piccola quantità di arresti tra cui un gruppo di supporter del Birmingham City. 
Nel secondo incontro (dove la violenza toccò picchi di “ultra-violenza”) dopo che il Birmingham aveva battuto il Villa per 2 -1 in casa, molti sostenitori Blues invasero il campo al fine di affrontare i tifosi rivali dell'Aston Villa. Si videro seggiolini delle gradinate volare sul campo da una parte all'altra. Ci sono stati anche violenze prima e dopo la partita dove venne attaccato un pub di Birmingham da alcuni tifosi teppisti dell'Aston Villa, gli eventi sono stati descritti come una “zona di guerra” da un fan che era alla partita. Il Birmingham City venne successivamente multato di 40.000 sterline dalla Football Association per aver omesso il giusto controllo dei loro fan.

Leggendo l'articolo viene da pensare, chiaramente, che questa rivalità sia sul campo che fuori ha molto più il valore di una semplice partita ma, nonostante tutto, spesso non è uno dei derby più conosciuti o più seguiti poiché ci sono altre partite che hanno un “determinato” valore, anche, mediatico. 
Nel Regno Unito non si finisce mai di scoprire e le scoperte di carattere calcistico, non so voi, ma hanno sempre un qualcosa di STRAORDINARIO.
di Damiano Francesconi

20 dicembre 2024

I WOLVES DAL DOPOGUERRA AI PRIMI FLOODLIGHT MATCHES.





Nel 1946, con la fine della guerra, anche il calcio, come tutte le attività, riparte faticosamente.
La stagione 1946/47 è difficile e tormentata, ma la voglia di voltare pagina, di divertirsi e darsi a cose più leggere e liete è troppa. Sono gli anni della ricostruzione, anche per lo sport più popolare del Regno Unito; molti club hanno sospeso l’attività, diversi stadi sono stati distrutti dai bombardamenti tedeschi, un’intera generazione di calciatori è stata decimata dalla guerra. E’ quasi tutto da rifare, ma l’entusiasmo è grande, e all’ombra del Molineux si coniuga con la competenza e la lungimiranza di una dirigenza che proprio in questi anni pone le basi del periodo più glorioso della storia del Wolverhampton Wanderers.

Nel 1939, all’alba delle ostilità belliche, i Wolves avevano loro malgrado scritto una pagina storica del calcio inglese, perdendo per 4-1 la finale di FA Cup contro la ‘cenerentola’ Portsmouth. E’ uno smacco che i Wolves provano a vendicare subito, ma nel 1946-47 cadono ancora una volta sul traguardo, chiudendo il campionato al 3° posto, ma con un solo punto meno del Liverpool campione. Il manager è Ted Vizard, succeduto nel 1944 alla leggendaria figura del Maggiore Frank Buckley. Quella squadra annovera tanti talenti, il più grande dei quali, Stan Cullis, sciocca tutti a fine stagione annunciando il ritiro dall’attività agonistica per diventare vice di Vizard.
Nel 1948 Cullis diventa manager al termine di una stagione mediocre (i Wolves finiscono il campionato al 5° posto), e apre quello che sarà il ciclo più glorioso della storia del club. 
Il successo arriva subito, nelle forme della FA Cup, conquistata a Wembley nella finale contro il Leicester. Contro una squadra di categoria inferiore, i Wolves non ripetono l’errore del 1939 e dominano il match davanti ai 99.500 spettatori di Wembley. I gol di Pye (2) e Smyth fissano il 3-1 e quantificano la netta superiorità della squadra di Cullis. 
Il successo è un perfetto manifesto della rivoluzionaria filosofia calcistica di Cullis, convinto assertore di un gioco diretto fatto di passaggi di prima, lontano dal calcio ‘palla al piede’ allora dominante. Un modello tattico che però non funziona altrettanto bene in campionato, dove i Wolves finiscono 6°. Per Cullis, però, è proprio la conquista del titolo nazionale che comincia a diventare un’ossessione. Il manager era infatti in campo nelle ultime due stagioni prebelliche, quando i Wolves erano finiti per due volte al 2° posto. E l’ossessione si acuisce nel 1949/50, quando la squadra termina la First Division a pari punti con il Portsmouth (53) ma vede sfumare il titolo per la peggiore differenza reti. Una beffa atroce, resa ancora più amara dalla sconfitta in FA Cup per mano dell’Arsenal. Sembrano le premesse di un grande ciclo, ma le due stagioni successive non mantengono le promesse, e i Wolves finiscono lontano dalla vetta; nel 1952/53 comincia la riscossa, con la squadra di Cullis che finisce al 3° posto.
E proprio in questo periodo, destinato a culminare con il sospirato titolo della stagione 1953/54, la dirigenza dei Wolves si conferma all’avanguardia, decidendo di dotare il Molineux di riflettori per consentire il gioco anche in notturna. I Wolves sono fra i primi club ad andare in questa direzione rivoluzionaria, aprendo di fatto una irripetibile stagione di grandi match internazionali in notturna, prodromo e modello delle coppe europee che saranno varate dopo qualche anno. Non è tuttavia una decisione che incontra il favore immediato delle istituzioni calcistiche nazionali. Tanto la Football League che la Football Association negano ai Wolves il permesso di disputare match ufficiali di campionato o di coppa in notturna, limitando così il possibile impiego della nuova infrastruttura di illuminazione alle gare amichevoli. 
La dirigenza del club non rinuncia però a realizzare la propria avveniristica visione, e incarica la France’s Electric Ltd di Darlaston di realizzare il migliore impianto possibile sulla 18 L’onore di inaugurare l’illuminazione è inizialmente riservato al Celtic Glasgow, con cui è concordata un’amichevole per il 14 ottobre 1953. Succede però che la messa a punto dell’impianto è completata prima del previsto, e la dirigenza dei Wolves decide di approfittarne, posticipando alla sera del 30 settembre la prestigiosa amichevole contro la rappresentativa nazionale del Sud Africa, originariamente programmata per il pomeriggio dello stesso giorno. Stimolare la curiosità di vedere finalmente in opera i riflettori artificiali con una partita internazionale, assai poco frequente in quegli anni, è un’altra grande intuizione della dirigenza del Molineux.
L’attesa della vigilia è tale da oscurare anche il clamoroso 8-1 rifilato al Chelsea il sabato precedente, con il grande Johnny Hancocks autore di una tripletta. Il ‘Football in Technicolor’, come definito da alcuni mezzi di informazione, è ufficialmente inaugurato alle 7.45 serali di mercoledì 30 settembre 1953, davanti a 33.681 appassionati. 
L’attesa non è solo per lo spettacolo dell’illuminazione: il Sud Africa è squadra vera, nel pieno di una tourneè di grande successo, nel corso della quale ha pareggiato 2-2 con l’Arsenal e con il Birmingham County FA, battendo invece per 4-0 una rappresentativa amatoriale, 3-1 il Charlton e 4-2 il Norfolk FA. Per i Wolves è quindi un test probante, oltre che l’ideale coronamento della trionfale tourneè compiuta in Sudafrica nel 1951, con dodici vittorie in altrettante partite, sessanta reti realizzate e solo cinque subite. In un clima di grande sportività e rispetto reciproco, le squadre entrano in campo guidate dai rispettivi capitani Ross Dow (Sud Africa) e Eddie Stuart (Wolves). Per Stuart, nato proprio in Sudafrica, è un grande onore concessogli da Bill Shorthouse, all’epoca capitano della squadra. In campo, alcuni dei nomi entrati nella storia del club, protagonisti fra l’altro della rincorsa che porterà pochi mesi dopo al primo sospirato titolo. Billy Wright, Jimmy Mullen, Johnny Hancocks, Roy Swinbourne, l’ancora dilettante Bill Slater, Peter Broadbent sono nomi che ancora fanno sospirare I fedelissimi del Molineux, e in questa serata regalano sprazzi di grande calcio, liquidando gli ospiti sudafricani con un secco 3-1 firmato dai gol di Mullen, Broadbent e Swinbourne.




















Al termine del match, fra reciproci attestati di stima e scambio di doni, la dirigenza assapora la perfetta riuscita dell’evento, annunciando per l’immediato futuro altre grandi serate di calcio internazionale che confermino la crescente reputazione dei Wolves fra i grandi club del continente. Un mesetto dopo, di fronte a 41.820 spettatori, lo spettacolo si ripete, ospite il Celtic. Si gioca ancora di mercoledì, per non interferire con il campionato, e Cullis si concede addirittura un primordiale assaggio di turn-over. In porta Nigel Sims sostituisce Bert Williams, in difesa rientra Shorthouse mentre il 17enne Bobby Mason esordisce con la casacca Old Gold. Soprattutto, però, in campo va Tennis Wilshaw, reduce dalla doppietta segnata al Galles nel giorno dell’esordio con la maglia della nazionale inglese. Wilshaw conferma il momento di grazia realizzando la doppietta che nella ripresa fissa il 2-0 finale. Nel primo tempo, tuttavia, il Celtic (pure privo del talentuoso Jock Stein) impressiona per la velocità della manovra e la precisione dei passaggi, pur non trovando mai lo spiraglio giusto per battere la magistrale difesa guidata da Billy Wright e Slater, due accomunati dal singolare record di non essere mai stati ammoniti in tutta la carriera. Dopo la sfida con gli scozzesi, il Molineux aspetterà quasi sei mesi per riaccendersi in notturna. 
Con il titolo quasi conquistato, l’occasione è però di quelle di assoluto prestigio: arriva il Racing Club di Buenos Aires, grande d’Argentina nel pieno di un tour europeo che porta i ‘Cancioneros de America’ (così chiamati dal canto che usano intonare prima delle partite) in Italia, Jugoslavia, Spagna e Belgio, a sfidare i più grandi club del momento. La curiosità è alimentata anche dal calcio giocato dal Racing, completamente diverso da quello inglese e anche da quello ‘coloniale’ dei sudafricani; un calcio fatto di possesso palla e passaggi corti, ritmi bassi e pochi cross verso il centro dell’area. La forza e la velocità dei Wolves hanno però la meglio anche su avversari così ‘diversi’ da quelli affrontati settimanalmente. L’esordiente Doug Taylor apre le marcature ma Pizzuti pareggia dopo pochi minuti. Nella ripresa la superiore preparazione fisica dei Wolves emerge e prevale, e i gol di Deeley e Mullen fissano il punteggio sul 3-1 finale.

Un altro grande successo di grande prestigio seppure senza valore ufficiale, ma comunque un degno coronamento di una stagione straordinaria. Arriva infatti il tanto sospirato titolo, ancor più bello perché soffiato ai rivali di sempre del W.B.A., secondo a quattro punti. In estate si giocano i Mondiali svizzeri, e i Wolves restano protagonisti fornendo alla nazionale inglese le grandi firme Billy Wright, Dennis Wilshaw e Jimmy Mullen. 
Fra agosto e settembre la squadra di Cullis prosegue il suo personale campionato internazionale per club facendo visita al First Vienna FC (battuto 2-0) e al Celtic (3-3 in un match ad alta tensione). Soprattutto, però, il 29 settembre il Molineux ospita in notturna una fantastica Charity Shield fra Wolves e W.B.A., trionfatori della FA Cup 1954. Ne viene fuori un classico del calcio inglese, un 4-4 che elettrizza ed entusiasma gli oltre 40.000 spettatori. I Wolves vanno avanti 4-1 grazie ai gol di Swinbourne (2), Deeley e Hancocks, ma subiscono nel finale il ritorno dei Baggies trascinati da uno strepitoso Ronnie Allen, futuro manager proprio dei Wolves ed autore di una tripletta. 
Due settimane dopo il Molineux ospita un’altra ‘prima volta’, con la prima visita di un club dell’Europa continentale, l’Austria Vienna. Cullis è costretto ad effettuare diversi cambiamenti rispetto alla formazione ‘tipo’, spostando addirittura in attacco Bill Slater. Il generoso difensore dà il massimo per non far notare la bizzarria della sua posizione, ma non riesce ad andare ad un palo colpito di testa. Il portiere austriaco Schmeid fa il resto, opponendosi a tutto quanto gli arrembanti Wolves gli tirano addosso, assurgendo al ruolo di eroe e consentendo ai suoi di uscire imbattuti dal match, primi a riuscirci nella nuova era dei floodlight matches. La rivincita dell’Old Gold non tarda però ad arrivare; a farne le spese gli israeliani del Maccabi Tel Aviv, travolti due settimane dopo con il clamoroso punteggio di 10-0. Roy Swinbourne è l’eroe della serata, realizzando una tripletta, ma è tutta la squadra a girare al meglio, producendo una superba prestazione di calcio offensivo. Il momento di grazia, peraltro, era iniziato già in campionato, con un clamoroso 4-0 rifilato al WBA quattro 20 giorni prima. 
Ed è un momento che prosegue per tutto il 1954, con le vette dei match contro Spartak Mosca e Honved Budapest. Sull’onda della crescente attenzione dei mezzi d’informazione, infatti, il Molineux ‘in notturna’ diventa una sorta di ‘salotto buono’ del grande calcio europeo, e molti club si candidano ad affrontare i Wolves, la cui reputazione cresce di pari passo. A metà novembre arriva quindi il turno del temibile Spartak Mosca, reduce dalle clamorose vittorie contro Standard Liegi, Anderlecht e Arsenal.

Negli anni ’50, in piena guerra fredda, la visita di una squadra sovietica aggiunge al confronto anche una valenza politica, caricando la partita di un’attesa quasi spasmodica. La dirigenza decide quindi di rendere il match ‘all-ticket’, scatenando una frenetica caccia al biglietto. Sono addirittura installati riflettori supplementari per consentire alla BBC di trasmettere in diretta televisiva il match. Il 16 novembre l’evento finalmente ha luogo, davanti a 55.184 spettatori. Il primo tempo (chiuso sullo 0-0) fa correre brividi sulla schiena a Bert Williams, salvato per due volte da salvataggi sulla linea dei suoi difensori.
Lo Spartak gioca la palla con grande precisione e risponde colpo su colpo al classico gioco offensivo dei padroni di casa. Nella ripresa, gradualmente, la superba preparazione fisica dei Wolves prevale, e finalmente al 62° Wilshaw supera Piraev dopo che il portiere russo gli rimpalla il primo tentativo. Ora lo Spartak soffre, ma resiste all’incessante spinta dei Wolves, spronati da un pubblico incontenibile. Nel finale la diga sovietica cede, e Hancocks (2) e Swinbourne trovano la via della porta, dando al risultato proporzioni esaltanti anche se forse eccessive per quanto di buono fatto vedere dallo Spartak. Il 4-0 onora al meglio una delle prime dirette televisive della storia, e proietta le sgargianti casacche color oro dei Wolves nell’immaginario sportivo di tutta l’Inghilterra. 
Forte di quest’aura di imbattibilità, la ‘sfida finale’ arriva il 13 dicembre 1954. Avversario la Honved Budapest, succursale di quella nazionale ungherese che ha inflitto al calcio inglese la più grande umiliazione della storia, superando i maestri prima a Wembley con un sonoro 6-3 e poi a Budapest con un ancor più pesante 7-1. Ai Wolves è dunque affidato l’orgoglio calcistico di un’intera nazione, da riabilitare in 90 minuti. 
Ma questa è un’altra storia, anzi questa serata è LA storia, e magari la racconteremo la prossima volta…
di Giacomo Mallano, da "UK Football please"

18 dicembre 2024

ANGLO-ITALIAN CUP

Cari Amici, colgo l’occasione per parlarvi di una affascinante e, purtroppo, dimenticata competizione : la Coppa Anglo-Italiana
Sicuramente nota ai lettori più “ anziani “, meno a quelli più giovani..Il Torneo Anglo-Italiano venne ideato alla fine degli anni Sessanta da un allora famoso manager italiano di nome Gigi Peronace che per rafforzare i rapporti fra le leghe professionistiche calcistiche inglese ed italiana decise di portare avanti questo progetto. Uomo di spiccate doti diplomatiche, Peronace, era nato in provincia di Catanzaro e in gioventù aveva vestito la maglia della Reggina ricoprendo il ruolo di portiere. L’idea di creare questo torneo gli sorse dopo la guerra cominciando ad organizzare incontri calcistici fra le rappresentative armate inglesi ed italiane.

Laureatosi in Ingegneria a Torino, venne presto a contatto con l’ambiente Juventino e grazie alla sua conoscenza della lingua inglese divenne l’interprete degli allenatori inglesi Chalmers e Carver, contribuendo all’acquisto da parte della società torinese di campioni come Hansen, Praest, Hamrin e Charles.

Nel 1966 venne assunto dalla Federcalcio italiana e nel 1970 diede via al Torneo di cui vi sto parlando. Ad esso partecipavano inizialmente formazioni di richiamo, ma non di vertice e col passare del tempo addirittura squadre di Serie B italiane ed inglesi. 
La prima edizione venne vinta dallo Swindon Town che superò in finale il Napoli per 3-0 durante un match sospeso varie volte per gravi incidenti.. 
Morto a Roma nel 1980, Peronace ricevette l’onore di vedere dal cielo il Torneo intitolato a suo nome sei anni dopo. L’interesse degli appassionati italiani e anche di quelli inglesi non riusciva però proprio a decollare. Vuoi per i rispettivi impegni in campo nazionale ed internazionale, vuoi per la scarsa attenzione che gli organi di stampa e gli sponsor riversavano su una competizione che comunque ritengo stimolante. Dopo una prima interruzione di due anni il torneo venne riservato a formazioni semiprofessionistiche ed in seguito venne addirittura abolito il meccanismo che prevedeva la finale mista !
Dopo l’ennesima interruzione del 1986, si riprese nel 1993, anno che ha visto la vittoria della Cremonese a Wembley contro il Derby County, al cospetto di migliaia di tifosi anglosassoni. 
Nel 1996 calava il sipario sulla competizione, con il match tra il Genoa ed il Port Vale, conclusosi 5-2 per gli italiani. Riassumendo, le uniche vittorie britanniche del torneo sono dello Swindon Town ( 1970 ), Blackpool ( 1971 ), Newcastle United ( 1973 ), Sutton United ( 1979 ) e Notts County ( 1995 ). 
I “ football programmes “ relativi ai matches di Anglo-Italian Cup sono molto rari e bellissimi. In quasi tutti troviamo informazioni assai dettagliate sulle squadre partecipanti e i testi sono in italiano ed inglese (e pensare che in Italia non si sono mai degnati di dedicare qualche brochure calcistica celebrante questo evento !). 
Per esempio, nella brochure del 1978 si parla di un giovane militare italiano (Peronace, appunto !) che nel 1944 organizzò una partita tra una rappresentativa militare di Sua Maestà e la Reggina, che inflisse un durissimo 6-0 agli inglesi mettendo in crisi il Comando Alleato in Calabria.
Il Sergente di Fanteria Tom Harrison ricevette l’ordine tassativo di cancellare l’onta sportiva appena subita. Egli riuscì a convincere il Comandante di Marina, Ray Westwood (grande giocatore del Bolton), a disputare la rivincita contro la Reggina, ma nel match (disputatosi il 10/9/1944) le grandi parate di Peronace difesero uno storico 0-0. L’undici inglese oltre a Westwood e ad un giocatore di cui ancora oggi non si conoscono le generalità comprendeva Shippley, Taylor, Moss, Walker, Gilmour, McKnight, Pickering, Harrison e Stuart. 

33 anni dopo questi incontri, il “Sun“, su richiesta di Peronace, pubblicò le foto delle formazioni che giocarono nel 1944 per riunire i protagonisti di allora in una indimenticabile giornata di sport ed amicizia. Alla morte di Peronace, Ugo Cestani (Presidente Lega Nazionale Italiana Semiprofessionisti) prese in mano le redini dell’organizzazione e con l’appoggio dell’“Alitalia“ e della “ Talbot “ tirò avanti per qualche anno stabilendo buoni rapporti col Segretario della Isthmian League ( Alan Turvey ) ed il Segretario della Southern Football League ( Bill Delow ). 
La Coppa Anglo-Italiana era alta 19 pollici e fu disegnata dal Gioielliere della Corona d’Inghilterra, Mr. Garrard. Per quanto riguarda la mia esperienza personale ho “rischiato“ solo una volta di seguire la squadra della mia città, l’Ancona, a Wembley, ma in semifinale l’Ascoli ha clamorosamente ribaltato il risultato nel derby di ritorno. Non restano certo memorabili le partite della squadra dorica in Italia contro i vari Notts County, Middlesbrough, Sheffield United, Luton Town e Bolton Wanderers, partite che hanno richiamato pochissimi spettatori e botte da orbi (in campo, e fuori).
Chiedere al tecnico Cacciatori, che dopo uno di questi incontri ha perfino rischiato di perdere un occhio a causa di una rissa selvaggia. Ma rimane comunque il sapore di internazionalità che squadre di misero blasone invidiavano ai grandi Clubs internazional. 
E’ un vero peccato che questa stimolante occasione di sodalizio sportivo sia stata offuscata, negli anni, da squadre rattoppate, quasi unicamente interessate alle vicende calcistiche locali e contornate da tifosi poco preparati e spesso, violenti. Perdonaci Caro Gigi..
di Vincenzo Felici, da "UK Football please"

17 dicembre 2024

PETER MARINELLO. Such a talent, such a waste





























Se Nick Hornby nel suo famoso: “Febbre a 90” dedica, nonostante le sole 51 presenze in maglia “Red and White”, più di qualche riga alla tua carriera una motivazione, per quanto intima e celata, deve esserci.
Peter Marinello arriva all'Arsenal nel lontano 1970 per una cifra vicina alle 100 mila sterline scatenando immediatamente polemiche e diatribe, vista anche la giovanissima età del ragazzo. L'esordio è contro i rivali di sempre del Manchester United e in soli 15 minuti di gioco, il 20enne arrivato dall'Hibernian, realizza la sua prima rete in First Division mettendo a sedere ben due difensori dei Red Devils. Riprendendo però, la tanto bistrattata Legge di Murphy: “Se qualcosa può andar male, andrà male” da quel fortunato 10 gennaio infatti, da un punto di vista sportivo e non, la vita del ragazzo di Edinburgo prese una piega negativa quanto imprevedibile. Passare da essere una futura stella del calcio mondiale ad autentica vittima della società degli anni '70/'80 è stato molto più facile di quello che possa sembrare.

Peter Marinello, dopo il ritiro, non ha mai, particolarmente, amato rilasciare interviste, è stato proprio un eccesso di fama ed attenzione mediatica a rovinare la sua carriera, è difficile quindi trovare dichiarazioni o confessioni del “The Next George Best”. Nel 2007 però, sorprendendo un po' tutti, ha pubblicato una sua discussa autobiografia intitolata: “The Fallen Idle” dove ripercorre con un pizzico di nostalgia una delle carriere più irragionevoli di tutti i tempi.

Senza dover per forza risultare di parte o eccessivamente romantici, la motivazione della scelta si trova esclusivamente nella: difficile situazione finanziaria della famiglia, la depressione della moglie, la tossicodipendenza del secondogenito ed il fallimento della catena di nightclub da lui stesso fondata.

Una parabola discendente ricca di aneddoti curiosi ed improbabili: la proposta di Tony Hatch e Jackie Trent di incidere un disco per rilanciare la propria carriera da calciatore, l'amicizia con Alan Ball con il quale una sera, spinto dai prodigi dell'alcool, decise di acquistare un cavallo da corsa, l'illogico, per una personalità come la sua, trasferimento in America prima di concludere definitivamente la carriera.
Gli infortuni, tormentato per anni da un problema cartilagineo, la scarsa tenuta mentale oltre che fisica, l'eccessivo amore per alcool hanno reso impossibile non solo un'esplosione da un punto di vista sportivo ma anche un'esistenza serena per uno dei talenti più tormentati di sempre.
Bertie Mee, che ebbe l'onere/onore di allenare l'Arsenal dal 1966 al 1976, prima di morire gli confessò che forse: ”I might have got it wrong with you” decisamente più memorabile di un gol all'esordio all'Old Trafford.
di Eduardo Accorroni

16 dicembre 2024

BRIAN CLOUGH, il migliore a non aver mai allenato l'Inghilterra


























Sono stati 44 giorni d'inferno, quelli di Brian Clough alla guida del Leeds United. 
Era il lontano 1974, ma sembra solo l'altro ieri, grazie all'acclamato libro Damned United di David Peace - astro nascente delle letteratura britannica -, da cui hanno tratto anche un film di buon successo al botteghino a Londra e dintorni.
Clough, ahimè, non c'è più dal 2004, mentre il Leeds langue nella seconda serie del calcio inglese. 50 anni fa, però, il buon Brian era uno dei tecnici più ambiziosi e di successo del Regno mentre il team dello Yorkshire si era appena laureato campione d'Inghilterra per la seconda volta in cinque anni. Il problema era che oltre alle doti tecniche - che senza dubbio giocatori del calibro di Billy Bremner e Norman Hunter avevano in abbondante quantità - i Whites usavano fin troppo spesso scorrettezze e mezzucci più da squadra sudamericana che inglese. Colpa della gestione del manager precedente, quel Don Revie passato nel luglio del 1974 alla panchina della nazionale dei Tre Leoni? Abbastanza probabile.

O almeno così la pensava Clough che, reduce da un brillante periodo al Derby County, raccolse la sfida di sostituire il da lui mai troppo amato Revie provando subito a mettere in chiaro le proprie idee riguardo al suo predecessore. Peace ci narra di un primo faccia a faccia con i giocatori a dir poco esplosivo, in cui il tecnico accusava sostanzialmente i suoi nuovi dipendenti di aver vinto il campionato in maniera sporca. "Potete buttare le vostre medaglie nel secchio della spazzatura, perché le avete ottenute imbrogliando" è la frase che gli viene attribuita dagli storici del football. Lo spogliatoio, ovviamente, andò subito sul piede di guerra. Il conflitto, durissimo e senza quartiere crebbe in modo esponenziale, alimentato dai cattivi risultati del Leeds sul campo da gioco.
Clough passò una sfilza di notti insonni a ingurgitare alcool - viziaccio che si portava dietro dai tempi di quando giocava centravanti di sfondamento a Sunderland - e fumare una sigaretta dopo l'altra. "Non c'era nulla di preordinato, non mettemmo in atto nessun piano per cacciare l'allenatore. Certo, non ci sentivamo a nostro agio, mentre con Revie eravamo tutelati e per questo davamo il 100 per cento": così ha dichiarato di recente al Guardian Peter Lorimer, fantasioso centrocampista scozzese e tra le punte di diamante di quella squadra bella e dannata. Sia come sia, il regno di Clough all'Elland Road terminò bruscamente dopo soli 44 giorni, con la compagine dello Yorkshire in piena zona retrocessione e i tifosi infuriati. Roba da mandare in fumo una carriera.

E invece Cloughie, come lo chiamavano gli amici, decise di rincominciare tutto dal Nottingham Forest, ovvero i rivali storici del Derby. Forse dopo l'esperienza al Leeds il passaggio al "nemico" delle East Midlands dovette sembrargli una cosa da niente. Come è andata a finire nella città di Robin Hood lo sanno forse tutti gli appassionati di calcio dai trentacinque anni in su: il Forest vinse un campionato da neopromossa e due Coppe dei Campioni consecutive. Possiamo solo immaginare il piacere che deve aver provato il nostro Brian ad alzare quel trofeo che nel 1974-75 i "dannati" avevano solo sfiorato, perdendo in modo molto controverso la finale con il Bayern Monaco di Gerd Muller e Franz Beckenbauer.

Spirito libero, dotato di una innata vis polemica e di una sportività da vero britannico, Clough divenne nell'arco di pochi anni una vera icona non solo per i fan del Nottingham, che lo idolatravano, ma anche per tutto il movimento del football inglese. Dopo 18 anni al timone della squadra, nel 1993 si ritirò, anche a causa del suo fisico ormai compromesso dall'abuso di alcool, oltre che dalla delusione patita per la retrocessione del suo amato club. Il testimone è poi passato al figliolo Nigel, prima attaccante di buone qualità al Forest e al Liverpool e, appesi gli scarpini al chiodo, tecnico del Derby County. Club che però di recente gli ha dato il benservito.
Chissà, forse tra qualche anno lo vedremo sulla panchina del Nottingham, dove proverà a ripetere le imprese del padre. Un compito veramente improbo.
di Luca Manes
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