20 novembre 2024

THE DEBENHAMS CUP, Don’t look back in anger.


Ci fu’ un tempo in Gran Bretagna, nel quale si pensava che piu’ tornei si sarebbero creati e piu’ la gente sarebbe corsa negli stadi, riversando enormi quantita’ di sterline nelle casse dei clubs.
Con questo intento fu creata la stessa League Cup che dal 1967, per cercare di darle ancora piu’ importanza, fu deciso di assegnarla con finale unica a Wembley, invece della doppia finale di andata e ritorno che sa tanto di Coppetta Italia.
Ci furono pero’ trofei ben piu’ sconosciuti che vennero creati , si giocarono per qualche stagione e scomparvero poi nel dimenticatoio, con poco rammarico da parte dei tifosi d’oltremanica.

In un numero precedente avevo gia’ parlato della Texaco Cup, organizzata ad inizio anni 70’, con l’obiettivo di coinvolgere tutte le squadre britanniche che nel campionato precedente non avessero raggiunto la qualificazione alle coppe europee. Quando , ad inizio anni 80’ , la finale venne disputata fra il Chesterfield e il Notts County, si penso’ bene di lasciar perdere.
Dello stesso periodo fu anche l’ideazione della Watney Cup , una trofeo assegnato ad inizio stagione in cui i contendenti erano le due squadre che l’anno prima avevano segnato piu’ goal nelle prime due divisioni inglesi. In questa competizione si introdusse, con qualche anno di anticipo rispetto alla Nasl americana, l’utilizzo degli shoot outs in caso di parita’ al 90’ e l’applicazione del fuorigioco solo all’interno dell’area di rigore. 
Nella prima finale il Derby County distrusse il Manchester United con un perentorio 4 a 1. Il trofeo si gioco’ per sole quattro stagioni con l’ultima coppa che venne assegnata allo Stoke City.
All’inizio degli anni ottanta l’interesse della F.A. era sempre piu’ quello di coinvolgere i clubs di serie minori in competizioni ad eliminazione diretta. In questo scenario va vista la creazione della Football League Group Cup (1981-82) e della seguente Football League Trophy (1982-83). 
Il trofeo fu’ poi rilanciato con il nome di The Associate Members Cup che a sua volta nel corso degli anni cambio’ continuamente nome: da Freight Rover Trophy a The Sherpa Van Trophy, da Leyland DAF Cup ad Autoglass Trophy e per finire con Auto Windscreens Shield e ora LDV Vans Trophy!

















La coppa che pero’ ebbe forse il minor successo fu’ forse la Debenhams Cup che venne giocata fra le squadre delle divisioni minori che nella stagione precedente si erano spinte piu’ avanti nella FA Cup. 
Nel 1985 poi, in seguito all’esclusione dei club inglesi dalle coppe europee per le note vicende dell’Heysel, fu’ ideata la Screen Sport Supercup, un torneo che comprendesse i sei club inglesi che non si era potuto iscrivere alle coppe europee. Nella prima finale il Liverpool batte’ l’Everton, con un 3 a 1 casalingo , ribadito da un ancor piu netto 4 a 1 a Goodison Park.
Nel 1988 la FA celebro’ il suo centenario e a Wembley si disputo’ una due giorni calcistica che coinvolse tutti i club delle divisioni professionistiche. La competizione,denominata Centenari Festival, era ad eliminazione diretta e le squadre si affrontavano in minipartite di 10 minuti ciascuna.
A conclusione dei festeggiamenti per il Centenario fu’ disputato il Centenary Trophy, in cui l’Arsenal batte’ il Manchester Utd in un Villa Park praticamente deserto.
di Luca Ferrato, da UKFP (settembre 2006)

19 novembre 2024

PETER SHILTON. Superbia e mano de Dios.



Ogni volta che proviamo a pensare alla vita di un portiere, almeno tra i pali, la immaginiamo solitaria, concentrata estroversa e condita, a tratti, da quella schizofrenia che li rende affascinanti. Sono gli eroi silenziosi, quelli che fanno poco rumore rispetto agli attaccanti o ai giocatori più tecnici che rubano la scena e strappano gli applausi al pubblico.
Nella realtà alcuni di loro, con un pizzico di delusione, potrebbero anche risultare timidi, taciturni e vergognosi.
Nel caso di Peter Shilton siamo invece di fronte ad un personaggio devastante sia in campo che fuori anzi nella vita privata di casini ne ha combinati parecchi. 
Shilton, detiene un record ancora imbattuto quello dell’unico calciatore che abbia superato le 1000 presenze nei campionati inglesi perché praticamente ha calcato tutti i campi di categoria dal momento che si è ritirato a 48 anni. Pazzesco! Questo dà l’idea di un uomo senza mezze misure. Infatti i record andavano di pari passo con quello che combinava nella vita privata costellata di scelte dubbie, come quella di dilapidare le Sterline guadagnate regalandole agli allibratori delle corse di Cavalli oppure, alle frizioni familiari che sopraggiungevano ogni volta che c’era una relazione extraconiugale. Da buon inglese non si fece mancare nemmeno il problema con l’alcool tanto che fu arrestato per guida in stato di ubriachezza. 
Ma Shilton era comunque un grande, un leader assoluto che seppe dettare la sua legge tra i pali e che fu capace di vincere trofei passati alla storia come le due Coppe dei Campioni vinte con quel Nottingham Forest di Brian Clough. L’allenatore se ne rese conto subito che tipo di uomo era e con saggezza lasciò spazio e fiducia al suo portiere che poi lo ripagò diventando il dominante per quell’irripetibile cavalcata vincente. Fin dagli albori della sua carriera, il suo obiettivo dichiarato era sempre stato quello di essere il migliore e diede subito un assaggio di sé quando scoperto da Gordon Banks poi lo fece fuori, calcisticamente intendiamoci. Continuò ad essere il migliore anche quando ci fu un dualismo generazionale, vinto peraltro, con un altro grande portiere molto diverso da lui, Ray Clemence del Liverpool. E così nel pieno della sua maturità Peter Shilton si tolse la soddisfazione di togliere il posto al suo rivale e di farsi tre mondiali di fila 1982-1986-1990

Ma, con calma, proviamo a ripartire dall’inizio: Shilton crebbe nel Leicester squadra della sua città natale e di cui era tifoso. Militò nelle Foxies per otto stagioni conoscendo anche una retrocessione per poi risalire in premier league. Cambiò aria e decise di accettare la sfida dello Stoke City. Gli anni che passò a Stoke non furono memorabili anzi conobbe di nuovo l’amarezza della retrocessione e quindi decise di trovare una squadra che avesse ambizione e il suo destino si incrociò con una neopromossa dal futuro inimmaginabile: il Nottingham Forest. Scelta non fu mai più azzeccata perché coincise con l’apice della sua carriera. Shilton aveva un fisico pazzesco per la media di quegli anni: massiccio, non altissimo ma molto agile. La sua prerogativa era quella delle uscite alte, le prese volanti soprattutto dai corner. Non nelle respinte di pugno che furono il suo tallone d’Achille. Fu l’uomo che cambiò la concezione solitaria di quel ruolo. Il portiere, che era l’unico baluardo a difesa degli avversari, si trasformò in una sorta di coach che dava indicazioni di come difendersi infischiandosene dei dettami del mister. Clough al Forest ne capì l’innovazione e infatti vinse un campionato, quattro coppe di lega, una super coppa europea e due coppe dei campioni consecutivamente: l’unica squadra ad aver vinto più Coppe Campioni che Campionati.

Dopo qualche problema extraconiugale di troppo, Shilton decise di cambiare di nuovo aria e molti, in primis la feroce critica dei tabloid inglesi, pensava che fosse ad un passo dal declino. Invece il buon Peter si reinventò ultimo baluardo a difesa dei pali del Southampton nel 1982 dove militava anche un certo Keegan. E come resuscitato a nuova vita, nel 1984 la sua leadership riuscì a portare i Saints al secondo posto. Saints che erano una squadra che alla metà degli anni ’70 viaggiava tra una retrocessione in Second ed una promozione in
First Division. Chiusa la parentesi nel Sud dell’Inghilterra, Shilton si trasferì nel Derbyshire accasandosi al Derby County fino al 1991 quando retrocesse in Second Division. Ormai la sua parabola discendente era iniziata confermata anche dal fatto che divenne prima player manager al Plymouth e poi manager a tempo pieno fino ad uno spareggio perso per la promozione. Di nuovo però, ad un passo dall’addio al calcio giocato, si convinse di poter dare ancora qualcosa. 
Nel 1995 venne ingaggiato dal Wimbledon FC e successivamente dal Bolton, con il quale giocò poco e poi dal West Ham. Ma ora, c’era un record da battere. Shilton aveva partecipato a 998 partite ufficiali. Era obbligatorio raggiungere la cifra tonda. Lo fece con il Leyton Orient in Terza Divisione il 22 dicembre 1996. Alla fine le sue presenze ufficiali furono 1005 e si ritirò dai campi di calcio all'età di quasi 48 anni.
Con la nazionale invece ebbe un rapporto altalenante così come è stato il destino di quella Nazionale nonostante fosse la migliore mai vista per talento messo in campo con giocatori del calibro di Lineker, Gascoigne, Waddle, Pearce, Butcher, Hoddle, Robson, Platt, Beardsley. Il suo debutto fu con l’Italia in una partita di qualificazione agli europei persa 1 a 0, per poi prendere parte ai campionati del mondo di Spagna 1982, Messico 1986 e Italia 1990, ai campionati d'Europa di Italia 1980 e Germania Ovest 1988. La sua ultima esibizione con la nazionale fu sempre con l’Italia in occasione della finale del terzo quarto posto del mondiale del 1990. Quel quarto posto fu il miglior risultato con la Nazionale inglese.
Ma è proprio la nazionale che farà in modo che l’immagine di Peter Shilton rimarrà indimenticabile. Un episodio che lui odierà con tutto sé stesso e che la storia del calcio ce lo lascerà lì indelebile tra i ricordi più rocamboleschi e falsi della storia dei mondiali. Città del Messico giugno 1986 quarti di finale Argentina - Inghilterra, la famosa mano de Dios di Diego Armando Maradona. Il vecchio Peter a distanza di anni non ha ancora mandato giù quella che lui stesso definisce la più grande beffa subita. E possiamo immaginarlo.

























Lo Shilton sbruffone, arrogante, la superbia con cui tolse il posto a Gordon Banks, le Coppe dei Campioni vinte con il Forest, le 125 presenze in nazionale, liquefatte di fronte a quell’affronto che fu vergogna ovunque lui andasse. Il ricordo che brucia. 
La vendetta che arde, la rabbia che sale possono essere riassunte in queste poche ma evidenti parole:

“…Ho sempre saputo che sarebbe arrivato un giorno in cui avrei pagato tutto, un giorno in cui qualcuno mi avrebbe fatto scontare il mio lato oscuro. Quel giorno venne, e decise di punirmi con la mano di Diego Maradona. La sola cosa che mi infastidisce è non avere mai avuto le sue scuse. A fine partita, quando succede qualcosa tra noi giocatori, se ne parla. Se c'è da dirsi qualcosa, ce la diciamo. Tutto finisce lì, nel campo. Lui no, Maradona non venne a parlarmene. Fui l'unico a non accorgermi di niente, non ebbi neppure la soddisfazione di protestare. Le uscite con i pugni erano da sempre il mio punto debole, nonostante le esercitazioni continue, sul pallone andavo come se fossi stato un pugile, caricavo e pam, un cazzotto alla palla. Diego diede un cazzotto prima di me e io non lo vidi. Lui correva, esultava e io pensavo che mi aveva battuto, non sapevo che mi aveva fregato…”

Ad ogni modo, il nostro caro Shilton, per noi ragazzi di allora che giocavamo a rifare il verso a quei miti che ammiravamo in tv in quelle sporadiche occasioni in cui arrivavano immagini dall’Inghilterra, rimarrà uno dei portieri migliori, iconici, quelli che indossavano maglie strette e pantaloncini attillati. Un classico di quel calcio fatto di fisici asciutti, anche se lui era una bestia, gambe tozze e magliette sporche di fango e sangue. E poi come non dare credito a Sir Robert William Robson detto Bobby che disse:
“Shilton? He was the very best goalkeeper for long long time. A very special guy”
Come On Guys
di Alessandro Nobili

18 novembre 2024

BOOKS. NORTH LONDON DERBY, Tottenham vs Arsenal di Lino Spazzo (Urbone), 2024


Nel cuore di Londra, una rivalità centenaria divide e unisce la città: il Derby del Nord tra Arsenal e Tottenham. Più di una semplice partita di calcio, è una saga che incarna passione, orgoglio e l'anima stessa del calcio inglese.
Questo libro vi porta nel vivo di una delle rivalità più intense del mondo del calcio, esplorando: Oltre un secolo di sfide epiche e momenti indimenticabili.
  • I protagonisti che hanno scritto la leggenda, da Henry a Kane
  • L'evoluzione tattica e culturale del derby
  • L'impatto sulla città di Londra e sul calcio mondiale
Con interviste esclusive e aneddoti inediti, questa opera offre uno sguardo senza precedenti su Arsenal-Tottenham, una rivalità che trascende il campo da gioco.
Che siate tifosi dei Gunners, degli Spurs o semplicemente amanti del calcio, questo libro vi farà rivivere l'emozione, la tensione e la gloria di una delle più grandi rivalità sportive di tutti i tempi.

1971 IL DISASTRO DI IBROX.

Tra tutti gli episodi negativi – e ce ne sono stati – che hanno contraddistinto l’Old Firm, la sfida infinita tra Celtic e Rangers, uno spicca per l’enorme costo di vite umane che ha comportato: la tragedia di Ibrox del 2 gennaio 1971.
Quel giorno il derby tra i protestanti e i cattolici, tra i filo irlandesi e i fedeli alla corona britannica, sembrava destinato a terminare sullo 0-0, giusto epilogo di un match noioso e quasi privo di occasioni da rete. A un minuto dal termine Jimmy Johnstone, leggenda del Celtic di quegli anni, siglò un gol che alla maggioranza dei presenti apparve decisivo. Non a caso una parte dei quasi 100mila che affollavano gli spalti di Ibrox Park decise di prendere la via di casa, all’apice della depressione calcistica per aver perso un derby in maniera così rocambolesca. Ma a pochi secondi dal fischio finale del direttore di gara, Colin Stein pareggiò la disfida. Cosa sia successo in quei drammatici secondi all’interno dello stadio non è ancora certo al 100 per cento. La versione andata in voga per tanti anni è che i tifosi, sentite le urla d’esultanza per l’insperata marcatura del pari, provarono a tornare sugli spalti, creando un tragico “scontro” con coloro che stavano uscendo festanti. Più verosimilmente, si suppone ormai che la caduta di una persona con un bambino sulle spalle provocò un effetto domino a dir poco disastroso.




























La realtà dei fatti è che a perire furono ben 66 tifosi dei Gers, di età compresa tra i 9 e i 43 anni. Tra loro cinque studenti del villaggio di Markinch che abitavano nella stessa strada e che erano andati a vedere la partita insieme. Per percepire tutta la drammaticità di quanto accaduto in quei pochi minuti di parapiglia infernale basti pensare che le crash barriers dell’East Stand furono piegate quasi fossero di gomma. Le peggior tragedia della storia del calcio britannico, tristemente superata per l’ammontare delle vittime solo dal dramma dell’Hillsborough nell’aprile del 1989 (in quel caso i morti furono 97) è certamente da addebitare a una tremenda fatalità, ma anche, se non soprattutto, alla struttura obsoleta e inadeguata a ospitare folle oceaniche.

A differenza dei nostri tempi, allora gli impianti britannici erano tutto fuorché moderni e funzionali. Il fascino d’antan non faceva per niente rima con sicurezza. Ma se in tutto il Paese bisognò attendere i tanti lutti degli anni Ottanta per una sterzata decisa nella giusta direzione, almeno i Rangers impararono sin troppo bene la lezione, apportando subito delle significative migliorie al loro glorioso stadio.
Per la verità quello del 1971 non fu il primo “Disastro dell’Ibrox”. Oltre a due significativi incidenti nel 1961 e nel 1969 – che costarono la vita a due persone – ce n’è uno celebre quanto molto datato e legato al grande architetto di stadi, lo scozzese Archibald Leitch.

La sua primissima opera, proprio l’Ibrox Stadium, non resse all’urto delle oltre 68.000 persone accorse per assistere a una sfida tra Scozia e Inghilterra dell’aprile del 1902. Quel match era valido per il British Home Championship (conosciuto anche come Home International), il torneo che dal 1883 al 1984 ha visto fronteggiarsi in maniera sempre molto accesa le quattro nazioni britanniche, ovvero le due protagoniste dell’incontro di Ibrox più Galles e Irlanda del Nord (fino al 1950 scese in campo una selezione che rappresentava tutta l’Irlanda e non solo le sei contee dell’Ulster rimaste al Regno Unito dopo l’indipendenza dell’Eire nel 1922). Nonostante l’impianto non fosse pienissimo – la capienza era stimata nell’ordine degli 80.000 posti – la West Stand, una delle “curve”, crollò rovinosamente sotto il peso degli spettatori. Davanti agli occhi di Leitch, che era presente, centinaia di persone fecero un salto nel vuoto di diversi metri. In quella che fu la prima sciagura della storia in un impianto britannico morirono in 26, mentre altri 500 rimasero feriti. La struttura in legno con giunture in ferro non era per nulla adatta a contenere folle di quelle proporzioni, come dovette amaramente riconoscere un affranto Leitch, che in quel momento deve aver avuto la netta impressione che la sua carriera di designer di impianti sportivi fosse destinata a durare molto poco. Invece si sbagliava. 
di Luca Manes

16 novembre 2024

FIRST Division🇬🇧, il calcio inglese di una volta..

Quando pensi al calcio inglese cosa pensi?, 
Al fascino dei vecchi piccoli stadi, alle pinte nel pub con gli amici, al match programme della partita, alle ends che si muovevano ondeggiando ai goals della propria squadra, il pallone 18 panels rigorosamente bianco, il portiere con la maglia verde ed i pantaloncini come quelli dei compagni, il profumo forte degli hot dog con la cipolla nei dintorni dello stadio oppure l'amarissimo Bovril, per i più "vecchi" i rumorosissimi turnstiles oppure.. i totalisator a lato dei campi di gioco?
atmosfera unica, irripetibile..

Ecco FIRST Division, un punto di riferimento di chi ha vissuto tutto questo e chi lo sogna..
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