Con un gesto perentorio, papà prende il telecomando e spegne la TV, convinto che la scatola magica non abbia da regalare a suo figlio niente di particolare per quel mercoledì sera. Il bimbo vorrebbe protestare, ma papà è inamovibile. “Siediti vicino a me, piccolo. Ti voglio raccontare una storia di tanti anni fa, una delle più di mille di quando il pallone era ancora Il bellissimo Gioco”. Il bimbo accorre, perchè ama quelle storie, pensando che forse papà ha ragione sulla TV, e si siede vicino a lui. Quando la storia inizia, gli echi dell’imminente partita di Champions League si spengono definitivamente...
* * * *
C’era una volta Nonno Billy, che viveva in un posto chiamato Ulster, l’angolo meno attraente della verde terra d’Irlanda, e che un giorno fece una scelta inaudita e decise di portare i suoi nipotini a fare un viaggio lungo lungo. Aveva cinquantun primavere sulle spalle e ventidue nipotini: una sproporzione preoccupante! Madri e padri non nascondevano la loro apprensione ad affidargli la teppaglia tutta insieme, ma la verità era che nessuno al mondo, a parte il nonno, sapeva tirar fuori il meglio dai ragazzi, perchè tutti loro, insieme, avevano la stessa passione: il gioco del calcio, o football, così come veniva chiamato nella loro terra. Qualche mamma giunse a strapparsi i capelli. “Questa proprio ci mancava, con tutti i problemi che già abbiamo qui!” aggiunse qualcun’altro. Nonno Billy sorrideva, fiero contro tutti, raccontando che lui stesso aveva già intrapreso un viaggio simile, tanti anni prima. Gli animi si scaldarono: “Tu sei un matto malato di nostalgia, ecco qual’è il problema. Erano altri tempi: ci si poteva muovere in tranquillità. Oggigiorno c’è da aver paura!”.
Si sollevarono decine di obiezioni ma il nonno non cedette di un millimetro, e fu così che qualche giorno dopo si trovò in aeroporto, all’imbarco, a passare in rassegna la truppa. Eccola lì, la sua squadra: tutti entusiasti, tutti equipaggiati, tutti in verde. Nonno Billy sapeva che tutto sarebbe andato bene, e che i suoi nipotini si sarebbero divertiti un mondo. Anche loro, per qualche strano motivo, sembravano esserne sicuri. Nonno Billy aveva affidato a Pat, il più grande e maturo dei suoi nipoti, la responsabilità di mantenere l’ordine: “Vestiti in giallo, così quando ti guarderanno capiranno chi comanda! E non farti mettere i piedi in testa da nessuno, specialmente da Gerry!”, disse indicando quello che tutti chiamavano l’Astuto, perchè non perdeva occasione di approfittare delle altrui distrazioni. Nonno Billy aveva una predilezione per Pat, così responsabile, così ometto. Gli aveva regalato un pezzo di stoffa bianco da mettersi al braccio: i gradi del Sergente! Durante il viaggio gli si avvicinò Sammy, sveglio, matematico e geometrico, intelligente, uno che gradiva il maggior numero di informazioni possibile, così da sapere sempre come muoversi: “Mi ripeti dov’è che stiamo andando, nonno?” gli chiese. “In Spagna, Sammy, alla Coppa del Mondo”. “E di cosa si tratta?”.
Nonno Billy gli scompigliò i capelli: “Ti piace giocare a football, Sammy, sì? Ecco, la Coppa del Mondo è la cosa più importante per chi ama giocare a football. E’ una magia così preziosa che si può vedere solo una volta ogni quattro anni”. Sammy non ne aveva abbastanza: ”Mamma dice che tu ci sei già stato.” Il nonno annuì: “Tanto tempo fa. Ero un ragazzo come voi, anche se allora era in un posto diverso che si chiama Svezia”.
Soddisfatto, Sammy tornò al suo posto, di fianco al piccolo Norman, il più giovane di tutti. Già, Norman: più il nonno lo guardava e più lui gli ricordava il piccolo e sfortunato Georgie, un ragazzo come loro, ma geniale, che tanti anni prima, e con dolore, aveva dovuto accettare il fatto di non poter fare quel viaggio e aveva tanto sperato che prima o poi qualcuno ci sarebbe riuscito al posto suo, ricordandosi di regalargli un pensiero. Nonno Billy sperava: “Che tocchi proprio al mio Norman il posto del leggendario Georgie?”.
E così, tra un pensiero e l’altro, la comitiva arrivò in Spagna, dove faceva un gran caldo. Come aveva detto il nonno si trovarono subito di fronte a tanti altri ragazzi: con qualcuno fraternizzarono, con qualche altro volarono parole grosse, fin quando il nonno prese per le orecchie i più riottosi e portò tutti quanti in albergo: “Riposatevi. Anche se qui non sono stati carini con noi, tenete in serbo la vostra rabbia per quando li incontrerete sul campo. Non è la prima regola per diventare bravi ragazzi, ma è il consiglio migliore per diventare calciatori vincenti”. Come aveva ragione, il nonno! La prima settimana fu meravigliosa: visitarono una bella città dal nome orribile, Zaragoza, e si incontrarono pacificamente con ragazzi provenienti da paesi lontani, dividendosi tutto! A dir la verità, Gerry l’Astuto aveva tentato di sgraffignare qualcosa a dei simpatici caraibici, ma Pat, che sapeva anche essere giusto e generoso, non si era opposto a rendere il maltolto, evitando a Gerry la ramanzina del nonno. Poi capitò di spostarsi in un posto chiamato Valencia, e lì vennero di nuovo alle mani con gli scorbutici indigeni. Questa volta Pat decise di lasciar perdere la ragionevolezza e non si intromise nella baruffa. Nonno Billy chiamò vicino a sè Gerry l’Astuto e gli disse: “E’ il tuo momento, ragazzo: ruba tutto quello che puoi!”. Lo sguardo di Gerry si riempì di gioia cleptomane: si buttò nella mischia e poco dopo raccolse una palla lasciata incustodita da un tizio che si era saputo chiamarsi Arconada e la nascose al sicuro dentro una rete.
Gli spagnoli ci restarono così male che abbandonarono ogni velleità e presto se ne andarono, mortificati. Nonno Billy sapeva di non essere stato proprio ortodosso, ma almeno riconosceva di aver insegnato ai ragazzi a difendersi e rispondere per le rime. Gioia immensa per tutti, anche a casa, dove le notizie arrivavano in fretta. A seguito di questi fatti burrascosi ci fu il trasferimento nella città di Madrid, bellissima, dove tutti però li guardavano storti. I nipotini di Nonno Billy furono ben contenti di non curarsene e gioirono nel conoscere i ragazzi provenienti dall’Austria, prima che i francesi facessero loro vedere come si giocava a football alla perfezione: una severa lezione di vita, imparata comunque con dignità e orgoglio. Quella sera Nonno Billy guardò negli occhi i suoi ragazzi, prima che andassero a dormire e disse: “Bene. Siete stati degli ottimi compagni di viaggio, e così spero di essere stato io per voi, ora però dobbiamo tornare a casa”. La squadra si mosse come fosse una singola entità, e andò ad abbracciare il nonno, con un unico sussurro: “Grazie”. La mattina dopo, per il ritorno, Nonno Billy si sedette in ultima fila, da dove poteva controllare tutto. Pensava a quel viaggio e anche a quello di ventiquattro anni prima, quando lui era più o meno come ora i suoi nipoti. Pensò al piccolo Georgie, che quel viaggio non aveva mai potuto farlo, e pensò anche che una volta a casa non gli sarebbe dispiaciuta una pinta di scura. Anche i nipotini erano composti e silenziosi: pensavano all’avventura appena vissuta, cercando di imprimere nella mente più frammenti possibili, in modo da non poter mai dimenticarsene. Si appisolò.
Più tardi si sentì chiamare. La voce di Pat: “Nonno Billy?”. Sporse la testa quel tanto che bastava per avere la visuale sul corridoio dell’aereo. Pat si avvicinava tenendo per mano il piccolo Norman. Entrambi giungevano con l’aria affranta. Pat dimostrando tutta la sua maturità, nobile e dignitoso, mentre Norman sembrava prossimo alle lacrime, dito in bocca e sguardo a terra. Nonno Billy fece cenno a Pat di parlare: “Nonno...ecco...vedi...”.
Naturalmente avrebbe voluto condirla un po’, ma Norman lo strattonò costringendolo a venire al punto: “Volevamo ringraziarti, E’ stata una vacanza bellissima...solo che noi...io... ecco...Norman vorrebbe sapere se ci sarà modo di rifarla, un giorno”. Lui li abbracciò, forte: “Un giorno, forse sì”. “Quando?” azzardò Norman. “Devi aver pazienza, piccolo: non prima di quattro anni, sai...la magia!”. “Me lo prometti?”. Nonno Billy prese il volto di Norman tra le sue mani: “Ti prometto che faremo tutto quel che si può fare. Può bastare ad un giovanotto come te?”. Norman annuì tristemente e invitò Pat a riportarlo al posto. Li guardò allontanarsi e sorrise tastando quel senso di continuità: il più grande ed il più piccolo dei suoi nipoti. Si riaddormentò.
Quattro anni dopo...
Nonno Billy è seduto, ancora una volta nella sua vita, ai bordi di un grande prato verde attorno al quale si sono radunate più di ventimila persone. Vorrebbe vederle tutte in volto, ricordarsele, ma sa di non poter fare un’unica foto di una moltitudine. Norman è cresciuto, ma è ancora vispo che è un piacere. Gli passa davanti e lui gli assesta una vigorosa pacca da nonno sul sedere. Mentre Norman corre al suo posto, vede Pat dalla parte opposta. Ancora quella sensazione: il mio più grande ed il mio più piccolo! Anche Pat lo sta guardando: si sorridono l’un l’altro e il sorriso colma la distanza fisica facendo viaggiare su un filo i sentimenti più nobili, compresa la gratitudine. Nonno Billy vuole assaporare l’atmosfera di quel momento ed inspira forte forte, perchè lì a Guadalajara, Messico, l’aria è più rarefatta di quanto possa mai esserlo a Belfast, o a Madrid. La promessa è stata mantenuta.
* * * *
Il bimbo sorride a papà. La storia è stata carina, come si aspettava. Ora papà vorrebbe premiarlo, perchè un po’ gli brucia essere stato così drastico per la TV, e sa che al figlio il calcio piace molto, nonostante la tenera età. “Vuoi vedere come sta andando la partita?”, chiede. E la risposta, sorprendente, è: “No, papà, andiamo a nanna”.
Qui sopra è stata resa una trasposizione molto, MOLTO libera di un fatto accaduto realmente, ed a suo modo epocale: la qualificazione della rappresentativa dell’Irlanda del Nord a due Campionati del Mondo consecutivi, nel 1982 e nel 1986, sotto l’esperta guida di Billy Bingham, unico nordirlandese ad avere partecipato a 3 mondiali (nel 1958 vi prese parte come calciatore). Nel racconto Bingham è Nonno Billy, ed insieme a lui sono citati alcuni dei giocatori più rappresentativi di quell’irripetibile quadriennio: il portiere Pat Jennings è Pat, l’interno Sammy McIlroy è Sammy, lo striker Gerry Armstrong è Gerry l’Astuto (cui l’aggettivo cleptomane si addice unicamente nell’economia della storia) ed il talentuoso Norman Whiteside (che esordì a Spagna ’82 a 17 anni e 42 giorni, battendo il record di giovinezza fino allora detenuto da Pelè) è il Piccolo Norman. Credo infine sia doveroso lasciar supporre a chi legge chi fosse lo sfortunato, geniale e leggendario Georgie.
Delle due imprese la più significativa resta quella dell’82, anche in virtù del quadro delineatosi alla vigilia del Mundial spagnolo. Innanzitutto le rappresentative del Regno Unito vi si affacciavano in massa come non era più accaduto dal 1958 (unica edizione in cui furono tutte e quattro presenti); in secondo luogo, o comunque di conseguenza, c’erano i presupposti per scrivere una pagina significativa di storia calcistica britannica. Ci contava l’Inghilterra, che dopo Mexico ’70 aveva “bucato” nel ’74 e nel ’78 e tornava a misurarsi per l’Iride dopo una pausa forzata di dodici anni e a sedici di distanza dall’”Investitura” casalinga. Obiettivamente era una squadra forte. Non la più forte di sempre e nemmeno la migliore delle ventiquattro sbarcate in Spagna, ma forte: aveva solidi pilastri nei reparti arretrati e di manovra ( Shilton, Neal, Butcher, Wilkins), ed attaccanti tra il giovane e lo scafato che avevano già saputo essere letali (Robson, Woodcock, Mariner, Francis), oltre ad un campione cristallino, anche se acciaccato, come Kevin Keegan. Arma in più (teorica): la sete di rivincita.
Pronosticare i Leoni tra i primi quattro poteva essere un azzardo, ma neanche tanto. Ci contava la Scozia, visto che in cima alla lista degli obiettivi il compianto Jock Stein aveva scritto: “Superare, una volta nella vita, quel benedetto primo turno!”. Rough, Hansen, Strachan, Souness, Dalglish, Wark, Archibald, Jordan: con una rara infornata di uomini di caratura internazionale come questa, se non allora, quando? Siccome però non si può essere scozzesi senza qualche complicazione, e a conferma che a nord del Vallo non hanno mai brillato troppo in quanto a fortuna, la Scozia venne sorteggiata nello stesso girone del Brasile. Con il primo posto già assegnato, honoris causa, contendere il secondo a Nuova Zelanda e Unione Sovietica restava impresa fattibile. L’Irlanda del Nord, di suo, contava che qualsiasi risultato diverso da una figura pessima sarebbe stato un successo.
Non andò esattamente così.
I bianchi vinsero il loro girone a punteggio pieno, ma tra luci ed ombre (3 goals alla Francia, 2 alla Cecoslovacchia, solo 1 al misero – almeno in questo contesto – Kuwait) salvo evaporare al turno successivo, confermando una tendenza alla liquefazione che non li avrebbe più abbandonati in nessun’altra manifestazione, salvo forse Italia ’90. La carriera mondiale di Keegan si ridusse a 27 miseri minuti giocati contro la Spagna in una partita dal controverso giudizio: più brutta o più inutile? Robson da frizzante sublimò in evanescente, le conclusioni del reparto avanzato divennero come freccette in mano a tiratori col Delirium Tremens. Il buon Shilton parava il possibile, ma difettava in fase realizzativa. Si tornò a casa con le pive nel sacco, al solito.
La Scozia riuscì nell’impresa più ardua: farsi eliminare di nuovo al primo turno, in barba alla legge dei grandi numeri, e nonostante un invidiabile bottino di otto reti messe a segno in tre partite. Battuti con cinque goals, ma non senza punte di ridicolo, i neozelandesi, strapazzati dal Brasile, ai blu fu fatale il 2-2 contro l’URSS.
Così, il Mundial ’82, contro ogni aspettativa, consegnò alla storia del football britannico solo il sontuoso exploit dei ragazzi di Bingham: il passaggio del primo turno. Soffrendo, certo, ma lasciando impressa negli occhi di tutti una magnifica impresa: la sconfitta inferta ai padroni di casa grazie ad una rapace zampata di Armstrong su gentile concessione del portiere spagnolo Arconada. Il mondiale degli spagnoli, di fatto, finì in quel frangente, nonostante le partite successive, mentre quello dell’Irlanda del Nord aveva raggiunto il suo picco. Nessuno lo avrebbe mai sognato. La successiva goleada inferta dalla Francia alla rappresentativa dell’Ulster rientrò nell’ordine delle cose: non si poteva chiedere di più. Per i successivi quattro anni la martoriata appendice irlandese dell’impero di Sua Maestà fu un po’ più verde del solito, in attesa di tempi migliori.
di Dante Cavalli, da "UK Football please"